Il governo Gentiloni regala alle imprese 80 miliardi
Confindustria ne vuole di più
Ai lavoratori solo briciole
Quando tiriamo in causa il governo italiano e lo definiamo governo dei padroni,
non facciamo una forzatura, non usiamo termini coloriti per rafforzare la nostra opinione, né tanto meno si tratta di un modo di dire: è l'esatta fotografia della realtà. Lo sanno benissimo i lavoratori e le masse popolari che nel linguaggio comune usano questa definizione per criticare i governanti. Sembra essersene accorto anche il Fatto Quotidiano,
che nell'edizione del 29 agosto pubblica un dossier sul fiume di denaro che, sotto varie forme, va a finire nelle tasche degli industriali. Soldi pubblici che vengono a mancare dalle casse dello Stato che poi taglia le spese destinate ai bisogni delle classi meno abbienti.
L'attuale presidente del Consiglio, al di là dei toni apparentemente dimessi, conferma la politica dei suoi più recenti predecessori: profondamente antioperaia, privatizzatrice e liberista e, a livello internazionale, interventista e imperialista. Tutti i governi borghesi sono alla fine governi dei padroni,
ma tra Renzi prima e Gentiloni dopo, e la Confindustria la sinergia e l'intesa sono esplicite e strette in una maniera tale che nemmeno Berlusconi riuscì a raggiungere.
Da lungo tempo l'associazione che rappresenta gli industriali italiani preme sul governo per una maggiore flessibilità e liberalizzazione del “mercato del lavoro” e per ottenere una tassazione più bassa, cosa che è puntualmente avvenuta. Simbolo recente di questa sinergia è senz'altro il Jobs Act che ricalca le “Proposte per il mercato del lavoro e della contrattazione” di Confindustria. L'abolizione sostanziale dell'articolo 18, i demansionamenti, i licenziamenti collettivi, i controlli a distanza, la riduzione e la cancellazione di alcune forme di cassa integrazione che hanno di fatto destrutturato lo Statuto dei lavoratori e contenuti nel Jobs Act firmato Renzi erano tutte richieste degli industriali.
Ma è sul piano strettamente economico che si sofferma l'inchiesta del Fatto Quotidiano
evidenziando come in questa legislatura, che ha visto susseguirsi i governi Letta, Renzi e Gentiloni, gli sgravi e gli incentivi regalati agli industriali supereranno l'esorbitante cifra di 80 miliardi di euro. Solo la decontribuzione triennale totale prevista dal Jobs Act per chi assumeva con contratto a tempo indeterminato (ma senza articolo 18) del 2015, e quella biennale ridotta al 40% nel 2016 costeranno 27,7 miliardi fino a fine 2017.
Secondo uno studio della Uil, quest’anno le decontribuzioni (si è aggiunta anche quella totale per il solo Sud) e i vari bonus (tipo quello del programma “Garanzia giovani”) costeranno 7,8 miliardi. Dal 2014 la spesa media annuale per questi interventi è stata di 4 miliardi e questo senza considerare la miriade di micro-incentivi. La nuova decontribuzione allo studio del governo costerà 580 milioni nel 2018, per poi salire a 2 miliardi nel 2019 per finire a 4 a regime dal 2021. Il totale fa 40 miliardi in un quinquennio. Poiché l'anno prossimo scadranno gli sgravi del 2015, la legge di Bilancio 2018 prevede il dimezzamento dei contributi per i primi tre anni per i nuovi assunti con età fino a 29 anni (forse 32). Poi uno sconto del 3% “strutturale”, cioè per sempre. Sarebbe la quarta decontribuzione in 4 anni.
Gli sgravi per gli acquisti di beni e le detassazioni varie sono costate ancora di più. Il super ammortamento per gli acquisti di impianti e macchinari, introdotto come incentivo fiscale “temporaneo” con la manovra 2016, quest'anno costerà quasi un miliardo, 1,2 l'anno prossimo. Ma anziché finire, lo sconto temporaneo è stato aumentato: è arrivato l’“iper ammortamento” per l'innovazione digitale e l'automazione che rimborserà del 60% chi compra un nuovo macchinario. In buona parte si è trattato di acquisti di automobili; chi ha potuto ne ha approfittato per cambiare i mezzi aziendali. L'occupazione in generale non ne ha tratto giovamento, solo il mercato dell'auto e il rapporto tra Renzi e Marchionne si è rafforzato.
La voce più pesante degli sgravi alle imprese, però, riguarda l’eliminazione della componente costo del lavoro dall’Irap (6 miliardi l’anno dal 2015) e - dal 2017 - il taglio di 3,5 punti dell'Ires, che unita ai super ammortamenti solo quest’anno, con altre misure complementari, farà mancare allo Stato 8,3 miliardi e ben 50 miliardi in 4 anni. Nonostante questo il presidente di Confindustria non si accontenta e il suo presidente Vincenzo Boccia chiede ancora di più, almeno altri 20 miliardi per “assumere 900mila giovani”.
Richieste pretestuose perché tutte queste concessioni non hanno nemmeno scalfito la disoccupazione che governo e padronato dichiarano di voler combattere. Nonostante i toni trionfalistici di Gentiloni, Renzi e Boschi sull'aumento del Pil previsto per il prossimo anno, tutte le statistiche ci dicono che i disoccupati non diminuiscono, i giovani sono quasi tutti senza lavoro, le nuove assunzioni sono nella stragrande maggioranza precarie. L'Italia rimane fanalino di coda in tutte le classifiche europee con una disoccupazione sopra l'11%, quella giovanile oltre il 35%, con 5 milioni di persone che vivono in povertà assoluta.
Se invece volgiamo lo sguardo verso i lavoratori non s'intravede niente nonostante il governo avesse promesso aiuti anche a loro e ai pensionati. Qualche giorno in più di permesso ai lavoratori per impegni familiari, la NASPI (la disoccupazione) che richiede requisiti più bassi a causa della frammentazione del percorso lavorativo e i famosi 80 euro in busta paga che si sono rivelati un boomerang per migliaia di lavoratori che arrivati al conguaglio annuale dell'Irpef hanno dovuto pagare una cifra superiore a quella ricevuta.
6 settembre 2017