Rapporto Save The Children
Un bambino su due non ha accesso alle mense scolastiche
Penalizzati soprattutto gli alunni del Sud
Quasi la metà (il 48%) degli alunni italiani delle scuole primarie e secondarie di primo grado non ha accesso al servizio di refezione; in 8 regioni la situazione è ancora più grave, con più di 1 bambino su 2 che non ne usufruisce, mentre il divario tra Nord e Sud è sempre più ampio, con ben cinque regioni del Meridione in cui si registra la percentuale più alta di alunni che non hanno accesso alla mensa: Sicilia (80%), Puglia (73%), Molise (69%), Campania (65%) e Calabria (63%).
È la vergognosa realtà che regna nella cosiddetta “Buona Scuola” di Renzi e Gentiloni denunciata il 6 settembre scorso da Save the Children con la presentazione dal rapporto “(Non) Tutti a Mensa 2017”, quarta edizione del monitoraggio realizzato nell’ambito della campagna “Illuminiamo il Futuro”.
Delle cinque regioni del Sud in cui oltre metà dei bambini non accede alla mensa, quattro registrano anche la percentuale più elevata di classi senza tempo pieno (Molise 93%, Sicilia 92%, Campania 86%, Puglia 83%), superando ampiamente il già preoccupante dato nazionale, stando al quale circa il 69% di classi non offre questa opportunità. In quattro delle stesse regioni si osservano anche i maggiori tassi di dispersione scolastica d’Italia (Sicilia 23,5%, Campania 18,1%, Puglia 16,9%, Calabria 15,7%).
“Anche quest’anno i dati confermano che l’offerta del servizio di refezione e del tempo pieno ha un valore essenziale nel contrasto all’abbandono scolastico” commenta Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia Europa, la quale aggiunge: “La mensa, oltre a svolgere una funzione cruciale nell’educazione alimentare, rappresenta non solo un mezzo di inclusione e socializzazione fondamentale, ma anche uno strumento per combattere dispersione e indigenza. Non dimentichiamo che in Italia la povertà minorile è in costante aumento: è un dovere investire sul servizio di mensa scolastica, garantendo un pasto proteico al giorno a quel 5,7% [5] di bambini che non ha altro modo di consumarlo”.
Save the Children ha analizzato il servizio di refezione scolastica per le scuole primarie di 45 comuni capoluogo di provincia con più di 100mila abitanti, valutando tariffe, agevolazioni, esenzioni e trattamento delle famiglie morose. Anzi i comuni monitorati sono in realtà 44, poiché il comune di Messina per motivi di bilancio non ha potuto erogare il servizio in nessuna scuola per l’anno scolastico 2016/2017 oggetto della ricerca.
Dal rapporto emerge che solo in 17 di questi comuni è disponibile la mensa. A Reggio Calabria e Siracusa i beneficiari del servizio sono sotto la soglia dell’1%, mentre a Palermo si arriva a poco più del 2%. In altri 17 comuni capoluogo dove un servizio di questo tipo esiste possono accedervi meno del 40% degli alunni.
Nel 25% dei comuni monitorati per il servizio mensa non è prevista l'esenzione totale dal pagamento della retta: né per motivi di reddito o per composizione del nucleo familiare, né per gravi motivi di carattere sociale. Solo 8 comuni su 45 prevedono tale possibilità ma solo in caso di grave disagio accertato; mentre Bolzano, Padova e Salerno escludono anche questo tipo di agevolazione. La residenza, inoltre, continua a essere una discriminante per l’accesso alle agevolazioni in 27 dei comuni esaminati, penalizzando fortemente i bambini che non sono residenti nel comune.
Un altro fattore di forte discriminazione è costituito dalla scelta di 9 comuni monitorati di non consentire l’accesso al servizio mensa a quei bambini la cui retta non è stata pagata regolarmente. Loro hanno l’obbligo di mangiare in classe “subendo a volte persino l’umiliazione del tornello che, per via della tessera mensa non ricaricata, impedisce la loro entrata nel locale”. Save the Children ribadisce che “le conseguenze non devono ricadere sui bambini”.
