Intervenendo alla 72a Assemblea generale dell'Onu
Trump:”Pronti a distruggere totalmente la Corea del Nord. Il socialismo è una ideologia fallita”
Gentiloni: “L'Italia è un partner ottimo nella coalizione globale contro lo Stato islamico”. “È più quello che ci unisce a Trump, che non quello che ci divide”
Kim: “Farò pagare caro al caporione americano il suo delirio sull'estinzione della RPDC”
Nel corso della vittoriosa campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti Donald Trump aveva presentato un programma in politica estera costruito più come un insieme di slogan, comunque significativi e di sostanza per capirne la natura imperialista; il suo primo intervento all'Onu, il 19 settembre alla 72a Assemblea generale, colma questa lacuna spiegando le ragioni strategiche degli interventi dell'amministrazione americana nelle crisi mondiali, quelli già in corso d'opera e quelli che ha messo in cantiere.
Intanto “come Presidente degli Stati Uniti, metterò sempre l'America in primo luogo”, precisa Trump spiegando che “gli Stati Uniti saranno per sempre un grande amico al mondo e soprattutto dei suoi alleati. Ma non possiamo più entrare in un affare in cui gli Stati Uniti non ottengono nulla in cambio. Finché ho questo ufficio, difenderò soprattutto gli interessi americani”. Che nella politica imperialista della Casa Bianca sono ovunque nel mondo, con gli Usa che devono tornare a essere il leader riconosciuto che guida contro “le minacce alla sovranità, dall'Ucraina al Mar Cinese Meridionale”, leggi le concorrenti Russia e Cina.
Al momento il bersaglio di Trump è a un livello più basso, “il flagello del nostro pianeta oggi è un piccolo gruppo di regimi che violano ogni principio su cui si fonda l'Onu” affermava aprendo la lista dei “regimi canaglia” con la Corea del Nord.
“La ricerca sconsiderata della Corea del Nord di armi nucleari e di missili balistici minaccia l'intero mondo” ripeteva Trump minacciando che “gli Stati Uniti hanno grande forza e pazienza, ma se saremo costretti a difendere noi stessi o i nostri alleati non avremo altra scelta che distruggere completamente la Corea del Nord”. Una minaccia inaccettabile, frutto di una arroganza imperialista degli Usa che con Trump ritorna ai massimi livelli, accompagnata dalla strafottenza contro il presidente nordcoreano Kim Jong Un definito “l''uomo razzo in una missione suicida per se stesso e per il suo regime”.
Kim Jong Un rispondeva con un comunicato che pubblichiamo a parte, respingendo al mittente le minacce e assicurando che “farò pagare caro al caporione americano il suo delirio sull'estinzione della RPDC”. Per il governo di Pyongyang interveniva all'assemblea dell'Onu il ministro degli Esteri Ri Yong-ho che ribadiva: “la RPDC cerca di difendere la sua dignità nazionale e sovranità contro la politica ostile e le minacce nucleari degli Stati Uniti”. Per il ministro Ri le minacce di Trump rendevano “inevitabile, ma anche oltre, che i nostri missili 'visitino' l'intero territorio statunitense”.
Il botta e risposta all'Onu tra Washington e Pyongyang faceva crescer di nuovo la tensione sulla penisola coreana con Trump che autorizzava l'invio di alcuni caccia bombardieri in volo al largo delle coste nordcoreane e il Pentagono chiariva che era “per dimostrare che il presidente Usa ha molte opzioni militari per sconfiggere ogni minaccia”. “La Carta delle Nazioni Unite sancisce il diritto all'autodifesa degli stati membri e, visto che gli Usa hanno dichiarato guerra al nostro paese, noi abbiamo il diritto di rispondere e di abbattere i caccia americani anche se non sono ancora all'interno dei nostri confini”, rispondeva il ministro Ri; “gli Stati Uniti hanno un arsenale immenso da fornire al presidente Trump per affrontare la questione, offriremo al presidente tutte le alternative necessarie se le provocazioni di Pyongyang continueranno”, rilanciava il portavoce del Pentagono, il colonnello Robert Manning.
Il capitolo della crisi coreana alimentato dalle minacce e provocazioni dell'imperilialismo americano apre pericolosi scenari di guerra. Che per Trump non finiscono qui, ce ne possono esere altri in arrivo come quello ribadito all'Onu contro la Repubblica islamica dell'Iran. L'amministrazione americana vorrebbe mettere in soffitta il trattato sulla limitazione del nucleare iraniano firmato dal governo di Teheran con gli Usa di Obama che ha un passaggio di verifica il prossimo 15 ottobre; intanto Trump all'Onu partiva all'attacco sostenendo che “le nazioni del mondo devono affrontare un altro regime sconsiderato, uno che parla apertamente di omicidio di massa, promettendo la morte in America, la distruzione a Israele e la rovina per molti leader e nazioni in questa assemblea”; sarebbe L'Iran che “piuttosto che utilizzare le sue risorse per migliorare la vita iraniana, i suoi profitti di petrolio vanno a finanziare Hezbollah e altri terroristi che uccidono i musulmani innocenti e attaccano i loro vicini pacifici arabi e israeliani. Questa ricchezza, che giustamente appartiene al popolo iraniano, va anche a proteggere la dittatura di Bashar al-Assad, combattere la guerra civile dello Yemen e minare la pace in tutto il Medio Oriente”, ripete Trump, ricordando la sua visita a Ryad e il lancio della campagna contro l'Iran, il diretto concorrente dell'Arabia Saudita nella disputa sull'egemonia regionale. Nell'attacco all'Iran Trump trovava un alleato nel francese Emmanuel Macron che sgomita per recuperare uno spazio all'imperialismo francese in Medio Oriente.
