7 professori arrestati
Abilitazione nazionale truccata
59 docenti di diritto tributario indagati
Fantozzi (ex ministro del “centro-sinistra”): “Voglio una cupola”
“Totale spregio per il rispetto del diritto proprio da professori che sarebbero deputati a insegnare il valore di esso”: con queste parole il gip di Firenze definisce il primo esito delle indagini che, partite dalla denuncia di un tributarista della città del Giglio, aspirante professore universitario, si sono sparse a macchia d'olio investendo tutto il sistema dell'abilitazione scientifica nazionale (Asn) in Italia, portando 7 docenti agli arresti domiciliari, 22 interdetti dall'insegnamento e dalle funzioni accademiche per 12 mesi e ben 59 indagati. L'accusa è di corruzione per avere truccato le procedure per l'Asn ed essersi scambiati reciprocamente favori per spartirsi l'assegnazione delle cattedre universitarie.
A partire dalla “riforma” Gelmini del 2010, infatti, per accedere ai concorsi per diventare professore universitario (associato o ordinario, quindi non a contratto a termine) è necessario passare attraverso la suddetta abilitazione, che è divisa per settori disciplinari, ognuno dei quali facente capo ad una commissione giudicatrice composta da 5 docenti ordinari con il compito di analizzare e valutare la produzione scientifica e l'esperienza accademica del candidato. Già allora questo era uno dei punti più contestati dell'odiata controriforma berlusconiana: mentre sbandierava la meritocrazia improntata su un sistema di valutazione della ricerca irreggimentato e standardizzato, favoriva clientelismo e baronato mettendo proprio dei docenti ordinari al vertice della procedura di abilitazione. Ma il sistema è stato tenuto in piedi, intoccato, anche da Monti, Letta, Renzi e Gentiloni.
L'indagine fiorentina è stata curata dal procuratore aggiunto Luca Turco e dal pm Paolo Barlucchi a seguito della denuncia di Philip Laroma Jezzi, 49 anni, tributarista anglo-italiano. Nel novembre 2012 decide di presentare la candidatura all'Asn, scontrandosi con un baronato che aveva già deciso chi avrebbe dovuto vincere la tornata. Il 21 marzo 2013 viene contattato telefonicamente da Pasquale Russo, professore di diritto tributario dell'Università di Firenze, che cerca di convincerlo a lasciare, perché deve passare un associato dello studio di Russo. Laroma lo registra: “Non siamo sul piano del merito, Philip”, “Smetti di fare l'inglese e fai l'italiano”, “Non puoi non accettare”, fino all'affermazione più grave: “Che fai? Fai ricorso? Però ti giochi la carriera così”. E infatti in questa logica perversa di clientelismo e favoritismi “conviene” aspettare il proprio turno, poiché mettersi contro il sistema baronale può significare vedersi tagliate le gambe. Per fortuna Laroma va fino in fondo, porta le registrazioni agli investigatori e fa partire l'indagine.
Le esternazioni di Russo sono comunque molto chiare e danno l'idea di come funzioni questo giro di nomine e favori, dove la qualità della ricerca non c'entra proprio niente, e lo ribadisce in una telefonata al collega Adriano Di Pietro, intercettata, dove sostiene che Laroma “come intelligenza e come laboriosità vale il doppio”. Ad un altro collega, Guglielmo Fransoni, membro della commissione Asn, ora ai domiciliari, dice: “Non è che si dice 'è bravo' o 'non è bravo'. No, si fa questo è mio, questo è tuo”.
La procura di Firenze aggiunge che fra i docenti di diritto tributario si erano formati veri e propri cartelli di corruzione. In cui era presente pure Augusto Fantozzi, già professore di diritto tributario dell'impresa, attuale rettore dell'Università di Benevento con un passato nella politica istituzionale: è ministro delle Finanze con Dini e del Commercio nel primo governo Prodi, poi è deputato del “centro-sinistra” dal 1996 al 2001. Successivamente viene scelto da Berlusconi come commissario straordinario di Alitalia. Questo per avere un'idea della profondità della rete di consorterie accademiche, addirittura nel 2014 Fantozzi, secondo quanto riportato dal “Corriere della sera”, avrebbe caldeggiato la ricerca di un gruppo di “persone di buona volontà” con cui formare “un gruppo di garanzia che riesca a gestire la materia nei futuri concorsi”, che chiamava “una nuova cupola”.
Che le indagini proseguano e vadano più a fondo è naturalmente auspicabile. Ma il problema è politico, di sistema. Il sistema di abilitazione così com'è, accanto a quello di valutazione della ricerca che ne danneggia fortemente la qualità, è uno dei frutti più velenosi dell'imposizione in ambito accademico della cultura capitalista del mercato e della competizione. Va respinto, ma la soluzione non può essere, come caldeggiato da più rettori, la chiamata diretta: essa non fermerebbe il clientelismo e anzi imporrebbe altre logiche perverse, allargando il già considerevole potere dei rettori, aggravando i divari fra le università più ricche e quelle più svantaggiate e mettendo a rischio la libertà d'insegnamento e di ricerca. Né può bastare la figura del “responsabile della trasparenza e della prevenzione della corruzione”, annunciato dalla ministra Fedeli. Serve invece lottare per democratizzare l'università e i suoi processi. Una ragione in più per battersi per l'università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti.
4 ottobre 2017