Viva l’8 Marzo, Giornata internazionale delle donne
L’emancipazione della donna non passa dal parlamento ma dalla rivoluzione proletaria
di Monica Martenghi *
Viva l’8 Marzo, Giornata internazionale delle donne!
Viva lo sciopero globale delle donne contro la violenza maschile che anche quest’anno riempirà le piazze d’Italia e di gran parte del mondo!
Chiediamo con forza che la CGIL e la FIOM decidano finalmente di unirsi ai sindacati non confederali che hanno proclamato lo sciopero nei settori pubblici e privati offrendo copertura sindacale alle lavoratrici che vi vorranno aderire.
Consideriamo grave la restrizione del diritto di sciopero che impedirà alle lavoratrici di alcune categorie di scioperare nei cinque giorni che seguiranno le elezioni del 4 marzo.
Finalmente l’8 Marzo è tornato a essere celebrato nelle piazze, così come in origine fu concepito dalla Conferenza internazionale delle donne comuniste (oggi si direbbe marxiste-leniniste) quando nel 1921 decise che la Giornata internazionale delle donne - già promossa undici anni prima per ricordare le 129 operaie morte nel 1908 nell’incendio della fabbrica Cotton di New York dove erano state rinchiuse dal padrone per rappresaglia -, si tenesse ogni anno proprio nel giorno in cui nel 1917 si era svolta la grandiosa manifestazione delle operaie di Pietrogrado contro lo zarismo che fu il preludio della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre.
In Italia l’8 Marzo fu celebrato per la prima volta nel 1922 anche se fino alla Liberazione dal nazifascismo non fu più possibile celebrarla alla luce del sole.
All'origine dell'oppressione femminile
Da allora ad oggi si susseguono gli 8 Marzo ma la concezione dominante della donna è sempre quella borghese e patriarcale. È questa concezione che porta alla violenza maschilista sulle donne, alla subalternità della donna all’uomo nel lavoro, nella famiglia, nella società, nella politica e nelle istituzioni, alla discriminazione salariale delle donne, al doppio lavoro, a casa e nella professione, al ruolo di architrave della famiglia borghese concepita come cellula economica di base del sistema capitalistico e il suo principale ammortizzatore sociale.
Una disumana condizione di doppia schiavitù ed oppressione delle donne, resa ancora più pesante da una disoccupazione e da una precarizzazione del lavoro femminili crescenti, da una dilagante povertà, dallo smantellamento dello “Stato sociale”, della sanità e dei servizi assistenziali pubblici, dalla distruzione e privatizzazione della scuola e dell’Università pubbliche.
Il femminicidio, che è divenuto una vera e propria mattanza, è solo la punta dell’iceberg delle varie e molteplici violenze fisiche e psicologiche che subiscono le donne soprattutto fra le mura domestiche e in ambito familiare, ma anche nei luoghi di lavoro e nella vita sociale.
Particolarmente odiosa è la strumentalizzazione della violenza sulle donne per fomentare una vergognosa campagna xenofoba, razzista e fascista contro le migranti e i migranti.
Senza considerare la violenza di genere commessa contro le persone LGBTQI, e in generale contro chi scardina il rigido schema patriarcale ed etero normativo che impone l’uomo etero al centro dell'universo e la donna in posizione a lui subalterna, un mero oggetto sessuale, strumento di piacere e di riproduzione, di sua esclusiva proprietà, sempre fedele, consenziente, servizievole e rispettosa del potere maritale, statale e della morale ed etica borghesi e cattoliche.
Una concezione maschilista, antifemminile e patriarcale che viene costantemente riproposta e rilanciata attraverso gli attacchi contro gli spazi e i diritti conquistati dalle masse femminili e campagne ideologiche e culturali, nonché misure concrete, per respingere le donne in casa, nel casalingato, nel modello di famiglia tradizionale e cattolica, a fare figli e prendersi cura di tutta la famiglia secondo il motto mussoliniano “Dio, patria e famiglia”, fatto proprio sotto varie forme dai governi sia di “centro-destra” che di “centro-sinistra” che si sono succeduti negli ultimi vent’anni.
