Ridicola sentenza del tribunale di Roma
La banda Carminati-Buzzi “non era mafiosa”
Tutti fuori dal carcere duro
Condannati amministratori della destra e del PD
Dopo 21 mesi di indagini, 230 udienze, 46 imputati a vario titolo di estorsione, usura, turbativa d'asta, corruzione, riciclaggio, criminalità organizzata, di cui 19 accusati anche di associazione mafiosa, 10milioni di pagine di atti giudiziari e oltre 19mila intercettazioni sottoposte a perizie: anche l'inchiesta su Mafia Capitale che ha scosso dalle fondamenta tutti i palazzi del potere a Roma rischia di finire nel famigerato “Porto delle nebbie” come è già successo in passato con la famigerata banda della Magliana o più recentemente con le inchieste su “Tangentopoli”.
Il 19 luglio, a due anni e mezzo dai 37 arresti del Ros con alla testa l'ex Nar Massimo Carminati, il suo braccio destro Riccardo Brugia, e il boss delle Coop “rosse” Salvatore Buzzi già condannato per omicidio, che portarono alla luce quel “mondo di mezzo” di Mafia Capitale, dove la connivenza tra la criminalità organizzata romana, imprenditori e esponenti delle varie cosche parlamentari appartenenti sia alla destra che alla “sinistra” del regime neofascista era “determinata da una consapevole convenienza”; la decima sezione del Tribunale, presieduta dal giudice Rosanna Ianniello, ha ridicolizzato il duro lavoro degli inquirenti scagionando tutti gli imputati dall'accusa più pesante, ossia l’associazione a delinquere di stampo mafioso inclusa l’aggravante prevista dall’articolo 7.
Una sentenza ridicola e soprattutto ipocrita perché da un lato, la caduta del 416 bis ha di fatto dimezzato gli oltre 500 anni di carcere complessivi chiesti dalla procura di Giuseppe Pignatone per i 46 imputati, e dall'altro lato, ha inflitto condanne “abnormi mai viste prima per reati di corruzione” come dicono i difensori che già nei prossimi gradi di giudizio contano di ridurle sensibilmente.
In definitiva, secondo i giudici della decime sezione, quella messa su da Carminati e Buzzi è una “semplice” organizzazione a delinquere anche se capace di infiltrarsi e fare business nella gestione dei centri accoglienza per immigrati, di finanziare cene e campagne elettorali, di raggiungere politici di destra e sinistra. Un’organizzazione che, ciononostante e contrariamente a come la pensa la procura di Roma non è una cupola, non è una piovra, non è mafia ma poco più che delinquenza comune.
Non a caso gli avvocati difensori esultano: “È una pietra miliare – ha dichiarato Salvatore Diddi, legale di Buzzi – ora so che Buzzi non è un mafioso e neppure Carminati”.
“Questa sentenza è un modo serio e consapevole di ricordare Borsellino. La mafia è una cosa seria: se tutto è mafia, niente è mafia” ha rincarato Giosuè Bruno Naso, avvocato di Carminati, che tra l'altro ha già annunciato di voler chiedere l'immediata revoca del carcere duro per il suo assistito.
La sentenza infatti permette fin da subito al “karaoke della corruzione“: Carminati, Buzzi e Burgia di lasciare i rispettivi carceri di Parma, Tolmezzo e Terni dove erano sottoposti al 41bis nonostante le condanne rimediate: vent’anni a Carminati (contro i 28 chiesti dai Pm); 19 anni e 3 mesi a Buzzi (contro i 26 chiesti dall'accusa); undici anni a Brugia contro i 25 e 10 mesi richiesti.
Insieme ai difensori esultano anche le cosche parlamentari pesantemente coinvolte nei loschi affari di Mafia Capitale fra con alla testa PD e FI che all'unisono ripetono: "la mafia a Roma non esiste".
