Gentiloni cede a al-Sisi per fare gli interessi Eni ed essere aiutato su Libia e migranti
L'ambasciatore italiano torna al Cairo
“New York Times”: l'amministrazione Obama passò al governo Renzi le prove che i servizi segreti egiziani avevano rapito, torturato e ucciso il ricercatore italiano
La famiglia Regeni: “è una resa”
“Il Governo italiano ha deciso di inviare l'Ambasciatore Giampaolo Cantini nella capitale egiziana, dopo che – l'8 aprile 2016 – l'allora Capo Missione Maurizio Massari venne richiamato a Roma per consultazioni”: così il governo ha annunciato che lo strappo nelle relazioni con l'Egitto, avvenuto con grave ritardo dopo l'assassinio di Giulio Regeni da parte del regime del boia al-Sisi, è definitivamente risanato. Il giorno non è secondario: l'annuncio è infatti stato dato il 14 agosto, nel pieno della “distrazione” estiva per far passare tutto in sordina, e l'inquietante anniversario del massacro (oggi largamente e convenientemente dimenticato) di oltre 800 manifestanti perpetrato quattro anni fa dall'attuale regime egiziano in piazza Rabia al Cairo.
Alfano si arrampica sugli specchi affermando che il ritorno dell'ambasciatore favorirà le indagini, ma non ci crede nessuno. La verità è che ci sarebbero “nuovi atti” inviati, in arabo, al governo italiano, di cui la famiglia Regeni è all'oscuro, nei quali si registrerebbero “sviluppi” nelle indagini. Detto fatto: Gentiloni e Alfano avevano il loro pretesto per ripristinare la rottura, che né loro né Renzi hanno mai voluto, visto che l'Egitto è un partner commerciale prezioso e un alleato indispensabile per le mire dell'imperialismo italiano in Libia. Tale da chiudere entrambi gli occhi sui crimini del regime di al-Sisi e addirittura da archiviare l'omicidio del giovane ricercatore nostro connazionale. Ha ragione da vendere la famiglia Regeni a parlare di “resa confezionata ad arte”.
A rompere le uova nel paniere del governo è arrivato, l'indomani, un lungo articolo sul “New York Times” (NYT) a firma di Declan Walsh, corrispondente dal Cairo. Walsh rivela che l'amministrazione Obama, allora in carica (Regeni fu ucciso il 25 gennaio 2016 e il corpo ritrovato il 3 febbraio), fornì al governo Renzi “prove incontrovertibili sulla responsabilità egiziana”, con la precisazione che “non è chiaro chi avesse dato l'ordine”, ma ciò non toglie che “quello che gli americani sapevano di certo, e fu detto agli italiani, è che la leadership egiziana era pienamente a conoscenza delle circostanze dell'uccisione”.
Il governo Gentiloni si nasconde dietro un dito replicando che non furono mai trasmessi “elementi di fatto”, poiché, pare, gli Usa non condivisero tutte le informazioni a loro disposizione per non rivelarne la fonte. Tuttavia era chiaro che i vertici del regime di al-Sisi sapevano, come sarebbe diventato chiarissimo nei successivi mesi di bugie, mezze verità, contraddizioni e depistaggi. Lo stesso ex ambasciatore Massari, secondo Walsh, smise di parlare di argomenti sensibili per email o telefono, ricorrendo a vecchi strumenti di crittografia, perché temeva lo spionaggio del regime. Evidentemente si voleva lanciare un segnale contro chi osa andare a scavare nell'oppressione e nel marcio dello Stato egiziano.
L'Italia come minimo avrebbe dovuto seguire la pista e comunque condannare con decisione il governo di al-Sisi, insieme al resto della “comunità internazionale”, così pronta a lanciare condanne e sanzioni solo quando fa comodo all'imperialismo. Ma così non è stato. Il NYT parla di “fratture” nel nostro governo: “C'erano altre priorità. I servizi di intelligence italiani avevano bisogno dell'aiuto dell'Egitto nel contrastare lo Stato islamico, gestire il conflitto in Libia e monitorare il flusso di migranti nel Mediterraneo”. Incrociamo queste parole con le dichiarazioni di una fonte della Farnesina pubblicate sulla “Repubblica” del 17 agosto: “Il quadro dei rapporti di forza e degli equilibri in Medio Oriente è cambiato. L'Egitto, oggi, conta su una forte sponda dell'amministrazione americana, un rinnovato rapporto con Francia e Inghilterra e una forte alleanza con i sauditi, per non parlare della nuova attenzione mostrata dalla Russia. Insomma il nostro isolamento rischiava, se prolungato, di provocare danni”. Non si poteva essere più sfacciati nell'ammettere che a rischio c'erano i piani di Renzi e Gentiloni per rafforzare l'impegno italiano nell'avventura imperialista contro lo Stato islamico e mettere l'Italia in prima fila nel teatro libico, nonché interessi squisitamente economici e commerciali.
Sì, perché secondo dati del governo egiziano il commercio con l'Italia prospera, con le esportazioni verso il nostro Paese in aumento del 29% nel primo semestre dal 2017. Inoltre, dall'agosto 2015, cioè dopo la scoperta del giacimento di gas di Zohr, Eni ha succulenti interessi in Egitto, dove è la principale compagnia italiana operante. La cosa veramente anomala è che Eni è inspiegabilmente entrata a far parte dell'intelligence italiana: già nel 2014 Renzi l'aveva definita un “pezzo fondamentale della nostra politica energetica, estera e di intelligence”, ora il NYT lo ribadisce affermando che “si era unita alle forze del servizio di intelligence dell'Italia nel tentativo di trovare una rapida soluzione del caso”. Addirittura Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, si sarebbe incontrato con al-Sisi più di Renzi e persino dell'ex segretario di Stato americano Kerry messi insieme. Viene quindi da chiedersi a che titolo Eni tratti in via diretta col governo egiziano, e il governo italiano deve dirci se, nel caso Regeni, vuole fare chiarezza o tutelare gli interessi di Eni!
Questo disgustoso spettacolo ci ha fatto capire bene la condotta del governo Gentiloni in politica estera: massima segretezza condita da falsità su falsità raccontate alle masse, per salvaguardare prima di tutto le sue mire interventiste e commerciali. Ricucire con l'Egitto era urgente anche per rimanere in buoni rapporti con la giunta militare libica di Khalifa Haftar, vicino ad al-Sisi, che ha anche il compito di bloccare i migranti nei lager della Cirenaica.
Sull'altare del profitto capitalistico e della guerra imperialista Renzi e Gentiloni hanno sacrificato la giustizia per Giulio Regeni. Noi siamo fino in fondo al fianco della famiglia quando esige: “Solo quando avremo la verità sul perché e chi ha ucciso Giulio, quando ci verranno consegnati, vivi, i suoi torturatori e tutti i loro complici, solo allora l'ambasciatore italiano potrà tornare al Cairo senza calpestare la nostra dignità”.
30 agosto 2017