Importante dichiarazione del Segretario di Stato Usa
Tillerson parla della politica dell'imperialismo americano sulla Siria e sullo Stato islamico
Il segretario di Stato americano Rex Tillerson è intervenuto lo scorso 17 gennaio all'Hoover Institute, presso la Stanford University di Stanford in California, su un tema caldissimo quale la situazione in Siria. Invitato dalla sua “amica” Condoleezza Rice, l'ex Consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario di Stato rispettivamente nei due mandati presidenziali di Bush dal 2001 al 2009 che hanno incendiato il Medio Oriente, Tillerson nella dichiarazione dal titolo “Osservazioni sulla via da seguire per gli Stati Uniti in merito alla Siria” ha esposto la visione dell'amministrazione Trump e indicato quale sarà la politica estera dell'imperialismo americano sulla Siria e sullo Stato islamico (IS).
All'amministrazione Trump non interessa fondamentalmente cosa è successo prima del suo insediamento, se non per criticare il comportamento che definisce imbelle di quella precedente su vari fronti di crisi internazionali, ciò che interessa agli Usa nel caso della Siria Tillerson lo rivela subito, “voglio descrivere perché è fondamentale per la nostra difesa nazionale mantenere una presenza militare e diplomatica in Siria, per contribuire a porre fine a quel conflitto e assistere il popolo siriano mentre traccia un corso per raggiungere un nuovo futuro politico”, ossia per dettare le condizioni ritenute utili all'imperialismo americano e al suo principale alleato, i sionisti di Tel Aviv, per non lasciare campo libero allo schieramento imperialista rivale guidato dalla Russia di Putin e comprendente Iran e Turchia. Sono queste le direttrici che muovono la politica Usa in Siria.
Il primo bersaglio degli attacchi di Tillerson è il presidente siriano Assad, il dittatore che ha usato i carri armati contro il proprio popolo nel 2011 ma che agli occhi della Casa Bianca è altrettanto colpevole per aver appoggiato Hezbollah e Hamas e di essere alleato dell'Iran. E di avere scatenato un conflitto interno contro le opposizioni che “ha creato le condizioni per la rapida espansione di ISIS nel 2013 e 2014. L'ISIS è originariamente emersa dalle ceneri di al-Qaida in Iraq, un gruppo che Assad aveva segretamente sostenuto”. Il regime di Damasco sosteneva il contrario ma resta il fatto che l'emergere dell'IS in Siria e Iraq diventa il problema principale per tutti i protagonisti della crisi siriana. Assad chiamerà in soccorso l'imperialismo russo e l'Iran, l'imperialismo americano una volta fallita la sponsorizzazione di gruppi dell'opposizione siriana riusciva a rientrare nella guerra in Siria appoggiando le milizie curde della Rojava. I soldati americani si trovano in Siria nei territori curdi e nella confinante zona di Manbij, uno dei bersagli dichiarati dell'aggressione turca lanciata sul cantone curdo di Afrin.
“Quando è entrato in carica, il presidente Trump ha intrapreso un'azione decisiva per accelerare i successi in Siria e in Iraq”, gonfiava il petto e sosteneva Tillerson, concentrando gli sforzi sulla sconfitta militare dell'IS, con risultati decisivi, così che “oggi quasi tutto il territorio in Iraq e in Siria, una volta controllato dall'ISIS è stato liberato”. Anche se, avverte, “ISIS è sostanzialmente, ma non completamente sconfitto”. Resta in campo il nuovo nemico numero uno nella regione, l'Iran. L'analisi di Tillerson si concludeva con l'affermazione che “la Siria rimane una fonte di gravi minacce strategiche e una grande sfida per la nostra diplomazia. Ma gli Stati Uniti continueranno a rimanere impegnati come mezzo per proteggere i nostri interessi di sicurezza nazionale”. Che in sintesi prevedono anzitutto la definitiva sconfitta di IS e al-Qaida in Siria e impedire il loro “riemergere in nuove forme”, di costruire “una Siria stabile, unitaria e indipendente”, ma soprattutto amica dei paesi imperialisti occidentale e quindi senza Assad e l'influenza iraniana. Se possibile attraverso il “processo politico guidato dall'ONU, prescritto dalla risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”; neanche una parola sulla parallela trattativa guidata dalla concorrente Russia avviata dai negoziati di Astana che gli Usa boicottano, come nel caso del recente incontro a Sochi.
