60 milioni di dollari degli Usa ai “G5 Sahel” per combattere il “terrorismo”
Cinque soldati americani uccisi in Niger durante una missione contro formazioni aderenti allo Stato islamico
L'imperialismo americano stanzierà 60 milioni di dollari per sostenere il G5 Sahel, annunciava il segretario di Stato americano Rex Tillerson lo scorso 30 ottobre, proprio alla vigilia dell'inizio della prima operazione di reparti della forza militare nella zona di confine tra il Mali, il Niger e il Burkina Faso. Reparti di soldati maliani, nigerini e burkinabè, accompagnati da un centinaio di soldati francesi presenti nell'area con la missione Barkhane, si schieravano in varie località mentre era in corso al Consiglio di sicurezza dell’Onu la riunione con all'ordine del giorno il finanziamento e il sostegno a questa forza multinazionale africana. La formazione militare è composta anche da soldati di Mauritania e Ciad, per un totale di circa 5.000 militari dei cinque paesi del Sahel, ma organizzata e guidata di fatto dai legionari di Parigi tornati in forze nell'area delle ex colonie sotto la presidenza del socialista Francois Hollande e sempre più presenti per impulso dell'attuale presidente Emmanuel Macron.
L'imperialismo francese si è tirato dietro la Ue, con le iniziative dell'alto commissario Federica Mogherini, impegnandosi in azioni di guerra per combattere il “terrorismo”, contro formazioni che hanno aderito allo Stato islamico e per tenere nel frattempo sotto controllo militare uno dei bacini geografici da cui partono i migranti verso l'Europa; la missione di “contenimento” dei flussi migratori interessa anche l'imperialismo italiano e il governo di Paolo Gentiloni non ha fatto mancare il suo sostegno a Macron.
Nella prima fila dei combattenti contro il “terrorismo” anche nella regione del Sahel non poteva mancare l'imperialismo americano che prometteva l'iniezione di 60 milioni di dollari alla forza congiunta del G5 Sahel. Finanziamenti che si sommano ai 50 milioni di euro stanziati dalla Ue e ai 10 milioni di euro a testa promessi dai paesi africani direttamente interessati. Ci vorrebbero oltre 400 milioni di euro per allestire il contingente di 10 mila uomini ipotizzato al varo della forza congiunta ma grazie all'arrivo dei dollari americani il progetto può andare avanti con numeri ridotti dei paesi dell'area; l'efficacia degli interventi militari è comunque garantita dai 3 mila soldati francesi dell’operazione Barkhane e dai reparti americani inviati dal comando Usa di Africom in Africa occidentale.
“Prevediamo che i paesi del G5 assumeranno la piena proprietà della forza regionale entro un periodo che va da tre a sei anni, con un continuo impegno americano”, garantiva l'ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite, Nikki Haley, a conferma che l'imperialismo americano vuole aumentare il suo impegno interventista nell'area. Quanto ai finanziamenti che mancano per rimpinguare le casse della forza congiunta, ci dovrebbe pensare una apposita conferenza di paesi donatori già in programma a Bruxelles nel prossimo dicembre.
L'amministrazione americana si è dichiarata contraria ai finanziamenti delle forze multinazionali, compresi quelli legati alle missioni di peacekeeping Onu, perché il bilancio della Difesa non è un pozzo senza fondo tanto più in periodo di crisi come l'attuale e comunque la Casa Bianca preferisce puntare su azioni individuali o in partnership con paesi alleati; l'area sub-sahariana può diventare una di queste dove opera in tandem con la Francia fin dall'intervento militare del 2013.
Solo una decina di giorni prima, il 20 ottobre, la mossa di Trump era stata di fatto annunciata dal segretario alla Difesa Usa, il generale James Mattis, che di fronte alla commissione Forze Armate del Senato americano annunciava che il Pentagono avrebbe incrementato le attività “anti-terrorismo” nell'Africa sub-sahariana permettendo intanto ai comandanti sul campo di avere maggiore autonomia nell'applicare le regole d’ingaggio, ovvero di usare le armi con meno remore. Le forze speciali dell'imperialismo americano sono già presenti nei paesi dell’area con una strategia definita di “small footprint”, che lascia poche tracce, non come un esercito occupante ma con uomini delle forze speciali e droni che operano in maniera discreta assieme ai soldati dei paesi coinvolti o in strutture per l’addestramento chiamate Cooperative Security Locations.
È infatti passata praticamente sotto silenzio la notizia che lo scorso 4 ottobre almeno quattro soldati americani, assieme a cinque nigerini, sono stati uccisi nel deserto del Niger mentre stavano rientrando dal villaggio di Tongo Tongo, a una ventina di chilometri dalla frontiera con il Mali, durante il tentativo di catturare un capo di un gruppo aderente allo Stato islamico. L'imperialismo americano ha almeno cinque basi in Niger, costruite dall'amministrazione Obama a partire dal 2013, e almeno 645 militari, un numero che Trump ha già dichiarato di voler aumentare a breve.
15 novembre 2017