Nell'inchiesta sui mandanti occulti delle stragi mafiose del '92-'93
Berlusconi indagato
Anche Dell'Utri è indagato
Vergognoso silenzio del PD di Renzi e dei media di regime
Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono indagati di nuovo come possibili mandanti occulti delle stragi politico-mafiose del 1993, gli attentati che colpirono in sequenza Firenze, con l'autobomba in via dei Georgofili che causò 5 morti, Roma, con la bomba alle chiese del Laterano e del Velabro, e Milano, con l'autobomba in via Palestro che fece altri 5 morti. Berlusconi e Dell'Utri erano già stati indagati due volte dalle procure di Firenze e di Caltanissetta, tra il 1996 e il 2011, quali mandanti delle stragi del '93 sotto i nomi convenzionali di “autore 1” e “autore 2”, ma entrambe le inchieste erano state archiviate per insufficienza di prove.
Il capo della procura di Firenze, Giuseppe Creazzo, ha già ottenuto dal gip la riapertura del fascicolo che era stato archiviato nel 2011, alla luce dei nuovi elementi emersi di recente. Alla Direzione investigativa antimafia è stato chiesto così di vagliare accuratamente le parole pronunciate nel carcere di Ascoli Piceno dal boss mafioso Giuseppe Graviano, l'uomo che ha avuto un ruolo chiave in tutte le stragi ordinate da Totò Riina, intercettato dai pubblici ministeri palermitani del processo sulla trattativa Stato-mafia mentre parlava con un compagno di cella, il camorrista Umberto Adinolfi, al quale aveva fatto i nomi dell’ex presidente del Consiglio e dell’ex senatore di Forza Italia. Quest'ultimo sta attualmente scontando una condanna definitiva a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Si tratta di 32 conversazioni, registrate tra il marzo 2016 e l’aprile del 2017 durante le ore di socialità condivise dai due detenuti nel carcere marchigiano, depositate nel giugno scorso agli atti del processo sulla trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Nino Di Matteo, Roberto Del Bene e Roberto Tartaglia, che hanno iscritto il nome del boss di Brancaccio nel registro degli indagati con le accuse di minaccia a corpo politico dello Stato in concorso con altri capi mafia. Lo stesso reato contestato ai dieci imputati del processo sulla trattativa, tra cui lo stesso Dell'Utri. Ora tutto il dossier è stato inviato dai pm palermitani anche alle procure di Firenze e Caltanissetta, che indagano rispettivamente sulle stragi del 1993 e quelle del 1992. Da cui le nuove indagini, che Firenze ha già riaperto mentre Caltanissetta sta ancora valutando.
“Berlusca mi ha chiesto questa cortesia”
“Berlusca mi ha chiesto questa cortesia: per questo c’è stata l’urgenza. Lui voleva scendere… però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa“, dice Graviano intercettato mentre parla con Adinolfi: per i pm c'è la convinzione che Graviano alludesse all’intenzione di Berlusconi di entrare in politica già nel 1992, e la “bella cosa” alluderebbe a qualcosa di forte in grado di creare il clima adatto a sovvertire l’ordine del Paese, facendo fuori la vecchia classe politica già fortemente demolita da Tangentopoli. Qualcosa come una strage, appunto, o meglio una serie di stragi sul modello della “strategia della tensione” inaugurata dalla strage di Milano del 12 dicembre 1969.
E' difficile infatti non vedere il nesso tra quella “cortesia” di cui parla Graviano con le rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza il quale, raccontando di aver incontrato il suo capomafia a Roma il 21 gennaio 1994, ha detto: “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia”. In quegli stessi giorni Dell'Utri era a Roma per tenere una convention di Forza Italia all'hotel Majestic, sempre in via Veneto, il giorno successivo all'incontro tra i due, e il suo arrivo a Roma è datato 18 gennaio, dunque per gli inquirenti è possibile che si sia incontrato faccia a faccia col boss di Brancaccio.
Graviano disse anche a Spatuzza che l’attentato ai carabinieri si doveva fare lo stesso “perché gli dobbiamo dare il colpo di grazia“. Si trattava del progettato attentato allo stadio Olimpico contro il pullman dei carabinieri che gestiscono il servizio d’ordine pubblico durante le partite di calcio, attentato che avrebbe dovuto concludere in crescendo la serie di stragi di quel biennio, ma che poi non avvenne a causa di un guasto al telecomando collegato all’autobomba. E' quella serie di stragi la “cortesia” che Berlusconi aveva chiesto a Graviano? Sta di fatto che è durante quella sanguinosa stagione che il delinquente di Arcore organizza e mette in atto la sua “discesa in campo”, creando il partito di Forza Italia che raccoglie tutta la destra, dai fascisti ai democristiani e agli ex socialisti, e conquista il governo del Paese, come del resto aveva già preannunciato con qualche mese di anticipo lo stesso Graviano.