Per quanto riguarda le tariffe il rapporto svela l'esistenza di una vera e propria giungla. Le rette massime variano dai 2,30 euro (Catania) ai 7,28 (Ferrara), mentre quelle minime vanno da 0,30 (Palermo) a 6 euro (Rimini). Tariffe salatissime che fra l'altro non garantiscono agli alunni spazi adeguati, igiene e qualità del cibo, molto spesso scadente.
Una famiglia con un reddito annuale medio (Isee 20 mila euro) pagherebbe una tariffa uguale o inferiore a 3 euro in 8 comuni, mentre in 13 sarebbe applicata loro una tariffa uguale o superiore a 5 euro. Un nucleo con reddito annuale basso (Isee 5 mila euro) sarebbe esentato dal pagamento in 9 comuni, mentre a Rimini, Bergamo, Modena e Reggio Emilia pagherebbe una tariffa superiore a 3 euro.
Quindi, sottolinea ancora il rapporto, “anche la compartecipazione delle famiglie ai costi è disomogenea: varia da un massimo nei comuni di Bergamo, Forlì e Parma, che riferiscono di caricare sulle famiglie il 100% circa del costo, a un minimo dichiarato da Bari (30%), Cagliari, Napoli e Perugia (35%).
“Queste differenze nell’accesso e nelle tariffe – spiega Antonella Inverno, responsabile Unità Policy&Law di Save the Children – sono dannose” in quanto “hanno contribuito, per esempio, a far sì che molte famiglie preferissero per i figli il panino da casa alla mensa; molti alunni sono per questa ragione costretti a consumare il pranzo da soli. Per loro il pasto diventa un momento di isolamento invece che di socialità. Il servizio mensa deve essere garantito in modo uniforme: a prescindere dalla provenienza e dalla condizione economica”.
“Fino a quando le amministrazioni locali continueranno ad avere piena discrezionalità, esisteranno delle disparità”, commenta Raffaela Milano, che spiega come “la mensa potrebbe non essere garantita affatto in caso di difficoltà finanziaria di un’amministrazione”. Esempio è quanto avvenuto a Messina, dove il servizio non è stato erogato a causa di motivi connessi al bilancio. “Per questo – aggiunge la direttrice dei Programmi Italia Europa – continuiamo a chiedere con forza la riqualificazione della mensa da servizio a domanda individuale a servizio pubblico essenziale, proseguendo lungo il percorso avviato col IV Piano Nazionale Infanzia”.
La verità è che legge di stabilità e il relativo decreto “Sforbicia Italia” varati del governo Renzi-Gentiloni per imporre il pareggio di bilancio ai Comuni e Regioni, hanno tagliato beni e servizi essenziali alla scuola pubblica a tutto vantaggio delle private che invece hanno ottenuto lauti finanziamenti. Ultima della serie la Conferenza Stato Regioni che ha decurtato quest’anno in maniera sostanziosa i fondi destinati a garantire la fruizione dei libri di testo per gli alunni meno abbienti, spingendo le scuole a rendere “obbligatorio” il versamento del contributo volontario nelle scuole dell’obbligo, come denunciano da anni moltissime famiglie che proprio a causa di ciò hanno incontrato difficoltà nell’iscrizione a scuola dei figli.
Noi rivendichiamo invece l'istituzione di mense scolastiche e scuola-bus pubblici e gratuiti dall'asilo nido a tutta la scuola dell'obbligo. La costruzione di nuovi asili nido e nuove scuole dell'infanzia pubblici e gratuiti sufficienti a coprire interamente le richieste in aree salubri e non rumorose, attrezzati per soddisfare tutte le esigenze dei bambini iscritti, con servizi di scuola-bus e mensa gratuiti, assumendo il personale necessario e prevedendo un orario di apertura e chiusura in relazione alle necessità delle famiglie dei lavoratori. Gli asili nido, come le scuole dell'infanzia, devono essere considerati un servizio sociale e non un servizio a domanda individuale a pagamento.
13 settembre 2017