Intollerabile regalo da parte del governo Gentiloni
Intesa si annette le Banche Venete per un euro
Salasso da 17 miliardi per i contribuenti. 4 mila esuberi
Che le affinità fra il mondo delle grandi banche d’affari e i governi targati PD fossero gigantesche era chiaro da tempo; tuttavia l’operazione per favorire la più grande banca italiana a spese dei contribuenti è stata fatta in una modalità senza precedenti, facendo tabula rasa delle stesse norme nazionali ed europee tanto sbandierate fino a un istante prima. Il decreto di salvataggio delle banche venete, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, approvato il 25 giugno dal Consiglio dei ministri, ha ricevuto il via libera delle commissione Finanze e presto sarà ratificato anche in aula nonostante il governo (che chiederà l’ennesima fiducia), stia apportando le ultime modifiche necessarie per spianare ulteriormente la strada a Banca Intesa, spingendosi fino a proporre una modifica al Testo Unico Bancario al fine di permettere l’emissione di nuovi bond soggetti a “bail-in” ma non al “burden-sharing” (conversioni forzata delle obbligazioni subordinate in azioni), misura intermedia utilizzata nell’azzeramento dei bond subordinati di MPS, Etruria, e le altre tre popolari.
Il collaborazionismo della BCE
Padoan ha dichiarato: "Non ci sono altri focolai di crisi come quelli risolti in questi giorni; abbiamo rimesso in carreggiata la quarta banca del Paese (Mps, ndr), mentre "le banche venete sono state rilevate da Intesa che non ha problemi di credibilità". La crisi delle due banche venete è nota da diversi anni, così come lo era la volontà di temporeggiare da parte del governo Renzi e degli amministratori che si sono succeduti fino ad oggi. È significativo ricordare come ad inizio 2017 le due banche avevano fatto domanda di "ricapitalizzazione preventiva" e la Banca Centrale Europea, massima autorità bancaria continentale, le aveva dichiarate "solvibili". Poco dopo è però stato chiaro che la ricapitalizzazione preventiva non avrebbe trovato nessun privato disposto a mettere gli 1,2 miliardi necessari per i troppi rischi connessi all’operazione ed i pessimi conti dei due istituti veneti; a questo punto, il 14 giugno 2017, i legali della banca hanno dato l'avvio dell'azione di responsabilità, presentando un conto da 2,3 miliardi a titolo di danni nei confronti di ex amministratori e sindaci alternatisi in carica fino al 26 aprile 2014. Solo a questo punto la BCE ha cambiato le carte in tavola e ha dichiarato che le due banche, non considerate sistemiche e quindi incapaci di provocare ripercussioni sull’intero sistema bancario in caso di fallimento, sono in realtà "fallite” o “sull'orlo del fallimento". Questa operazione, subdola e ben orchestrata dai grandi poteri economici, ha consentito al governo Gentiloni di liquidarle con le regole italiane, senza applicare la direttiva europea che prevede il cosiddetto “bail-in”, cioè il salvataggio delle banche usando prima di tutto i soldi di investitori e risparmiatori invece dei soldi pubblici, come accaduto ad Etruria. Insomma, come si dice, fatta la legge, trovato l'inganno.
Il regalo a Banca Intesa
Il presidente emerito di Intesa, Giovanni Bazoli, ha registrato con preoccupazione la tempesta parlamentare che si è abbattuta sul provvedimento, investito da oltre 700 emendamenti in Commissione Finanze alla Camera, ed è subito corso ai ripari precisando che solo Intesa può riuscire nel “miracolo” del salvataggio dei posti di lavoro e della credibilità bancaria italiana. "Comprendo i risparmiatori che subiscono conseguenze gravi per questo dissesto, ma quella in campo è l'unica soluzione per risolvere il grande problema degli istituti veneti. In ballo c'è la credibilità del nostro Paese”. Per dare corpo alle dichiarazioni di Bazoli, è bene sapere che il contratto siglato da Intesa per l'acquisto dei due istituti contiene una clausola risolutiva che annulla l'operazione in caso di mancata conversione in legge del decreto o anche in caso di modifiche allo stesso sfavorevoli per Intesa. Rassicurante è poi giunta, appena qualche giorno dopo, l’affermazione del presidente del consiglio Paolo Gentiloni, secondo il quale il decreto "avrà in Parlamento il sostegno che merita", ricordando e ponendo di monito le condizioni stesse di Intesa Sanpaolo, proprio a partire dalla più significativa, “se il decreto sarà modificato l'operazione salta”.
