La Francia scavalca l'Italia sulla Libia
Macron mette d'accordo Serray e Haftar. Gli interessi francesi sul petrolio
Il presidente del Consiglio presidenziale di Tripoli Fayez al-Serraj e il comandante dell'Esercito nazionale libico Khalifa Haftar, riuniti al castello di La Celle-Saint-Cloud, presso Parigi, lo scorso 25 luglio hanno raggiunto un accordo che prevede il cessate il fuoco ed elezioni “appena possibile”, probabilmente nella primavera del 2018. “Oggi la causa della pace in Libia ha fatto un grande progresso” commentava il padrone di casa e regista dell'operazione, il presidente Emmanuel Macron.
A dire il vero già il 2 maggio scorso a Abu Dhabi, Serraj e Haftar avevano raggiunto una intesa che prevedeva elezioni entro marzo 2018, scioglimento delle milizie locali e la creazione di un comando condiviso delle forze armate sotto la guida di un governo ristretto a tre rappresentanti che avrebbe affiancato l'esecutivo di Tripoli. Haftar guida l'esercito di Bengasi e nella pratica il governo non riconosciuto internazionalmente di Tobruk; Serraj poteva contare sul riconoscimento dell'Onu, il sostegno dell'Italia e sul campo quello delle milizie di Tripoli e Misurata. Queste ultime non accettavano l'intesa che quindi restava lettera morta.
A metà luglio il presidente francese Macron annunciava nuove iniziative diplomatiche sulla crisi libica mentre il ministro della Difesa transalpino Jean-Yves Le Drian aveva lisciato il pelo a Haftar reduce dalle vittorie militari nel sud del paese contro milizie vicine a Serraj. Rispetto a maggio il governo di Tripoli risultava ancora più debole, l'avversario di Tobruk più forte e coperto da una “santa alleanza” che va dalla Russia all'Egitto, all'Arabia Saudita e agli Emirati. Senza contare la Francia che con le sue truppe speciali dette una mano alle forze di Haftar per “liberare” Bengasi dalla dittatura di Gheddafi. Con tali sponsor Haftar ha potuto confermare il suo consenso all'intesa con Tripoli, accettare provvisoriamente le regole dell'Onu e giocarsi le carte, certamente migliori dell'avversario, nelle elezioni politiche del 2018. Serraj non ha molte scelte per restare in sella almeno fino alle prossime elezioni, ha gli stessi problemi del maggio scorso con le milizie che lo sostengono e gli è rimasto come sponsor l'imperialismo italiano di Gentiloni e Minniti che pure non si tirano indietro ma non possono competere più di tanto con quelli che sponsorizzano Tobruk.
Macron, presentando il vertice sulla Libia, ha sostenuto che “la Francia intende, con questa iniziativa, facilitare un'intesa politica tra il presidente del Consiglio libico e il comandante dell'Esercito nazionale libico, nel momento in cui prende le sue funzioni il nuovo inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, Ghassan Salamé”, che ha partecipato ai colloqui di Parigi. In realtà ha voluto dare una spinta per una soluzione alla crisi libica col suo cavallo Haftar in vantaggio e ha scavalcato l'Italia che si ritiene la potenza imperialista di riferimento sulla Libia. A dettare le mosse di Macron sono la difesa degli interessi dell'imperialismo francese in nordafrica che lo spingono a cercare di mettere le mani sul petrolio libico, al posto di quelle finora dominanti dell'italiana Eni.
Nulla di nuovo dato che una delle ragioni che spinsero nel 2011 l'allora presidente Nicolas Sarkozy a forzare la mano per dare il via ai bombardamenti imperialisti e demolire il regime di Gheddafi era quella di fare le scarpe alla concorrente imperialista Italia e sostituire la francese Total all’Eni quale società petrolifera di riferimento per lo sfruttamento delle risorse energetiche della Libia. Una politica proseguita dal socialista Hollande e dal destro Macron che conferma che quando sono in gioco gli interessi imperialisti di un paese la politica del governo è la stessa, che sia guidato dalla destra o dalla “sinistra” borghese.
“Voglio ringraziare il premier italiano Paolo Gentiloni con cui ci siamo sentiti in vista di questo incontro, per l'impegno dell'Italia in Libia”, recitava l'ipocrita Macron prendendosi comunque il merito dell'accordo da lui gestito e definito un “impegno storico” che può permettere “ oggi alla pace di vincere”. E il ministro degli Esteri francese Le Drian poteva permettersi di “rassicurare” il suo omologo italiano Angelino Alfano dicendo che, sulla Libia, Roma e Parigi “non possono fare nulla senza l’altro, poiché è un tema condiviso”. Intanto Parigi macina risultati sul campo, provvisori o meno vedremo, mentre l'imperialismo italiano, comunque non meno pericoloso, si occupa di muovere la flotta militare nel Mediterraneo.
6 settembre 2017