Non ci sono solo le intercettazioni di Graviano
D'altra parte il primo giudice di Firenze che archiviò per mancanza di prove sufficienti l'inchiesta su Berlusconi e Dell'Utri quali mandanti politici delle stragi, scrisse comunque che entrambi gli indagati avevano “intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il progetto stragista”. E l'ultimo giudice di Firenze che si era occupato del caso aveva comunque ritenute attendibili le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza circa il colloquio con Graviano al bar Doney. Marcello Dell'Utri, condannato a 7 anni per essere stato il tramite con Cosa nostra fin dal '74, è stato assolto dalle accuse “successive al 1992”, ma la Cassazione ha appurato anche che Berlusconi stipulò un “patto di protezione” con la mafia”, al punto da assumere il boss Vittorio Mangano come stalliere nella sua villa di Arcore quale “garante” di tale accordo.
Nino Di Matteo, parlando qualche tempo fa davanti alla Commissione parlamentare antimafia, aveva ricordato che Salvatore Cancemi “mi disse che Riina, durante la riunione in cui si assunse la responsabilità di eseguire presto la strage Borsellino, citò i nomi di Berlusconi e Dell'Utri come soggetti da appoggiare ora e in futuro”.
Pochi giorni dopo il colloquio al bar Doney – il 27 gennaio del 1994 – il boss di Brancaccio fu arrestato a Milano, e oggi, dopo anni di carcere duro, pare inviare avvertimenti minacciosi all'indirizzo dell'ex cavaliere, come ad accusarlo di non aver mantenuto i patti: “Berlusconi – dice infatti Graviano al suo compagno di cella – quando ha iniziato negli anni ’70 ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel ’94 si è ubriacato e ha detto: Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore”.
Su questo argomento Graviano insiste più volte nelle intercettazioni: “Venticinque anni mi sono seduto con te, giusto? – dice in un altro passaggio – Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi. Dice: non lo faccio uscire più, perché sa che io non parlo, perché sa il mio carattere. Perché tu lo sai che io mi sto facendo, mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta e senza soldi: alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni, i giorni passano, gli anni passano, io sto invecchiando e tu mi stai facendo morire in galera“. Quindi parte parte l'avvertimento: “Al Signor Crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia. Pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste“.
Il silenzio “attendista” del boss di Brancaccio
Il 28 marzo scorso Graviano fu interrogato in carcere dai giudici di Palermo che gli contestavano le frasi intercettate, e che oltre a chiamare in causa Berlusconi e Dell'Utri confermavano l'avvenuto scambio tra Stato e mafia, in particolare dopo il temuto golpe successivo alle bombe alle chiese di San Giovanni in Latrerano e di San Giorgio al Velabro, quando per alcune ore Palazzo Chigi restò completamente isolato: dopo quell'episodio, infatti, come Graviano sottolinea nelle intercettazioni vantandolo come un successo della strategia delle stragi, l'allora ministro della Giustizia, Conso, revocò il carcere duro per 300 mafiosi. Ma in quell'interrogatorio il boss si avvalse della facoltà di non rispondere: “Quando sarò in condizioni sarò io stesso a cercarci e a chiarire alcune cose che mi avete detto”, disse agli inquirenti accampando le sue condizioni di salute, “che oggi non mi consentono di potere sostenere un interrogatorio così importante ed anche a causa del mio stato psicologico derivante dalle condizioni carcerarie che mi trovo costretto a vivere”.
Se si mette in connessione il suo rifiuto di collaborare con gli inquirenti con gli avvertimenti a Berlusconi pare di capire che il boss si tiene per ora in serbo le sue rivelazioni in attesa di vedere l'evolversi della situazione politica, che potrebbe anche vedere un ritorno di Berlusconi al governo in una coalizione di “larghe intese” con Renzi. In questo quadro la campagna tentata qualche mese fa per concedere gli arresti domiciliari per motivi di salute a Riina, e più in generale le spinte per allentare le maglie del 41 bis per “motivi umanitari”, può essere interpretata come un segnale ai boss mafiosi; per non parlare del vero e proprio boicottaggio che governo e istituzioni fanno alle indagini sulla trattativa Stato-mafia e segnatamente al pm Di Matteo. Tutti segnali che spingono i mafiosi in carcere a non parlare sperando che prima o poi il vento politico cambi a loro favore.
Su questo silenzio si basano le speranze di Berlusconi di farla franca anche da questa nuova inchiesta, con i suoi avvocati che si arrampicano sugli specchi sostenendo la tesi ridicola che invece di “Berlusconi” Graviano avrebbe pronunciato la parola “benissimo” o “bravissimo”. In ciò incoraggiato anche dal silenzio non solo del PD del suo amicone Renzi, ma di tutta la grande stampa di regime, della Rai e di La7 (le reti Mediaset le diamo per scontate), che non hanno dato il minimo risalto alla notizia, relegandola tra quelle minori e facendola subito sparire dalle cronache., Tant'è vero che lo stesso delinquente di Arcore, consigliato dai suoi avvocati, mentre in passato aveva fatto fuoco e fiamme contro i giudici, ora evita di parlarne per non turbare il compiacente silenzio sotto cui la clamorosa notizia che egli è indagato quale possibile mandante politico delle stragi del '93 è passata sui media.
15 novembre 2017