Il dittatore fascista americano in viaggio in Asia per rafforzare le alleanze e cercare accordi
Trump e Xi d'accordo per impedire alla Corea del Nord di avere l'atomica
Trump e Putin confermano l'impegno a distruggere lo Stato islamico e di spartirsi la Siria. Accordo militare Usa-Vietnam per contenere la Cina
Manifestazioni contro il guerrafondaio americano
Nella conferenza stampa congiunta tenuta il 9 novembre a Pechino il presidente cinese Xi Jinping definiva “storico, costruttivo e produttivo” l'incontro con l'omologo americano Donald Trump che a sua volta sosteneva che c'era una speciale intesa fra i due. A quanto pare le buone relazioni tra le principali concorrenti imperialiste fanno in questo momento passi in avanti. Trump per la prima volta non sosteneva che era colpa della Cina per lo squilibrio a sfavore degli Usa nella bilancia commerciale fra i due Paesi, che viaggia attorno ai 350 miliardi di dollari, ma della politica sbagliata della precedente amministrazione americana, mentre elogiava Xi per aver abbandonato l'immobilismo degli anni passati e aver affrontato concretamente il pericolo della “minaccia nucleare della Corea del Nord”; l'attacco alla RPDC sul piano politico e il deficit commerciale sul piano economico sono state le due questioni principali che hanno caratterizzato il lungo viaggio in Asia del dittatore fascista americano per rafforzare le alleanze e cercare accordi in funzione anticinese. A cominciare dalla prima tappa nel Giappone del riconfermato premier Abe col quale l'intesa viaggia a gonfie vele.
Dopo l'incontro con Trump Xi Jinping ha dichiarato che “la Cina è desiderosa di lavorare insieme con gli Stati Uniti nel rispetto reciproco, tenendo fermi reciprocità e mutui benefici, focalizzandosi sulla cooperazione e gestendo e controllando le differenze”, come dire sappiamo che l'intesa vale solo per alcuni aspetti che vanno sfruttati, a cominciare dallo sviluppo degli affari che hanno portato alla firma di accordi commerciali per oltre 250 miliardi di dollari.
Sul piano politico l'intesa tra i due viaggiava sulla strada che vuol impedire alla Corea del Nord di avere l'atomica. In uno dei comunicati emessi dalla Casa Bianca nel corso della visita a Pechino dall'8 al 10 novembre si sottolineava che “durante questa visita, il Presidente Trump ha sollevato le sue preoccupazioni riguardo al programma nucleare coreano. Le due parti si sono impegnate a sostenere il regime internazionale di non proliferazione nucleare, ribadendo il loro impegno per raggiungere l'obiettivo della denuclearizzazione completa, verificabile e irreversibile della penisola coreana e hanno affermato di non accettare la Corea del Nord come uno stato di armi nucleari. Entrambe le parti hanno riconosciuto che le prove del missile nucleare e balistico della Corea del Nord violano le risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu e hanno affermato un impegno a mantenere la pressione per limitare questi programmi, anche attraverso l'attuazione completa e rigorosa delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu”. In questa fase Washington e Pechino affermavano di voler lavorare “per risolvere la questione nucleare della penisola coreana attraverso il dialogo”, ciò non toglie che i venti di guerra alimentati dall'imperialismo americano continuano a soffiare con forza nella penisola coreana.
L'11 novembre Trump era in Vietnam, a Da Nang, dove si svolgeva la conferenza dei paesi affacciati sul Pacifico, l'Apec, a margine della quale si incontrava col presidente russo Vladimir Putin per sottoscrivere un'intesa che conferma l'impegno dei due leader imperialisti a distruggere lo Stato islamico e di spartirsi la Siria. I due che guidano le coalizioni imperialiste impegnate in Siria hanno confermato il loro impegno “fino alla sconfitta definitiva dell'IS” e si dichiaravano impegnati a trovare la soluzione politica finale al conflitto in Siria nell'ambito delle iniziative dell'Onu; fra le quali i negoziati che in base alla risoluzione 2.254 erano iniziati a Ginevra e stoppati dall'intervento militare russo. Al momento Putin guida il gioco in Siria, con i bombardamenti aerei e coi negoziati di Astana che vedono coinvolti anche Iran e Turchia, e Trump pur di non restare fuori dalla spartizione della Siria ha strumentalmente mantenuto l'appoggio alle milizie curde e cerca spazio puntando a riaprire i tavoli Onu di Ginevra.
Nella tappa vietnamita Trump sviluppava gli accordi economici, col governo di Hanoi che vorrebbe allargare gli affari e svincolarsi dal soffocante abbraccio con Pechino, e soprattutto quelli politici e militari compreso un nuovo accordo che ha come bersaglio proprio il contenimento della Cina. Il comunicato del vertice che Trump ha avuto col Presidente della Repubblica Socialista del Vietnam Tran Dai Quang, emesso il 12 novembre afferma che “i due capi hanno discusso le misure per rafforzare e ampliare il partenariato globale tra i propri due paesi”, a partire dall'intesa del valore di 12 miliardi di dollari in nuovi accordi commerciali. Ma soprattutto l'accordo per “rafforzare la cooperazione in materia di difesa e la condivisione di risoluzioni per affrontare le sfide regionali della sicurezza”, che prevede la fornitura da parte degli Usa di mezzi per la guardia costiera vietnamita per migliorare le capacità di Hanoi di garantire la sicurezza marittima. Ovvero di contenere le mire cinesi nel Mar Cinese meridionale, come esplicita il punto del comunicato che ripete come “i due leader hanno sottolineato l'importanza strategica per la comunità internazionale di libero accesso all'accesso al Mar Cinese Meridionale, l'importanza del commercio legale senza ostacoli, la necessità di rispettare la libertà di navigazione e di volo e di altri usi legittimi del mare”, diritti minati, secondo Washington e Hanoi dallo sviluppo delle basi cinesi su diverse isole contese nell'area.
L'imperialismo americano stringeva l'intesa con il Vietnam in funziona anticinese e Pechino non stava certo a guardare. Non passavano neanche 24 ore che a Hanoi si presentava in visita ufficiale il presidente cinese Xi Jinping che il 13 novembre firmava una intesa che prevede “una corretta gestione delle controversie in mare, di non prendere iniziative che possano complicare o ingigantire i contrasti e per mantenere la pace e la stabilità nel Mare Orientale”, spiegava un portavoce del governo vietnamita.
Trump era già a Manila dove veniva duramente contestato. I manifestanti sfilavano per le strade della capitale filippina con cartelli di protesta, come quello che ritrae il viso di Trump con intorno quattro braccia a formare una svastica, e gridando “Trump Go Home” e “Basta con l'imperialismo”. Diversi manifestanti erano feriti e arrestati durante gli scontri seguiti all'interento della polizia che ha cercato con cariche dei reparti antisommossa di disperdere il corteo giunto nei pressi dell'ambasciata americana di Manila.
15 novembre 2017