Su tutti si è distinto il renziano Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera nonché candidato a sindaco di Roma nel 2016, che ha ammonito: “D’ora in poi chi accosterà la parola mafia a Roma dimostrerà di non amare la città, continuando sciaguratamente a speculare su una notizia falsa... trovo inaccettabile che si continua a parlare espressamente di mafia: il tribunale ha sentenziato il venir meno del reato di associazione mafiosa per tutti gli imputati”.
Sulla stesso tasto battono anche i vari boss delle cosche parlamentari di destra che non vogliono sentir parlare di associazione mafiosa. "Demolito il teorema 'Mafia Capitale': da questa sentenza la Procura di Roma esce sconfitta" è il commento del senatore di Forza Italia Francesco Giro. Critico con la Procura anche il fascista Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia: “'Mafia Capitale' non è mafia. Abbiamo assistito alla criminalizzazione di un’intera città, bisognerebbe chiederne conto alla Procura. In più sembra che i giudici abbiano compensato la cancellazione della qualifica di associazione mafiosa inasprendo le condanne". Per il capogruppo dei deputati di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli non esiste "Nessuna mafia, a Roma ci sono gli stessi delinquenti di Milano, Bologna e Venezia... Quell’accusa ha innescato una deriva che ha consegnato la Capitale a un sindaco incapace... e ora chi risarcisce la città?". La sentenza ha suscitato il sarcastico commento di Roberto Saviano: “A Roma la mafia non esiste. Anche a Palermo non esisteva”.
Fondamentali per l'impianto accusatorio sono risultate le intercettazioni. Quella più famosa è di Carminati che spiega la filosofia del gruppo descrivendo il “Mondo di mezzo” dove si incontrano quello ‘di sopra’ delle istituzioni e dei “colletti bianchi” e “quello di sotto” del crimine organizzato per la spartizione degli appalti e fare affari affari perfino sulla pelle dei migranti. Tant'è che L’ex Nar, dopo la conquista del Campidoglio del PD Ignazio Marino aveva detto: “Adesso si va a bussacchiare… Che progetti c’avete?… Teneteci presenti per i progetti che c’avete, che te serve? Che cosa posso fare? Come posso guadagnare, che te serve il movimento terra? Che ti attacco i manifesti? Che ti pulisco il culo? Ecco, te lo faccio io. Perché se poi vengo a sape’ che te lo fa un altro, è ‘na cosa sgradevole”.
“Una mucca da mungere“, come diceva Buzzi intercettato il quale in una successi conversazione confessava: “Pago tutti”e in un’altra confermava quanto fosse redditizio il business dei migranti: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Eh? Il traffico di droga rende de meno!”. Lo stesso uomo che però diceva: “Noi non sfruttamo nessuno, noi semo gente de sinistra” e anche “A me me piace Matteo Renzi, che cazzo vuoi? Tu glie devi di’: “Noi siamo diventati tutti renziani, ce devi di’ che cazzo me dai in cambio?”.
Su questa base i giudici hanno condannato fra gli altri anche la moglie e la segretaria di Buzzi, Alessandra Garrone e Nadia Cerrito. A Garrone è stata inflitta una condanna di 13 anni e sei mesi mentre a Cerrito, che teneva i libri contabili di Buzzi compreso quello delle tangenti, 5 anni.
Condannati a sei anni anche l’ex presidente dell’Assemblea capitolina del Pd, Mirko Coratti (4 e mezzo la richiesta), undici per l’ex capogruppo di Forza Italia in Regione Lazio, Luca Gramazio (l’accusa aveva chiesto 19 anni e mezzo), dieci per l’ex amministratore delegato dell’azienda dei rifiuti capitolina, Franco Panzironi (sul quale pendeva una richiesta di 21 anni), vicinissimo all’ex sindaco Gianni Alemanno, cinque per Andrea Tassone, il dem che era presidente del Municipio di Ostia, tre anni per Giordano Tredicine, ex consigliere di Forza Italia.