Il piano di acquisizione
Al posto dell’1,2 miliardi di ricapitalizzazione privata, come volevano le stesse leggi di mercato capitalistico, il governo Gentiloni ha varato un piano che, in sostanza, consegna tutte le attività che comportano un rischio a carico dello Stato, mentre la parte sana delle due banche sarà il regalo a Banca Intesa. Il piano prevede l'acquisizione delle due popolari da parte della più grande banca d’affari italiana per la cifra simbolica di 1 euro, garantendo così la continuità aziendale in un territorio che diverrà praticamente un monopolio di Intesa. La parte dei crediti deteriorati, circa 10 miliardi di euro, sarà invece scorporata in una “bad bank” che lo Stato in primis e i titolari dei bond subordinati per circa 1,2 miliardi, saranno chiamati a ricapitalizzare. Come detto, una “good bank” ai privati e la parte di “bad bank” sulle spalle della collettività. In appoggio al Decreto, il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, e la Banca d'Italia, hanno dichiarato che i fondi necessari “non impattano sul deficit” e sono “già previsti in bilancio” nei fondi stanziati a Natale per le ricapitalizzazioni precauzionali, come quella del Monte Paschi; in realtà questi fondi avrebbero dovuto costituire una specie di prestito ponte che poi le banche risanate avrebbero dovuto restituire allo Stato, invece quello che si potrebbe ricavare dalla “bad bank”, dopo che essa è stata spolpata da Intesa, potrebbe essere davvero di minima entità, confermando la pressoché totale perdita erariale. Intesa respinge anche gli oneri di integrazione e razionalizzazione, cioè i costi legati alla gestione dei circa 4mila esuberi che sarebbero prodotti dall'intervento. Il governo Gentiloni ha però in serbo una nuova soluzione di favore che probabilmente porterà ad un ulteriore rifinanziamento da oltre un miliardo per il fondo esuberi che nei fatti sbugiarda coloro che hanno giustificato l’intervento col fine di salvare posti di lavoro; infatti e la stessa Banca Intesa che spiega come “un ulteriore contributo pubblico cash a copertura degli oneri di integrazione e razionalizzazione connessi all'acquisizione, che riguardano tra gli altri la chiusura di circa 600 filiali e l'applicazione del Fondo di Solidarietà in relazione all'uscita, su base volontaria, di circa 3.900 persone del gruppo risultante dall'acquisizione, nonché altre misure a salvaguardia dei posti di lavoro, quali il ricorso alla mobilità territoriale e iniziative di formazione per la riqualificazione delle persone”.
La collettivizzazione delle perdite
Dopo il boom mediatico, è significativo che per alcuni analisti, gran parte degli italiani sembrano non digerire il decreto legge che metterà in sicurezza i crediti di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza, consentendone l'acquisizione da parte di Banca Intesa: infatti oltre il 36% di chi si è espresso sui social pensa che, ancora una volta, il governo intervenga a salvaguardia dei banchieri (36,4%); non sembra neanche che il provvedimento sia preso nell'interesse pubblico: anzi, mentre al 14% circa sostiene che il provvedimento “non sia preso nell’interesse pubblico poiché a mettere mano al portafoglio per questi interventi siano sempre i contribuenti”, il 13,6% rafforza il giudizio sostenendo che pagano i contribuenti "al posto dei veri responsabili". Ma d’altra parte come si può giustificare quello che Banca d'Italia chiama "un contributo pubblico per cassa per compensare la riduzione dei coefficienti patrimoniali"? Semplificando i nebbiosi termini tecnici, stiamo parlando dei circa 5 miliardi inclusi gli oneri vari che lo Stato verserà direttamente a Banca Intesa per compensare “lo sforzo” di assorbire la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Ma allora, pur rimanendo in campo capitalista, perché non sono state emesse azioni di Banca Intesa a favore dello Stato? Con 5 miliardi, il Tesoro ne sarebbe diventato azionista col 10%, come sarebbe diventato azionista delle venete attraverso la non utilizzata “ricapitalizzazione precauzionale”.
Renzi-Gentiloni, il governo al servizio di banche e petrolieri
Dopo MPS, la tragedia del bail-in delle quattro banche popolari fra le quali spiccava Etruria di papà Boschi, adesso con la socializzazione delle perdite delle venete e il regalo ad Intesa, il governo Renzi-Gentiloni sta scavando sfacciatamente sul fondo della decenza, rafforzando il suo ruolo di vero e proprio “comitato d’affari” delle grandi banche e petrolieri. Ruolo gradito e ripagato con buona moneta anche dall’Unione Europea, poiché tutto ciò è stato possibile grazie alla benedizione di quest’ultima che ha stravolto le regole vigenti fino ad un attimo prima. Non sappiamo ancora come finirà il presunto tentativo del governo di rimborsare, naturalmente a spese dei contribuenti, le obbligazioni subordinate; tuttavia rimarrebbe la disparità di trattamento con le migliaia di risparmiatori di Banca Etruria e le altre tre banche popolari a cui l'anno scorso sono state invece applicate le più penalizzanti regole del “bail-in” e del “burden-sharing”, e che di colpo si sono visti azzerare del tutto il valore delle loro obbligazioni subordinate, rimborsate solo in minima parte. A pagare il conto saranno anche i dipendenti di Intesa, così come lo stanno pagando quelli di Montepaschi, attraverso flessibilità, riduzione dei salari e, se servirà, anche qualche posto di lavoro in aggiunta agli esodi volontari. Come per Montepaschi, vogliamo dire con forza che questo intervento pubblico, che non è il primo, né sarà l’ultimo visto l’orizzonte del sistema bancario italiano attuale, a partire dalla prossima messa a terra della riforma delle Banche di Credito Cooperativo che il governo intende rimodellare a misura di “mercato” cancellando di fatto il localismo che le contraddistingue, rappresenta l'ennesimo regalo alla speculazione privata a spese di decine di migliaia di piccoli risparmiatori, di migliaia di lavoratori bancari e delle masse popolari in generale. Come per Alitalia, Montepaschi e, negli anni settanta anche Fiat, occorreva la nazionalizzazione. Solo in questo modo i miliardi stanziati per i salvataggi non sarebbero stati risucchiati dal profitto degli avvoltoi capitalisti. La lotta di piazza poi avrà il compito di “ricordare” ai governi della borghesia che i denari appartengono alla collettività, e dovranno essere utilizzati per la difesa dei livelli di occupazione e, nel caso in questione, per il credito agevolato alle famiglie e alle piccole e medie imprese, garantiti dal controllo pubblico.
12 luglio 2017