Meno giovani occupati. Record dei contratti precari
Precari più di 2 contratti su 3
Hanno ben poco da gongolare il governo e gli apologeti del Jobs Act dopo la pubblicazione dei dati Istat sull'occupazione a giugno, usciti il 31 agosto scorso.
Secondo l'Istituto di statistica, gli occupati totali raggiungono quota 23 milioni, tornando allo stesso numero degli occupati nel 2008. Ciò potrebbe sembrare positivo, ma non bisogna farsi ingannare dai grigi numeri. Innanzitutto perché il numero è gonfiato dalla crescita degli occupati ultra-cinquantenni (+317mila), crescita dovuta non soltanto all'invecchiamento della popolazione ma soprattutto all'aumento dell'età pensionabile sancito dalla riforma Fornero. E poi perché l'aumento del numero degli occupati non arresta la crescita della disoccupazione generale, all'11,3%, e soprattutto della disoccupazione giovanile, che sale al 35,5%.
L'apparente controsenso ha in realtà una spiegazione molto semplice: l'enorme allargamento della platea dei lavoratori o potenzialmente tali è dovuto in via principale all'aumento dell'età pensionabile, così che persone sempre più anziane sono costrette a restare attive sul mercato del lavoro. Se quindi il numero degli occupati torna a quello pre-crisi, ciò non significa affatto che la disoccupazione è finalmente contenuta, ma soltanto che è aumentato il numero generale di chi lavora o cerca lavoro, fra cui però in percentuale la disoccupazione resta alta.
In ultimo, ma non meno importante, in circa due casi su tre i nuovi contratti sono precari e quindi l'aumento degli occupati è tutt'altro che stabile. L'Inps rileva che i contratti di somministrazione sono aumentati del 20,7% e quelli a chiamata di ben il 126,7%. È chiaro che i padroni si sono trovati costretti a ricorrere a questi contratti dopo l'abolizione dei voucher, ma anche questo dimostra quanto gli occupati siano in realtà estremamente instabili.
Nel secondo simestre del 2017 sale inoltre il tasso di occupazione delle donne, che raggiunge il 49,1%, il livello più alto mai registrato dal 1977, inizio delle serie storiche. Una magra consolazione, visto che più della metà delle donne ancora non lavorano e che l'Italia anche su questo è drammaticamente al di sotto della media europea.
Come al solito, Renzi, Gentiloni, Poletti e Padoan non si risparmiano nei commenti e “tweet” entusiasti sul ruolo salvifico della controriforma renziana del lavoro, parlando di “giusta direzione”, “effetti positivi del Jobs Act” e “quadro di ripresa”. Niente più che fumo negli occhi e manipolazione truffaldina dei dati.
Semmai le rilevazioni Istat sono un nuovo elenco dei motivi per cui c'è bisogno di dare battaglia al padronato e al governo in carica che ne cura gli interessi. Serve urgentemente un piano di investimenti pubblici straordinari per favorire l'occupazione, anzitutto giovanile, al posto dei bonus, delle decontribuzioni e di altri regali che vanno a vantaggio del capitale e non certo dell'aumento dell'occupazione, o di briciole come il reddito di inclusione. Ma tutto questo non basta neanche a breve termine senza combattere il precariato nella sua totalità in quanto rapporto di lavoro (e supersfruttamento), di fatto esteso a tutti dal Jobs Act.
27 settembre 2017