I lavoratori francesi in piazza contro la “riforma” del lavoro
180 cortei in tutta la Francia
Macron: “Non cederò a fannulloni, cinici, estremisti”
Nel mese di settembre i lavoratori francesi sono tornati in piazza contro la “Loi travail”, la controriforma del lavoro omologa alla renziana Jobs Act già presentata a suo tempo da Hollande. Il presidente socialista le aveva tentate tutte per approvarla, appellandosi perfino allo Stato d'Emergenza in vigore nel Paese transalpino, una misura imposta nel vano tentativo di bloccare eventuali azioni dello Stato Islamico sul suolo francese che Hollande intendeva applicare per vietare le manifestazioni e gli scioperi. Ma i lavoratori, assieme agli studenti, non si piegarono alle leggi speciali e nel 2016 scatenarono delle fortissime proteste che di fatto la bloccarono.
Adesso il nuovo presidente Macron ci riprova ad andare fino in fondo sperando di riuscire dove fallì il suo predecessore. Come per il Jobs Act in Italia quella francese è una controriforma che mira alla liberalizzazione del mercato del lavoro e a favorire le aziende, dove i cardini principali sono l'aumento dell'orario di lavoro e maggiore libertà di licenziamento. I contratti aziendali avranno la priorità rispetto a quelli nazionali e potranno comportare la riduzione del salario del lavoratore per 5 anni, una giornata lavorativa fino a 12 ore e settimanale fino a 60.
La Loi Travail introduce nuove motivazioni per giustificare i licenziamenti, compresi quelli collettivi: il lavoratore potrà essere spedito a casa “per rendere più competitiva l'azienda”. L'indennizzo non lo deciderà più il giudice ma sarà quantificato in base alla data dell'assunzione, fino ad un massimo di 15 mensilità per chi ha più di 20 anni di servizio. La nuova legge prevede anche la riduzione dei sussidi per i disoccupati e il restringimento delle diritti e dell'attività sindacale nelle aziende sotto i 50 dipendenti. Provvedimenti che mirano a ridurre il potere contrattuale dei lavoratori e dei sindacati e lasciare mano libera ai padroni. Non a caso la Loi travail è fortemente voluta dalla Medef, la confindustria francese.
Appena passate le elezioni presidenziali Macron ha posto questo provvedimento in cima alla lista degli impegni del governo. La riposta dei lavoratori non si è fatta attendere e il 12 settembre con una mobilitazione nazionale articolata in 180 cortei su tutto il territorio, riunendo decine di migliaia di persone (intorno a quattrocentomila secondo i promotori). Tra le organizzazioni sindacali maggiori in prima fila la Cgt, mentre rispetto al 2016 alcune sigle si sono tirate indietro, come la filogovernativa CFDT e Force Ouvrière (FO) di matrice socialista, anarchica e trotzkista anche se molte federazioni regionali di FO, in aperta polemica con le decisioni della direzione centrale, erano presenti e nei cortei si sono visti i loro striscioni.
Di fronte alle rinnovate mobilitazioni, Macron ha risposto in maniera scomposta, lanciando offese verso i manifestanti con un'arroganza che conosciamo bene anche in Italia essendo abituati a Berlusconi e Renzi. A protestare, secondo il presidente francese, si sono ritrovati “fannulloni, cinici, estremisti”. “Fannulloni” che sacrificano i soldi della giornata di lavoro per difendere i loro diritti, ma evidentemente aver visto le piazze di Parigi (55 mila persone), Bordeaux, Marsiglia, Lione e molte città medie e piccole riempite di lavoratori gli ha fatto saltare i nervi.
Un nuovo appuntamento di lotta è stato lo sciopero generale del 21 settembre, la vigilia della presentazione delle “ordinanze” in Consiglio dei ministri, punto di partenza per l’iter accelerato che dovrebbe portare al voto in parlamento, senza discussione, entro fine mese per un’entrata in vigore imminente. I mezzi d'informazione, quasi tutti asserviti al governo, hanno tentato di sminuirne la partecipazione, ma i cortei e le manifestazioni sono state partecipate come le precedenti. Al corteo parigino ci sono stati anche degli scontri con la polizia.
La Loi Travail cancella di fatto quanto conquistato dalle storiche lotte operaie con i contratti nazionali, rispondendo alle richieste degli industriali e banchieri francesi di favorire la contrattazione di secondo livello dove le deroghe ai contratti nazionali sono più’ semplici. Una procedura molto simile a quella italiana avvenuta con i patti in deroga e con il Jobs Act, e comune a quasi tutti i Paesi europei, indifferentemente se guidati dalla destra o dalla “sinistra” borghese.
La classe operaia, i lavoratori e gli studenti francesi hanno già dimostrato la loro combattività e se saranno uniti, al di là delle divisioni tra le sigle sindacali, dopo Hollande sapranno far mangiare la polvere anche a Macron.
27 settembre 2017