Come voleva Berlusconi
Gentiloni, Renzi e Orlando imbavagliano la stampa
Il decreto legge delle intercettazioni lede i diritti dell'informazione e della difesa. I cronisti rischiano tre anni per rivelazione di segreto. La polizia giudiziaria decide quali conversazioni sono rilevanti e quali no
“Ci sono voluti molti anni, ma alla fine la riforma sarà legge. Tenacia e buon senso hanno vinto”. Questa dichiarazione trionfale del ministro Angelino Alfano, che ci aveva provato invano a varare una legge bavaglio sulle intercettazioni quando era il ministro Guardasigilli di Berlusconi, la dice lunga sul carattere e gli obiettivi politici del decreto legislativo del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che disciplina l'uso delle intercettazioni nei procedimenti giudiziari e la loro diffusione a mezzo stampa. Provvedimento che è stato trasmesso il 3 novembre alla Commissione Giustizia del Senato per un parere “non vincolante”, e quindi da considerarsi praticamente già approvato, poiché è l'applicazione di una legge delega.
Già su questo punto c'è da denunciare l'ennesima forzatura anticostituzionale, poiché la delega fu strappata al parlamento dall'allora governo Renzi con ben due voti di fiducia, il che vuol dire che il governo si è fatta un'autodelega, sostituendosi al parlamento ed avocando arbitrariamente a sé anche il potere legislativo. Ed è un'altra forzatura anticostituzionale che tale delega sia trasmessa per via ereditaria al governo Gentiloni, che si è assunto il compito di completare l'opera del suo predecessore, nonostante che la legislatura stia ormai per scadere.
Con questa legge le intercettazioni di un indagato non saranno più trascritte, neanche in brogliaccio come adesso, ma solo contrassegnate con data, ora e dispositivo di registrazione. Starà alla polizia giudiziaria decidere quali sono “rilevanti” ai fini processuali e quali no, escludendo anche quelle “di contesto”, cioè non strettamente attinenti ai reati ma che potrebbero aiutare a comprendere la personalità dell'indagato, il suo ambiente, le circostanze in cui il reato è stato commesso, altri personaggi coinvolti, ecc. In caso di dubbi dovrà essere interpellato il pm che deciderà della trascrizione o meno. Le parti escluse verranno custodite in un archivio segreto sotto custodia del procuratore, ed eventualmente distrutte su richiesta. La difesa potrà consultarle in fase di udienza stralcio, ma soltanto in audio e senza poter avere a disposizione una trascrizione su carta.
Nascondere le vergogne degli imputati “eccellenti”
Secondo Gentiloni e Orlando con questo decreto sono state garantite le indagini della magistratura ma vengono ridotti gli “abusi”, ed inoltre non sarebbe stata lesa la libertà di stampa. Quest'ultima affermazione si riferisce alla prima bozza del decreto di Orlando, in cui le intercettazioni, sempre solo quelle “rilevanti”, non avrebbero neanche dovuto essere trascritte, bensì solo allegate agli atti sotto forma di “riassunto”. Un bavaglio talmente sfacciato al diritto di informazione che sollevò un'ondata di indignazione tale da far recedere il Guardasigilli e ripiegare sulla versione attuale.
Ma nella sostanza il provvedimento non è poi cambiato molto. È evidente che lo scopo che si voleva ottenere era quello di nascondere per sempre all'opinione pubblica quelle intercettazioni di imputati “eccellenti” che saranno anche irrilevanti sul piano penale, ma che possono essere rilevantissime sul piano politico. E questo è stato ottenuto: si pensi per esempio alle intercettazioni sulle “cene eleganti” di Berlusconi, sugli intrallazzi di Renzi padre, sulle manovre dell'ex ministra Guidi per compiacere il fidanzato, su quelle dell'ex ministro Lupi per “raccomandare” il figlio, e chi più ne ha più ne metta. Con questa legge avremmo rischiato di non saperne nulla, dato che quelle intercettazioni, che pure hanno provocato importanti scossoni politici e dimissioni di ministri, sarebbero state probabilmente giudicate “irrilevanti” e lesive della “privacy” degli indagati, e di conseguenza secretate e distrutte.
Questa legge lede invece doppiamente il diritto all'informazione, perché costituisce anche una grave intimidazione contro i giornalisti, in quanto mentre fino ad ora potevano incorrere nel reato di “pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale” (art. 684 cp), punibile con arresto fino a 30 giorni e ammenda da 51 a 258 euro, oblabile, adesso potrebbero essere perseguiti per “rivelazione di segreto d'ufficio” (art. 326 cp), punibile con la reclusione da sei mesi a tre anni. Questo a causa del fatto che le intercettazioni stralciate, essendo secretate, se rivelate rientrano automaticamente in questo secondo e più grave tipo di reato.
