Dopo aver capitolato sospendendo l’esito del referendum sull’indipendenza e rimandato le elezioni politiche all’indomani della sconfitta militare a Kirkuk
Barzani si dimette da presidente del Kurdistan iracheno
Usa e Gran Bretagna gli danno il ben servito dopo averlo utilizzato nella guerra contro lo Stato islamico
Riesplodono le contraddizioni mai sopite tra PDK, UPK e Gorran
Scaricato dalla santa alleanza imperialista guidata dagli USA che gli ha dato il ben servito dopo averlo utilizzato nella guerra contro lo Stato islamico e che non ha mosso un dito di fronte all’offensiva dell’esercito iracheno, che si è ripreso in pochi giorni tutte le zone contese controllate dai curdi, a partire dalla strategica Kirkuk, sempre più isolato sul fronte estero, dove Iran, Iraq e Turchia avevano reagito veementemente al referendum indipendentista del 25 settembre con pesanti minacce seguite da rappresaglie politiche, economiche e militari, aspramente contestato all’interno dai partiti rivali, il 29 ottobre, Massoud Barzani, presidente del governo regionale del Kurdistan iracheno (KRG) e leader del partito di maggioranza, partito democratico del Kurdistan (PDK), ha annunciato le sue dimissioni. Lo ha fatto con una lettera indirizzata al parlamento di Erbil: “Rifiuto di continuare nella posizione di presidente e consiglio il parlamento di risolvere la questione dei doveri e dei poteri del presidente in modo che non ci sia un vuoto di potere” per poi concludere che continuerà “ad essere un peshmerga nelle file del popolo curdo”. Nella stessa giornata sono arrivate le sue dichiarazioni a stampa e tv, vere e proprie lacrime di coccodrillo. “Nessuno è stato accanto a noi se non le nostre montagne – ha dichiarato un amareggiato Barzani - . Perché Washington vuole punire i curdi? Senza l’aiuto dei peshmerga le forze irachene non avrebbero potuto liberare da sole Mosul dall’Isis”.
Poco dopo l’annuncio delle dimissioni di Barzani gruppi di giovani del PDK, armati di bastoni, hanno assaltato la troupe della tv RNT vicina all’opposizione, mentre altri gruppi hanno cercato di fare irruzione in parlamento per prendere in ostaggio i leader dell’Unione patriottica del Kurdistan (UPK) del recentemente defunto leader Talabani e del Gorran. Membri dell’UPK hanno riferito di numerosi saccheggi nei loro uffici nella regione di Duhok.
Dal 1° novembre i poteri del presidente sono stati spartiti tra governo, parlamento e magistratura in attesa di un nuovo leader. Barzani comunque resterà a capo dell’Alto consiglio politico, organo creato per gestire la fase post-referendum. Il tutto fino alle prossime elezioni parlamentari e presidenziali che sono state rinviate a luglio 2018. Un lasso di tempo durante il quale Barzani spianerà la strada al già affermato nipote Nechirvan, attuale primo ministro del governo regionale curdo, nonché tessitore degli accordi energetici con la Turchia nel 2013 e leader prediletto del boia Erdogan. Una delle tante facce del potere del clan di Barzani, da decenni alla guida di politica e economia del Kurdistan iracheno con il beneplacito dell’imperialismo, USA in testa, simbolo di corruzione, clientelismo e verticismo.
L’avanzata militare irachena in appena 11 giorni ha cancellato tutti i sogni e le illusioni che il referendum per l’indipendenza aveva suscitato. Sia il Gorran che l’UPK sono stati tacciati di tradimento dal PDK di Barzani, di aver aperto a Baghdad e ordinato la ritirata dei peshmerga a loro legati da Kirkuk e dalle altre zone contese all’Iraq. UPK e Gorran dal canto loro si erano opposti sin dal principio al referendum ritenuto prematuro e rischioso. Rinfacciando a Barzani di volerlo subito per distrarre l’opinione pubblica dalla disastrosa crisi economica che sta mettendo in ginocchio il Kurdistan iracheno e consolidare la sua posizione al solo fine di restare al potere.
Eletto per la prima volta nel 2005 presidente del KRG e confermato 5 anni dopo, Barzani aveva poi ottenuto un’estensione del mandato fino al 2015. Da allora, complice anche il caos istituzionale, la chiusura del parlamento di Erbil e la guerra all’IS, era rimasto al potere. Che il Kurdistan iracheno fosse diviso non era certo un segreto, tanto che tutt’oggi, nelle province governate i maggiori partiti ne gestiscono la sicurezza con proprie milizie e amministrazioni che rispondono alle autorità politiche locali e non al potere centrale. Ora le dimissioni di Barzani hanno fatto riesplodere pesantemente le contraddizioni mai sopite.
Così mentre Barzani afferma che “non cadremo in una guerra civile”, prima il dittatore fascista turco Erdogan è volato a Teheran, dopo è stata la volta del premier iracheno al Abadi a recarsi in Turchia, entrambi per accordare i sonini sul Kurdistan, entrambi d’accordo nell’inasprire il giro di vite contro i curdi iracheni e non. Dagli USA e Gran Bretagna, che grazie ai peshmerga da loro armati e diretti, hanno portato morti e distruzioni immani nello Stato islamico, nessun commento sulle dimissioni di Barzani e sulla nuova ondata di repressione dei curdi. Neanche l’UE ha chiesto il disarmo delle milizie illegali o la libertà di espressione dopo l’oscuramento, in violazione delle leggi sull’autonomia, di due televisioni curde da parte del governo centrale iracheno. Un’ulteriore stretta annunciata da al Abadi per ridurre l’autonomia politica, economica e militare del Kurdistan iracheno.
8 novembre 2017