Palestinesi in piazza contro le celebrazioni a Londra della dichiarazione Balfour
Questo documento di cento anni fa è all'origine dello scippo della Palestina da parte dei sionisti
Il 2 novembre si sono tenute a Londra le celebrazioni in occasione del Centenario della Dichiarazione Balfour, il documento redatto nel 1917 dall'allora ministro degli Esteri inglese che prometteva la creazione di un “focolare nazionale ebraico” in Palestina; non lo chiamava uno Stato ma tanto è bastato ai sionisti e ai loro sostenitori imperialisti per fare del documento l'origine dello scippo della Palestina. Per le strade di Londra e soprattutto in Palestina, il 2 novembre e nei giorni successivi, decine di migliaia di palestinesi hanno manifestato contro il governo inglese e per i diritti nazionali che il documento colonialista ha calpestato.
Fianco a fianco la premier inglese Theresa May e il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu hanno celebrato la ricorrenza a Londra. “Lo Stato di Israele non sarebbe sorto senza accordo, sacrificio e volontà di combattere per esso, l’impulso internazionale è stato rappresentato senza dubbio dalla Dichiarazione Balfour”, dichiarava il boia sionista Netanyahu, “la dichiarazione di Balfour ha riconosciuto la terra di Israele come la casa nazionale per il popolo ebraico e ha avviato i movimenti internazionali che hanno portato alla creazione di Israele” nel 1948. La premier May definiva la Dichiarazione Balfour come “uno dei documenti più importanti della storia” e dichiarava che la Gran Bretagna doveva essere “fiera del suo ruolo da pioniera nella creazione dello Stato d’Israele”.
Financo il filoimperialista presidente palestinese Abu Mazen da Ramallah era spinto a protestare, ricordando che la nascita dello Stato d’Israele nel 1948 provocò circa 750 mila profughi palestinesi e milioni di loro discendenti tuttora profughi in altri paesi, e a chiedere al governo britannico di “scusarsi pubblicamente” con il popolo palestinese e risarcirlo “politicamente, materialmente e moralmente, riconoscendo lo Stato della Palestina”. Anche il primo ministro palestinese Rami Hamdallah ribadiva il suo appello al governo inglese affinché “si assuma le responsabilità per il suo errore storico commesso contro il nostro popolo, per correggerlo, invece di celebrarlo, chiedendo scusa e riconoscendo lo Stato palestinese, sostenendo la sua istituzione e compensando il popolo palestinese per quello che hanno sofferto a causa di questa catastrofe umanitaria”. E ribadiva che “è diritto del nostro popolo difendersi con tutti i mezzi garantiti dalle convenzioni internazionali, è un suo diritto quello alla libertà e all’indipendenza e alla creazione del suo stato palestinese indipendente e sovrano”, seppur “sulle frontiere del 1967 con Gerusalemme come capitale”.
Fra le manifestazioni in Cisgiordania contro le celebrazioni a Londra, quella che si è svolta a Betlemme il 2 novembre ha visto un corteo palestinese sfilare per la città fino alla parte settentrionale, alla zona chiusa dall'illegale muro di separazione costruito dai sionisti dove i dimostranti hanno lanciato scarpe contro un manichino somigliante ad Arthur Balfour e bruciato una copia della dichiarazione. La manifestazione terminava con scontri allorché i militari sionisti sparavano candelotti lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere i dimostranti. Le manifestazioni erano accompagnate da forme di protesta quali il suono delle sirene nelle scuole palestinesi per sottolineare la giornata di lutto e migliaia di lettere di protesta degli studenti inviate alle sedi diplomatiche e alle rappresentanze britanniche in Israele e Cisgiordania.
Una manifestazione di inglesi e di membri della comunità araba e islamica, partita dall’ambasciata americana nel centro di Londra, sfilava per le vie della capitale inglese il 7 novembre contro la promessa di Balfour e chiedendo la libertà per la Palestina e il suo popolo.
La dichiarazione che il ministro degli esteri del governo di sua maestà Arthur J. Balfour inviò all'allora vicepresidente della federazione sionistica inglese, lord W. Rotschild, il 2 novembre 1917 rispondeva tra le altre all'esigenza dell'imperialismo inglese di conquistarsi il sostegno sionista in un momento delicato della prima guerra mondiale. Il 16 maggio 1916 i rappresentanti di Gran Bretagna e Francia, Mark Sykes e George Picot, avevano firmato l'intesa che disegnava la futura mappa del Medio Oriente, stabilendo col righello confini inesistenti fra gli Stati ma che tracciavano linee che rappresentavano la spartizione fra le due potenze coloniali, con l’assenso della Russia zarista, della regione dal Tigri fino al Mediterraneo, sostituendo il dominio ottomano col loro per controllare le risorse mediorientali, nonché la zona che rappresentava il corridoio di accesso all’Oriente.
L'imperialismo britannico per arrivare all'obiettivo definito nell'accordo Sykes-Picot, peraltro mai ratificato dai parlamenti di Londra e Parigi, giocava sporco nella ricerca di alleanze contro i turchi; tra novembre 1915 e marzo 1916 l’Alto commissario britannico al Cairo, Mac Mahon, prometteva al reggente alla Mecca, lo sharif Al Huseyn, il via libera inglese alla fondazione della nazione araba. Che non ha visto la luce. In parallelo il governo inglese trattava con le lobby sioniste che già erano scese in campo per perorare l'ingresso degli Usa nel conflitto a sostegno della Gran Bretagna. E attraverso non un atto formale del governo ma di una lettera scritta dal ministro degli Esteri dichiarava che “il governo di sua Maestà considera con favore lo stabilimento in Palestina di un focolare nazionale (national home) per il popolo ebraico e impiegherà i suoi migliori sforzi per facilitare la realizzazione di questo obiettivo”. Che sarà realizzato.
Come abbiamo denunciato in un precedente articolo, (vedi Sulla costituzione dello Stato di Israele, www.pmli.it/questionecostituzionestatoisraele.htm) attraverso questo documento si tentò di avallare l'idea falsa e mostruosa che la Palestina fosse una terra senza popolo da offrire ad un popolo senza terra, mentre nella realtà uno Stato oppressore concedeva ad un'entità che nazione non era il territorio di una nazione che legittimamente aspirava a diventare uno Stato libero ed indipendente.
15 novembre 2017