Rischi di abuso di potere e di lesione dei diritti della difesa
Un'altra conseguenza non meno grave di questa legge è che di fatto la polizia giudiziaria, che è preposta all'ascolto e alla selezione delle intercettazioni tra “rilevanti” e “irrilevanti”, viene ad assumere un potere del tutto arbitrario e quasi assoluto nell'indirizzare le indagini e i processi e nello svelare o nell'occultare all'opinione pubblica le malefatte degli imputati “eccellenti”. Risulterà inoltre molto più difficile riesaminare in un secondo momento le parti secretate, perché mancherà qualsiasi riferimento, anche sommario, a parte la data e l'ora, per poterle rintracciare, quindi di fatto resteranno segrete per sempre, come hanno sottolineato anche in due distinte interviste a “La Repubblica” l'avvocato generale della Cassazione, Nello Rossi, e l'ex pm di Palermo oggi passato alla Procura nazionale antimafia, Nino Di Matteo.
E anche diritti della difesa vengono lesi dal decreto Orlando, perché preclude agli avvocati di utilizzare intercettazioni scartate in quanto giudicate “irrilevanti”, ma che magari potrebbero essere utili alla difesa dei propri assistiti. È vero che in fase di udienza stralcio può essere ascoltato l'audio delle intercettazioni, ma senza trascrizioni su carta solo gli studi legali più importanti potranno permettersi di pagare schiere di giovani laureati per ascoltare ore ed ore di registrazioni: una palese discriminazione ai danni degli imputati più poveri e degli avvocati d'ufficio.
Infine, e non per ordine di importanza, il decreto fissa regole più stringenti per l'uso dei software “trojan” per infiltrare i pc e i telefonini degli indagati, in quanto le microspie ambientali sono ormai facilmente neutralizzabili. Ma anche qui si opera una discriminazione tra reati, con regole più vincolanti di tempo e di luogo per reati di corruzione, e molto meno vincolanti per reati di criminalità organizzata e terrorismo. Sempre cioè nell'ottica di salvaguardare il più possibile i politici e gli altri imputati “eccellenti”, per spiare i quali, al contrario di mafiosi e terroristi, occorre chiedere l'autorizzazione specificando in anticipo il luogo e l'orario dell'intercettazione: un vero nonsenso!
A questo proposito è singolare, ma anche eloquente, che quasi contemporaneamente al decreto Orlando il governo abbia chiesto in parlamento il via libera ad un altro provvedimento, motivato con la solita “lotta al terrorismo”, che prolunga a ben 6 anni la conservazione degli archivi dati del traffico telefonico di tutti i cittadini, un record assoluto rispetto a tutti gli altri paesi europei, che al massimo arrivano a 2 anni. In questo caso per il governo Gentiloni e il ministro Orlando il “diritto alla privacy” non vale un fico secco.
Leso gravemente il diritto di informazione
La Federazione nazionale della stampa (Fnsi) ha protestato contro il provvedimento chiedendo di “rivederlo” ed effettuare “radicali modifiche”. “L'approvazione delle nuove norme – hanno scritto in un comunicato il presidente e il segretario generale del sindacato dei giornalisti – non potrà mai far venir meno il diritto-dovere del giornalista di pubblicare qualsiasi notizia, anche coperta da segreto, che abbia rilevanza per l'opinione pubblica e che implichi l'interesse dei cittadini a esserne messi a conoscenza, così come ha più volte ribadito la Corte europea dei diritti dell'uomo”.
Anche per il presidente della Commissione Giustizia del Senato, Felice Casson, il decreto presenta profili di incostituzionalità per via dell'autodelega che il governo si è fatto, e lede inoltre gravemente il diritto di informazione. Tra l'altro, ha rivelato il senatore di Liberi e uguali, “Orlando ha disatteso la promessa che aveva fatto al parlamento di prevedere norme a tutela dei giornalisti che pubblicano anche materiale riservato ma di indubbio interesse pubblico”. E con ciò l'Italia potrebbe rischiare una condanna della Corte europea, che già si era pronunciata sulla prevalenza del diritto all'informazione rispetto a quello della privacy.
Non si fa fatica a capire il perché di tanto giubilo da parte dell'ex pupillo di Berlusconi e attuale ministro degli Esteri del governo Gentiloni: perché il decreto di Orlando realizza concretamente quell'operazione volta a legare le mani alla magistratura e mettere il bavaglio alla stampa che al neoduce Berlusconi e Alfano allora non era riuscita. E ciò anche per le remore dell'allora PD di Bersani, che oggi invece con Renzi e Gentiloni si fa addirittura promotore e artefice della sporca operazione. Un ottimo viatico per il futuro governo di “larghe intese” tra Berlusconi e Renzi che è nella mente dell'ex premier, e per allontanare lo spettro delle inchieste Consip e Cpl-Concordia che ancora non lo fa dormire tranquillo.
13 dicembre 2017