Questa cultura borghese e patriarcale è tipica della società borghese perché è conforme e risponde perfettamente agli interessi economici e sociali di una società fondata sul libero mercato e sul raggiungimento del massimo profitto capitalistici, una società fondata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sull’oppressione dell’uomo sulla donna.
La via dell’emancipazione delle donne
Solo la concezione proletaria della donna, che significa assoluta parità tra le donne e gli uomini in ogni campo e a tutti i livelli, a casa, a scuola, a lavoro, nella società, in politica, nelle istituzioni, può cambiare radicalmente la condizione delle donne stesse. Una concezione proletaria della donna che tuttavia riesce a diventare efficace solo se diventa la concezione, la cultura e la morale dominanti della società. E per essere dominante occorre che il proletariato sia al potere, il che può avvenire solo nel socialismo.
Nei decenni le masse femminili sono riuscite, grazie anche al contributo del movimento operaio e del movimento giovanile e studentesco, a conquistare attraverso dure e prolungate battaglie di classe e di massa misure e diritti sociali e civili a loro favore. Ma queste conquiste non hanno mai realizzato una completa ed effettiva parità fra i sessi. Questo perché il capitalismo non può mai farlo, non può andare contro la sua natura e i suoi scopi di classe. La storia anche recente, ha dimostrato che perdurando il capitalismo non è possibile cambiare le cose con un semplice cambio di governo, nemmeno se al governo andasse il movimento 5 stelle, perché anch’esso è al servizio del capitalismo e della classe dominante borghese.
La pratica dimostra che non esiste un’altra via per l’emancipazione delle donne che abbattere radicalmente il capitalismo dalle sue fondamenta e costruire sulle sue ceneri una nuova società, con una nuova economia, un nuovo Stato, nuove istituzioni, una nuova politica sociale, culturale morale e politica, una nuova concezione dei rapporti sociali e fra i sessi. Questa nuova società non può essere altro che il socialismo.
Il socialismo non passa attraverso il parlamento, come predicano da sempre i riformisti e i revisionisti per ingannare e fuorviare il proletariato, ma passa dalla rivoluzione proletaria.
La Grande Rivolta del Sessantotto di cui ricorre il cinquantenario, che aveva visto un grande protagonismo delle ragazze e delle masse femminili anche operaie, si era avviata su questa via, ma è stata sabotata dai falsi rivoluzionari, da imbroglioni politici, revisionisti mascherati, trotzkisti, operaisti, “ultrasinistri” che oggi ritroviamo nelle istituzioni, nei partiti parlamentari della destra e della “sinistra” borghese, nei vertici dei media e persino a capo del governo come è il caso dell'attuale premier Paolo Gentiloni già militante della “sinistra extraparlamentare”.
Cosicché il riformismo, l’elettoralismo, il parlamentarismo, il costituzionalismo, il governismo e il pacifismo hanno ripreso piede, imprigionando le masse anche femminili nel capitalismo.
Si tratta ora di abbattere quella prigione, di assumere la concezione del mondo proletaria e di marciare risolutamente verso la conquista del socialismo e del potere politico da parte del proletariato.
Sul piano elettorale ciò comporta abbandonare per sempre ogni illusione elettoralistica, parlamentaristica, governativa e riformista e impugnare l'astensionismo marxista-leninista tattico come un voto dato al PMLI e al socialismo e creare in tutte le città e in tutti i quartieri le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, ossia le Assemblee popolari e i Comitati popolari basati sulla democrazia diretta.
Sul piano più generale marciare alla conquista del socialismo e dell'emancipazione femminile comporta combattere il regime capitalista e neofascista e il governo e le istituzioni che lo gestiscono e lo difendono; combattere la loro politica di lacrime e sangue all’interno e di interventismo e colonialismo all’estero; combattere i gruppi neofascisti e neonazisti che vanno messi fuori legge; combattere la violenza maschile sulle donne e ogni disparità tra donne e uomini; combattere per il lavoro a tutte le donne, comprese le migranti e le rifugiate, e liberare le donne dal lavoro domestico e di cura.
