Cina, Russia e USA si disputano l’Artico
Uno degli effetti dello scioglimento delle calotte polari, oltre al danno subito dall’ecosistema mondiale, è la creazione di nuove aree accessibili alla navigazione, nuove rotte commerciali e la possibilità di sfruttare le
ricche
risorse naturali che l’Artico cela sotto i ghiacci. Di recente l’area artica sta vedendo un ritorno dell’interesse geopolitico ed economico delle nazioni che vi si affacciano, con un’intensità che non si riscontrava dai tempi della Guerra fredda. Russia, Cina e Stati Uniti hanno dimostrato negli ultimi tempi un’attenzione sempre maggiore nella regione. Per fare un esempio, nel 2007, la missione scientifica “Arktika”
ha rappresentato una svolta nell’interesse della Russia; l’esploratore Artur Chilingarov, a bordo del minisommergibile scientifico MIR, piantò una bandiera nazionale di titanio sul fondo dell’Oceano Artico, dichiarando che il fondale oceanico apparteneva alla Russia. L’importanza strategica dell’Artico può essere delineata secondo tre questioni principali: la prima riguarda le risorse naturali, la seconda riguarda l’aspetto commerciale ed energetico conseguente allo scioglimento dei ghiacci oceanici e il terzo riguarda l’ambito strategico e militare.
Le risorse naturali
Si stima che al di sotto dei fondali marini del Polo Nord vi sia il 13% delle riserve di petrolio e il 30% delle riserve di gas naturale del mondo e questo, rende evidente l’interesse presente e futuro della zona. In ogni caso compagnie petrolifere canadesi, statunitensi e russe, con l’appoggio dei propri governi, stanno proseguendo le attività perforative già dal 2013 quando Gazprom e Rosneft, colossi dell’energia russa, si sono assicurati i diritti di estrazione dei giacimenti off-shore di petrolio e gas naturale scoperti nel Mare della Pečora e nel Mare di Kara; sono attive in attività estrattive o di ricerca anche la Shell, la ExxonMobil e l’italiana ENI, solo per citare le principali.
Il passaggio a Nord-Est
Lo scioglimento dei ghiacci apre la possibilità allo sfruttamento intensivo del cosiddetto Passaggio a Nord-Est, la rotta che dal Mare del Nord, passa per il Mar glaciale artico e il Mare di Bering e raggiunge l’Oceano Pacifico. Secondo gli esperti, senza considerare l’inefficacia delle misure adottate contro il riscaldamento globale che ne accelererebbero i tempi, dal 2030 questa rotta che garantisce una via diretta fra oriente ed occidente, potrà essere aperta al commercio per nove mesi all’anno. Naturalmente questo è un passaggio strategico non solo per i Paesi che si affacciano sull’Artico, ma anche per la Cina poiché già nel 2020, il 15% del tonnellaggio commerciale cinese potrebbe passare attraverso l’Artico, abbattendo i tempi di percorrenza necessari per raggiungere l’Europa e il Nord America.
Gli interessi nazionali e la militarizzazione dell’area
Va da sé che una tale importanza economica e commerciale venga accompagnata da un interesse politico e militare sempre maggiore nonostante che, sulla carta, dovrebbe essere il Consiglio Artico ad occuparsi delle questioni commerciali ed energetiche dell’area; ma come può essere credibile che una partita così importante venga lasciata nelle mani di un semplice forum basato sulla cooperazione internazionale tra i Paesi interessati?