Il presidente iraniano, Hassan Rouhani, rispondeva col lancio di un missile balistico e ricordando che il suo Paese sta rafforzando le sue forze militari e balistiche nonostante le critiche degli Stati Uniti e della Francia: “che lo vogliate o meno, rafforzeremo le nostre capacità militari, come deterrente. Per difendere la nostra patria non chiediamo permesso a nessuno”.
Per Trump il capitolo Afghanistan non è ancora del tutto chiuso e infatti difendeva la sua recente decisione di rafforzare il contigente di occupazione Usa nel paese. Ritiene quasi chiuso invece il capitolo della guerra allo Stato islamico (IS): “in Siria e in Iraq abbiamo fatto grandi vantaggi verso la sconfitta duratura di ISIS. Infatti, il nostro paese ha ottenuto più contro l'ISIS negli ultimi otto mesi rispetto a quello che ha combinato in molti anni”.
Spostandosi dall'altra parte del globo Trump si impegnava nell'attacco contro Cuba e il Venezuela. “Nell'emisfero occidentale gli Stati Uniti si sono opposti al regime corrotto e destabilizzante a Cuba. (...) La mia amministrazione ha annunciato di recente che non toglieremo le sanzioni sul governo cubano finché non faranno riforme fondamentali”, spiegava il presidente americano prima di puntare il dito sulla questione del Venezuela e dell'intervento conto la “dittatura socialista di Nicolas Maduro”. La palese ingerenza dell'imperialismo americano che calpesta la sovranità del Venezuela secondo Trump sarebbe giustificata contro “il regime socialista Maduro in Venezuela che ha portato una nazione una volta fiorente all'orlo del totale crollo”. L'attacco ai governi non certo socialisti di Cuba e Venezuela serviva a Trump per attaccare verticalmente il socialismo e il comunismo, quello “spettro” che si aggira ancora negli incubi della borghesia e dell'imperialismo. “Questo regime corrotto ha distrutto una nazione prospera imponendo un'ideologia fallita che ha prodotto la povertà e la miseria ovunque sia stato provato”, affermava ripetendo il ritornello più che logoro della borghesia, che volutamente non distingue tra comunisti e revisionisti, che “dall'Unione Sovietica a Cuba al Venezuela, ovunque sia stato adottato il socialismo o il comunismo vero, ha provocato angosce, devastazioni e fallimenti. Coloro che predicano i principi di queste ideologie screditate contribuiscono solo alla continua sofferenza delle persone che vivono in questi crudeli sistemi”. Mancava solo che dicesse che nel capitalismo sono solo rose e fiori.
D'altra parte per Trump “gli Stati Uniti d'America sono stati tra le più grandi forze per il bene nella storia del mondo e i più grandi difensori della sovranità, della sicurezza e della prosperità per tutti” e hanno ancora il compito di “sconfiggere i nemici dell'umanità e sbloccare il potenziale della vita stessa”. Con la benedizione divina.
Nella prima parte del dibattito in assemblea generale è intervenuto anche il presidente del consiglio italiano Paolo Gentiloni che ha anzitutto sventolato orgogliosamente il tricolore imperialista ricordando che “l’Italia è un partner attivo della Coalizione Globale contro Daesh”, un impegno “sul terreno sotto diversi profili: la riabilitazione di un’infrastruttura fondamentale come la Diga di Mosul, l’addestramento di migliaia di effettivi delle forze speciali irachene e di unità curde, il training delle forze di polizia federali e locali”. Gentiloni, come il collega imperialista Trump, preannunciava la vittoria contro l'IS, “la sempre più evidente perdita di terreno di Daesh in Iraq e Siria ha dimostrato che possiamo farcela insieme. È un passo che consentirà di smantellare le centrali ideologiche e logistiche degli attentati che hanno colpito l’Europa, l’Asia e l’Africa” ma avvertiva anche che “la vittoria sul terreno non è però sufficiente. Il fanatismo e l’ideologia di Daesh continuano a mietere vittime e terrore nelle nostre città”. Cessare di fare la guerra all'IS tutelerebbe il popolo italiano dalle ritorsioni terroristiche ma questa opzione non rientra nel programma imperialista di Gentiloni. Che si trova allineato con Trump su molti fronti. “Con gli Usa ci sono 70 anni di amicizia ed una collaborazione stretta che continua” affermava Gentiloni a commento del discorso di Trump all’Onu. E d'altra parte per il presidente del consiglio italiano “è più quello che ci unisce a Trump, che non quello che ci divide”. “Il presidente Usa mette l’accento non da ora sugli interessi del proprio paese, mentre noi sottolineiamo di più la necessità di un approccio multilaterale”, sarebbe la distinzione tra i due, secondo Gentiloni che ripeteva “nessun paese può risolvere da solo le crisi del mondo, oggi è un'occasione per misurare il metodo multilaterale”. Con la partecipazione in prima fila dell'imperialismo italiano sopratutto nelle questioni che riguardano l'Africa e la Libia in particolare, ricordava Gentiloni.
27 settembre 2017