“L'amministrazione Trump sta implementando una nuova strategia per raggiungere questi obiettivi finali. Questo processo comporta in gran parte una maggiore azione diplomatica sulla scia dei nostri continui successi militari”, sosteneva Tillerson anche se non è chiaro quali siano i successi militari di cui si fregia, forse quelli delle forze dei curdi siriani, appoggiati dai circa 2 mila soldati americani presenti nell'area. Una cosa è in ogni caso certa, sostiene Tillerson, “siamo chiari: gli Stati Uniti manterranno una presenza militare in Siria incentrata sull'assicurarsi che l'ISIS non possa riemergere”. Inoltre “il disimpegno americano dalla Siria – precisava Tillerson - avrebbe fornito all'Iran l'opportunità di rafforzare ulteriormente la sua posizione in Siria. Come abbiamo visto dalle guerre per procura e dagli annunci pubblici iraniani, l'Iran cerca il dominio in Medio Oriente e la distruzione del nostro alleato, Israele. In quanto nazione destabilizzata e confinante con Israele, la Siria presenta un'opportunità che l'Iran è troppo desideroso di sfruttare”.
Al momento in cui Tillerson passava a elencare le iniziative concrete raccontava che “da maggio, gli Stati Uniti hanno schierato diplomatici aggiuntivi nelle aree colpite in Siria, lavorando con le Nazioni Unite, i nostri partner nella Coalizione globale per sconfiggere ISIS e varie organizzazioni non governative” col non meglio precisato compito di “aiutare le popolazioni liberate a stabilizzare le proprie comunità”. Quale esempio concreto ne citava uno: “dal mese di luglio, gli Stati Uniti hanno collaborato con la Russia e la Giordania per istituire l'area di sicurezza nella parte sud-occidentale della Siria. Un accordo che ha definito un cessate il fuoco, ha posto fine al bombardamento indiscriminato di popolazioni civili e, con alcune eccezioni, ha finora tenuto bene. L'accordo nel sud-ovest affronta anche la sicurezza di Israele richiedendo alle milizie sostenute dall'Iran, in particolare Hezbollah, di allontanarsi dal confine israeliano”. Ecco che spuntava nel discorso di Rex la Russia di Putin fino ad allora assente, seppur come un collaboratore assieme alla Giordania non tanto per aiutare la popolazione ma per coprire il confine con l'alleato sionista e invitata anzitutto a mollare Assad.
Altro argomento spinoso lungamente aggirato da Tillerson era la questione del sostegno americano alle milizie dei curdi siriani in funzione anti IS. Per prima cosa il segretario di Stato tranquillizza la Turchia del dittatore Erdogan. “Per quanto riguarda l'antiterrorismo, continueremo a lavorare con alleati e partner, come la Turchia, per affrontare la minaccia terroristica di Idlib e affrontare la preoccupazione della Turchia nei confronti dei terroristi del PKK altrove. Al-Qaida sta tentando di ristabilire una base operativa a sé stante in Idlib (controllata dalle formazioni dell'opposizione siriana foraggiate dalla Turchia, ndr). Stiamo attivamente sviluppando l'opzione migliore per neutralizzare questa minaccia in collaborazione con alleati e partner”. Così avallava l'offensiva in preparazione di Ankara a Afrin e sembrava prendere le distanze dai curdi siriani, ramo locale dei “terroristi” del PKK.
Alla fine arrivava a chiarire cosa ne pensano gli Usa sui curdi siriani: “gli Stati Uniti riconoscono e onorano i grandi sacrifici che le forze democratiche siriane hanno compiuto nel liberare i siriani dall'ISIS, ma le sue vittorie sul campo di battaglia non risolvono la sfida della governance e della rappresentanza locale per le popolazioni della Siria orientale e settentrionale. Accordi politici locali intermedi che danno voce a tutti i gruppi e le etnie che sostengono la più ampia transizione politica della Siria devono emergere con il sostegno internazionale. Qualsiasi accordo provvisorio deve essere veramente rappresentativo e non deve minacciare nessuno degli stati confinanti con la Siria. Allo stesso modo, le voci dei siriani di queste regioni devono essere ascoltate a Ginevra e nella più ampia discussione sul futuro della Siria”. Per dirla in altre parole la questione curda è usata da Washington come un cuneo contro il regime di Assad e l'integrità della Siria e per rompere le uova nel paniere alla Russia che deve vedersela con Ankara.
D'altra parte Tillerson, che non vuol regalare la Turchia a Mosca, precisava che “su questi punti, gli Stati Uniti ascoltano e prendono sul serio le preoccupazioni del nostro alleato Nato, la Turchia. Riconosciamo i contributi umanitari e i sacrifici militari che la Turchia ha fatto per sconfiggere l'ISIS, per il loro sostegno a milioni di rifugiati siriani e per stabilizzare le aree della Siria che ha aiutato a liberare. Dobbiamo avere una stretta cooperazione della Turchia per realizzare un nuovo futuro per la Siria che garantisca la sicurezza per i vicini della Siria”. Con tanti saluti ai curdi.
“Riconosciamo che la Siria presenta molte complessità. Le nostre soluzioni proposte non saranno facili da raggiungere”, concludeva Tillerson, e “come per quasi tutte le nostre sfide di politica estera, i passi per raggiungere i nostri obiettivi non possono essere intrapresi da soli. Continueremo a lavorare a stretto contatto con alleati e partner”. Purché seguano le direttive di Washington.
31 gennaio 2018