Pena molto più severa rispetto alle richieste dell’accusa, invece, quella inflitta a Luca Odevaine, l’unico a confessare le tangenti: i giudici l’hanno condannato a sei anni mezzo, i pm avevano chiesto due anni e sei mesi. L’ex vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni in Campidoglio ed ex componente del tavolo sull’immigrazione, ha già patteggiato in continuazione 3 anni e due mesi davanti ai gup di Roma e Catania: viste le due precedenti sentenze, ne sconterà in totale otto anni di reclusione. L’ex assessore alla Casa dem Daniele Ozzimo è stato invece già condannato a due anni e due mesi anni con rito abbreviato).
I giudici hanno assolto solo cinque imputati su 46. Si tratta di Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, per i quali la procura aveva chiesto 16 anni di carcere, e l’ex dg di Ama, Giovanni Fiscon, per il quale erano stati chiesti 5 anni. Secondo l’accusa Rotolo e Ruggiero avrebbero garantito i contatti tra Mafia Capitale e ambienti della ‘ndrangheta: entrambi sono stati scarcerati. Assolti anche l’ex sindaco di Castelnuovo di Porto, Fabio Stefoni e Giuseppe Mogliani per i quali la procura aveva chiesto rispettivamente 4 anni e 6 anni. Sono 17, invece, le persone che tornano libere dopo la sentenza, tra loro anche Panzironi, Odevaine, Emanuela Bugitti, Carlo Maria Guarany, Roberto Lacopo e Mario Schina.
Le altre condanne sono per Claudio Bolla (6 anni), Stefano Bravo (4 anni e 6 mesi), Emanuela Bugitti (6 anni), Claudio Caldarelli (10 anni), Matteo Calvio (9 anni), Pierina Chiaravalle (2 anni e 8 mesi), Mario Cola (5 anni), Sandro Coltellacci (7 anni), Giovanni De Carlo (2 anni e mezzo), Paolo Di Ninno (12 anni), Antonio Esposito (5 anni), Franco Figurelli (5 anni), Agostino Gaglianone (6 anni e mezzo), Carlo Maria Guarany (5 anni), Cristiano Guarnera (4 anni), Giuseppe Ietto (4 anni), Giovanni Lacopo (6 anni), Roberto Lacopo (8 anni), Guido Magrini (5 anni), Sergio Menichelli (5 anni), Michele Nacamulli (5 anni), Franco Panzironi (10 anni), Pier Paolo Pedetti (7 anni), Marco Placidi (5 anni), Carlo Pucci (6 anni), Mario Schina (5 anni e mezzo), Angelo Scozzafava (5 anni), Fabrizio Franco Testa (12 anni), Claudio Turella (9 anni), Tiziano Zuccolo (3 anni e mezzo). Sono 113 invece gli indagati archiviati dal gip Flavia Costantini su richiesta dei pm: tra loro anche il presidente del Lazio, Nicola Zingaretti e Gianni Alemanno (per cui è rimasta in piedi l’accusa di corruzione).
La verità è che questa sentenza conferma che per farla finita con la corruzione bisogna attaccare e distruggere la radice del problema, ossia il sistema capitalista che è la fonte di tutti i mali che affliggono il mondo e di cui la corruzione e la mafia insieme alle guerre, allo sfruttamento, alla fame, povertà ne fanno parte integrante.
Basti pensare che attualmente al Comune di Roma, nonostante sia governato dai Cinquestelle, ci sono almeno 70 dirigenti sui 190 in organico, pari al 36,8 per cento del totale, indagati dalla magistratura per reati gravi e infamanti legati alla corruzione e al malgoverno. E le indagini riguardano anche molti ex assessori e dirigenti della giunta Raggi.
Solo nell’ultimo periodo sarebbero arrivati 10 avvisi di garanzia ad altrettanti dirigenti del Campidoglio e molti di loro sono stati trasferiti forzatamente ad altro incarico perché le mansioni che svolgevano erano collegate con il motivo dell’indagine a loro carico.
30 agosto 2017