Sull'esempio dei fascio-leghisti di Lombardia e Veneto
Anche l'Emilia-Romagna rivendica maggiore autonomia
Dal nostro corrispondente dell’Emilia-Romagna
Lo scorso 3 ottobre il Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna, dopo aver discusso il Documento di indirizzi varato dalla giunta regionale, ha approvato una risoluzione che dà il mandato al presidente della Regione Stefano Bonaccini (PD) ad avviare il negoziato con il governo per ottenere più poteri in molti ambiti.
Così dopo la Lombardia e il Veneto, dove il 22 ottobre si terrà un referendum consultivo sull'autonomia delle due Regioni indetto dai rispettivi presidenti fascio-leghisti Roberto Maroni e Luca Zaia, anche l’Emilia-Romagna, rivendicando un ruolo primario nell’economia nazionale, vuole giocare “in proprio” la partita della competizione economica con le zone più forti a livello europeo. Seguendo però una strada diversa rispetto a Lombardia e Veneto che puntano sul referendum, l’Emilia-Romagna non chiede di divenire una nuova regione a statuto speciale, ma di avere “forme e condizioni particolari di autonomia” attraverso una legge dello Stato approvata a maggioranza assoluta, sulla base di un’intesa fra il governo e la regione interessata, come previsto dall’articolo 116, comma terzo, della Costituzione, per le Regioni a statuto ordinario.
La risoluzione, che è stata approvata con i voti di PD, SI e MdP, astenuti FI e Altra Er, contrari LN e FdI mentre il M5S non ha partecipato al voto, dà il via alla trattativa col governo per negoziare maggiore autonomia su “Tutela e sicurezza del lavoro, istruzione tecnica e professionale; internazionalizzazione delle imprese, ricerca scientifica e tecnologica, sostegno all'innovazione; territorio e rigenerazione urbana, ambiente e infrastrutture; tutela della salute; competenze complementari e accessorie riferite alla governance istituzionale e al coordinamento della finanza pubblica”.
“Attraverso la Costituzione, intendiamo fare ciò che in Italia non è mai stato fatto - ha detto Bonaccini aprendo la discussione generale in Consiglio regionale - chiedere e ottenere maggiore autonomia per l’Emilia-Romagna, per poter gestire direttamente competenze in materie cruciali. Senza chiedere più soldi allo Stato centrale, bensì trattenendo alla fonte, qui, una parte delle risorse generate nel nostro territorio, risorse, lo abbiamo dimostrato diventando la regione che cresce di più nel Paese e aprendo la strada a più di un provvedimento nazionale, che siamo certi sapremo utilizzare al meglio per migliorare ulteriormente i servizi forniti ai cittadini, continuare a crescere e creare occupazione”. Tesi queste che sposano appieno la linea fascio-leghista che ha sempre rivendicato egoisticamente che ogni territorio trattenga la ricchezza prodotta, al di fuori del principio di equa distribuzione su tutto il territorio nazionale, come se fosse colpa delle masse di un dato territorio la mancanza di infrastrutture e investimenti, la vessazione della borghesia nazionale e locale, l’infiltrazione malavitosa che ne condiziona lo sviluppo e via dicendo.
Tanto è vero che lo stesso Bonaccini afferma che Zaia e Maroni lo “accusano di rincorrerli” e precisa che è “arrivato dopo” solo per aver atteso l’esito del referendum sulla controriforma costituzionale voluto dal nuovo duce Renzi e bocciato dal voto popolare, il quale avrebbe permesso di seguire un’altra strada, avviando poi il percorso della trattativa col governo. Ribatte: “come mai Zaia chiede il referendum a pochi mesi dalle politiche, quando è sette anni che è al governo della Regione? Come mai
non ha mai chiesto l’autonomia? Eppure per anni Regione e governo sono stati dalla stessa parte politica”.
Bonaccini ha accusato i leghisti: "Parlate di autonomia fiscale, federalismo, secessione, Regione a statuto speciale e devolution, ma non sono la stessa cosa". E invece nel regime capitalista e neofascista imperante queste sono tutte facce dello stesso dado, e l’uno non può che portare all’altro, la rincorsa sul tema del federalismo e dell’autonomia dallo Stato non può che portare ulteriori divisioni fra le masse, di cui non godranno neppure le masse delle regioni più ricche perché il maggior profitto sarà per le borghesie locali che avranno meno tasse e vincoli e potranno aumentare ulteriormente i loro già lauti profitti.
11 ottobre 2017