Rapporti Istat e Censis
Aumenta solo il lavoro precario
È l'effetto del Jobs Act renziano e della controriforma pensionistica Fornero. La ripresa non diminuisce povertà e precarietà
Nel terzo trimestre del 2017 l'occupazione presenta una lieve crescita (+79.000, +0,3%) dovuta all'aumento dei dipendenti (+101 mila, +0,6%), soltanto nella componente a tempo determinato, a fronte della stabilità del tempo indeterminato. Continuano invece a calare gli autonomi (-22 mila,-0,4%). Lo rileva l'Istat aggiungendo che su base tendenziale gli occupati crescono di 303.000 unità. Il tasso di occupazione cresce di 0,2 punti rispetto al trimestre precedente arrivando al 58,1%.
La dinamica tra il terzo trimestre del 2017 e lo stesso periodo dell'anno precedente porta a una crescita circoscritta ai dipendenti (+2,3%), soprattutto a termine, a fronte di una nuova diminuzione degli autonomi (-1,8%). L'incremento in termini assoluti è più consistente per gli occupati a tempo pieno. Il tempo parziale aumenta soprattutto nella componente volontaria. Nel terzo trimestre 2017 cresce lievemente l'occupazione per i giovani tra i 15 e i 34 anni e il relativo tasso di occupazione. Il tasso di disoccupazione, dopo due, seppur lievi, cali consecutivi, nel terzo trimestre rimane stabile all'11,2% rispetto al trimestre precedente. Il tasso di inattività scende al 34,4% (-0,2 punti) in tre mesi.
Questi sono i dati nudi e crudi che non giustificano affatto i toni trionfalistici usati dal presidente del Consiglio Gentiloni e dal segretario del PD Renzi. A sentir loro le politiche del governo hanno portato l'Italia fuori dalla crisi e siamo in piena crescita economica e occupazionale ma se guardiamo all'andamento degli ultimi 2-3 anni ci accorgiamo che ad ogni dato positivo ne segue un altro negativo e la tendenza generale predominante rimane l'aumento della disoccupazione e della povertà.
Se proprio vogliamo assegnare dei “meriti” al governo sicuramente gli spetta di diritto quello di aver ancor di più favorito la precarizzazione del lavoro. Il Jobs Act e tutte le controriforme che lo hanno preceduto hanno oramai portato il lavoro a tempo determinato e precario in generale ad essere la forma di assunzione “normale” , la più diffusa in tutte le categorie, mentre un tempo era riservata a lavori stagionali e marginali, e quindi largamente minoritaria. Una tendenza che viene ancora una volta confermata dai dati Istat sul terzo trimestre del 2017.
Pur ammettendo una lieve ripresa dobbiamo però tenere di conto che di fronte a un aumento del Prodotto Interno Lordo (PIL) assistiamo al blocco pressoché totale dei salari, segnale inequivocabile che l'aumento di ricchezza generale è andato a finire nelle tasche dei capitalisti e delle classi più abbienti, mentre in quelle dei lavoratori non sono finite neppure le briciole. Ce lo conferma il rapporto di un altro istituto di ricerca e statistica, il Censis.
Nel rapporto troviamo un capitolo, “la ripresa c’è e l’industria va, ma cresce l’Italia del rancore”
, che già dal titolo ci ricorda come le larghe masse popolari siano escluse dall'aumento del PIL e le forti diseguaglianze che contraddistinguono il nostro Paese. Dopo essere stata fanalino di coda per lunghi anni, la produzione industriale italiana nel primo semestre del 2017 è aumentata del 2,3%, un incremento maggiore degli altri principali Paesi europei come Germania, Spagna, Regno Unito, Francia.
Tra gli altri dati significativi vi è il valore aggiunto per addetto nel manifatturiero (uno dei settori predominanti in Italia), aumentato del 22,1% in sette anni, superando la produttività dei servizi. Cresce la ricchezza prodotta dai lavoratori ma questa va tutta ai padroni. Di tutt'altro segno la voce riconducibile agli investimenti pubblici: sono in controtendenza e registrano un calo, rispetto all'ultimo anno prima della crisi, il 2007, del 32,5%.
Secondo il Rapporto Censis l'Italia è anche il Paese con l'età di accesso alla pensione più alta d'Europa, preceduto solo dalla Grecia: per gli uomini 67 anni, per le donne 66 circa. In media negli altri Paesi europei si va in pensione a 64 anni e 4 mesi per gli uomini e a 63 anni e 4 mesi per le donne. E il gap è destinato ad aumentare nel prossimo futuro. L'innalzamento dell'età pensionabile ha bloccato l'ingresso dei giovani (disoccupazione giovanile più alta d'Europa), mentre tra chi lavora non c'è mobilità sociale: difficile salire in alto, molto più facile cadere in basso.
Se non ci limitiamo ad ascoltare il megafono del governo e analizziamo l'insieme dei dati, solo all'apparenza contrastanti e paradossali, possiamo capire in che direzione sono andate le “riforme” tanto sbandierate da Renzi e Gentiloni. È lo stesso rapporto Censis ad affermare che “non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica”.
Sono stati tolti diritti ai lavoratori mentre ai padroni si è concesso la libertà di licenziare e di fare tutto quello che vogliono. Anno dopo anno si sono rinnovati e moltiplicati gli sgravi e agevolazioni concessi ai padroni che sono costati miliardi di euro alle casse dello stato mentre la macelleria sociale ha semidistrutto sanità, scuola, trasporti e servizi pubblici in generale. Contratti pubblici e pensioni bloccate, salari del settore privato tra i più bassi d'Europa. Controriforma pensionistica Fornero che ha trattenuto al lavoro migliaia di lavoratori creando un “tappo” per i più giovani mentre i nuovi posti di lavoro sono esclusivamente precari e a termine.
Questo è il vero quadro della situazione: l'aumento del PIL contribuisce solo a rendere i ricchi sempre più ricchi, come dimostrano tutte le statistiche a livello nazione e internazionale.
10 gennaio 2018