Queste due ultime battaglie chiedono la necessità di mettere in campo dei grandi movimenti per il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato, e per rivendicare la costruzione di una fitta rete di servizi sociali, sanitari e scolastici pubblici in tutto il territorio nazionale, a partire dal Mezzogiorno, come asili nido, consultori, mense popolari, reparti di prevenzione delle patologie femminili.
Al contempo occorre continuare a battersi contro la violenza maschile sulle donne, per la costruzione e il finanziamento dei centri antiviolenza autogestiti dalle donne stesse. Per il diritto alla casa, a un salario e una pensione sufficienti a garantire una vita dignitosa. Per vietare l’”obiezione di coscienza” nelle strutture pubbliche e garantire l’aborto in ogni ospedale. Per estendere davvero alle persone lgbtqi tutti i diritti garantiti alle coppie eterosessuali e sposate.
Lavoro e socializzazione del lavoro domestico sono le due leve principali dell'emancipazione della donna. Per questo non siamo d’accordo con il “reddito di autodeterminazione” e il “salario minimo europeo” che vanno contro la rivendicazione fondamentale che per noi deve rimanere assolutamente prioritaria del diritto al lavoro per tutte le donne.
Riteniamo importante che il movimento “Non una di meno” in questo 8 Marzo abbia di nuovo sottolineato la necessità di una “trasformazione radicale della società” per combattere la violenza maschile sulle donne, ma non possiamo non rilevare che si limita a indicare genericamente la necessità di lottare contro il patriarcato e il neoliberismo senza porre la questione fondamentale della lotta contro il capitalismo e l'imperialismo, come fanno invece i movimenti omonimi in Argentina e in altri paesi dell'America Latina. È giusto sostenere la “trasformazione radicale della società” ma il discorso è incompleto se non si dice quale tipo di società si propone in alternativa a questa società borghese e capitalista.
Il “piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e violenza di genere”, reso pubblico lo scorso novembre e di cui condividiamo in larghissima parte la piattaforma rivendicativa, risente fortemente di questi limiti a causa della filosofia femminista, interclassista e riformista a cui si ispirano le attuali dirigenti del movimento “Non una di meno”. Non è certo un caso che questa linea incontri favori persino all'interno delle istituzioni borghesi, del governo e dei partiti del regime. Il rischio è che questo movimento, che pure ha avuto il grande merito di riportare in piazza le donne, specie le ragazze, si ripieghi su se stesso com'è successo al femminismo degli anni '70 e '80 a causa dell'individualismo e dell'intellettualismo piccolo borghese del suo gruppo dirigente, del separatismo, del rifiuto della lotta di classe e dell'unità con gli altri movimenti a cominciare da quello operaio, e soprattutto per aver ignorato e negato la contraddizione di classe, puntando esclusivamente il dito sulla contraddizione fra i sessi e il patriarcato.
Il nostro auspicio è che questo importante movimento esca dal perimetro ideologico, storico e politico del femminismo e apra le sue conoscenze e la sua prassi alla teoria e alla storia del movimento operaio andando alle sue fonti, anche per sapere ciò che il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e il nostro stesso Partito hanno prodotto sul tema dell'emancipazione femminile.
Che questo 8 Marzo veda un numero più grande di donne consapevoli che l’emancipazione delle donne non passa dal parlamento ma dalla rivoluzione proletaria per conquistare il socialismo e il potere politico da parte del proletariato!
Buon 8 Marzo a tutte le sfruttate e le oppresse, a tutte le donne coscienti e informate da parte delle marxiste-leniniste italiane e di tutto il PMLI!
Viva l’8 Marzo, Giornata internazionale delle donne!
Viva l’emancipazione delle donne!
Viva lo sciopero generale dell’8 Marzo!
Lottiamo unite e uniti contro il capitalismo per il socialismo!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
* Responsabile della Commissione donne del Comitato centrale del PMLI
28 febbraio 2018