Russia e Cina
La regione è di fondamentale importanza per la Russia di Putin che possiede importanti centri industriali, in crescita dal punto di vista produttivo ed abitativo, oltre il circolo polare artico, tant’è che qualche anno fa ha reclamato il possesso di 460.000 miglia quadrate di territorio Artico. Secondo gli scienziati russi, il fondale oceanico sarebbe la continuazione geologica della piattaforma continentale siberiana e, con la giustificazione di “affermare le proprie pretese”, il Cremlino sta costruendo e rimodernando numerose basi aeree, molte per ospitare aerei intercettori a lungo raggio e una rete di stazioni radar per la difesa aerea. Sta proseguendo anche il potenziamento della Flotta del Nord, che è stata rafforzata con l’aggiunta della nave ammiraglia della Marina Militare, l’incrociatore “Pёtr Velikij” (Pietro il Grande), oltre a quattro navi rompighiaccio a propulsione nucleare per l’attraversamento delle zone di ghiaccio spesso. Già dalla primavera del 2015 la Russia ha lanciato alcune operazioni di trivellazione accompagnate da esercitazioni militari a cui hanno partecipato 1.000 soldati, 14 aerei e 34 unità militari speciali. Nella conferenza stampa di fine 2017 Vladimir Putin ha dichiarato che “La ricchezza della Russia crescerà con l’espansione nell’Artico”, sottolineando che questo incremento di attività industriale avverrà in cooperazione con la Cina. Sono già in essere invece il potenziamento delle rotte ferroviarie con il maxi progetto Belkomur, partecipato dai cinesi, che già dal 2023 collegherebbe Mar Bianco, Komi e Urali, e la costruzione del tratto di ferrovia Vorkuta-Ustkara nella stessa repubblica di Komi. È così che si materializza il principale obiettivo di Mosca, e cioè il controllo del pedaggio della già citata rotta Asia-Europa, che dai porti cinesi attraversa lo stretto di Bering, percorre l’Artico e termina a Rotterdam. Dal punto di vista energetico, l'obiettivo è lo “Yamal LNG”, progetto da 27 miliardi di dollari per la produzione di gas liquefatto, realizzato anch’esso in collaborazione con la Cina. La gestione è affidata a Novatek e finanziata in parte dai cinesi oltre a una partecipazione della francese Total. Attraverso questa strategica infrastruttura, si produrranno ulteriori 16,5 milioni di tonnellate di gas entro il 2019, trasportato eludendo le sanzioni Usa che consentiranno ai paesi estrattori di diventare leader assoluti nel mercato del gas naturale liquefatto.
Oltre alle partecipazioni nei progetti russi, Pechino è stato il più grande investitore nell’Artico, con 89,2 miliardi di dollari investiti dal 2012 al luglio 2017. Una cifra enorme, se si considera che, secondo le stime, l’intero valore dell’economia della regione artica non supererebbe i 450 miliardi. I tentacoli del dragone però vanno oltre l’intesa, parziale e quasi obbligata su certe infrastrutture coi russi; è notizia recente l’acquisto per 15,1 miliardi di dollari della canadese Nexen, e le acquisizioni di miniere in Russia, Canada e Groenlandia per altre decine di miliardi di dollari. Sinopec, la più grande compagnia petrolifera cinese, ha siglato un accordo che le consentirebbe di portare gas naturale dall’Alaska, poi una volta liquefatto, alla Cina. Secondo alcuni, la scelta di Pechino sarebbe finalizzata alla sostituzione del carbone nella sua industria pesante, ma è assai più probabile che l’impegno cinese sia più un tentativo di sottrarre risorse ai suoi concorrenti nello scacchiere imperialista internazionale.
Usa
Fermo restando questo quadro generale, gli Usa rimangono il Paese che ha il maggior interscambio commerciale con i partner dell’Artico, sebbene ne ricavi molto meno del Canada e circa la metà della Russia. Trump, indifferente al riscaldamento globale, ha incolpato di questo “ritardo” americano le restrizioni alle esplorazioni petrolifere in Alaska per motivi di tutela ambientale e la sedicente perdita di interesse geostrategico del Polo Nord da parte dell’amministrazione Obama. Tuttavia Trump ha rafforzato l’impegno innanzitutto con il via libera alle esplorazioni, come quello concesso all’Eni, e anche sul piano militare per contrastare la presenza russa che conta nella regione 425 insediamenti, lanciando in orbita il primo di quattro satelliti “polari” che monitoreranno l’Artico.
Una nuova guerra fredda
Ha l’odore di farsa la dichiarazione ufficiale degli USA che vorrebbe, come fine dell’operazione, il monitoraggio dello scioglimento dei ghiacci; in realtà come affermato dall’ex sottosegretario di Stato Usa, Paula J. Dobriansky alla Nato, “È in corso una guerra fredda nell’Artico, con la Russia protagonista di una escalation militare che impone una risposta decisa da parte dell’Occidente”. È evidente che il Polo Nord si stia delineando sempre con maggiore intensità come un’altra area
di frizione, dove gli interessi imperialisti Usa e si scontrano con quelli di Russia e Cina. Tutti i governi dichiarano la volontà di una cooperazione pacifica, ma la corsa alla militarizzazione terrestre, aerea e marittima, smentisce queste dichiarazioni e dimostra che Trump prepara la guerra pur di ripristinare la leadership Usa.
Di sicuro, oltre a rappresentare un rischio evidente per i già delicati equilibri internazionali fra le superpotenze in gioco, l’intensificazione dell’attività militare nell’Artico non gioverà senz’altro al clima ed alla preziosa riserva naturale ed idrica che, pur in continuo calo, il Polo rappresenta ancora per il nostro Pianeta.
7 marzo 2018