In circa 13 milioni e 700 mila si astengono alle elezioni politiche 2018
Il primo “partito” è l’astensionismo non il M5S
Sfiduciati i partiti del regime. Le sirene di “sinistra” non drenano l’astensionismo. In Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna, le regioni più povere, la più alta astensione. Disfatta del PD di Renzi. Bocciati i ministri del governo Gentiloni. Il M5S nuovo puntello del capitalismo. La Lega sorpassa FI e il “centro-destra” diventa “destra”.
Confermato che solo il socialismo e il potere politico del proletariato possono cambiare l'Italia
Le elezioni politiche del 4 marzo hanno confermato che l’astensionismo con circa il 29% è il primo “partito” in Italia. Non lo è il Movimento 5 stella (M5S) perché se si rapportano i voti ottenuti da questo partito all’intero corpo elettorale, e non già ai soli voti validi, esso si ferma al 23%. E infatti gli elettori che si sono astenuti sono circa 13 milioni e 700 mila, mentre il M5S ne ottiene 10 milioni e 700 mila.
Ancor più marcato il distacco se ai risultati che si riferiscono al solo territorio nazionale si sommano quelli dei 4 milioni e 600 mila elettori italiani all’estero che, seppur con dati ancora non definitivi, registrano un astensionismo attorno al 70%.
Dobbiamo premettere che al momento che scriviamo, a 48 ore dalla chiusura dei seggi, ancora il ministero degli interni non è riuscito a fornire i dati completi e definitivi della consultazione elettorale. Mancano pochissime sezioni dei due collegi laziali, ma sono sufficienti a impedirci di fornire ai nostri lettori tabelle definitive dei voti alle singole liste e dell’astensionismo. Gli unici dati completi e definitivi sono quelli sulla diserzione dalle urne sul territorio nazionale, ossia escluse quella nelle sezioni estere. Peraltro il ministero non sta fornendo alcuna spiegazione di questo ritardo ingiustificabile. Per quanto riguarda i dati quindi ci dovremo basare su quelli per ora in nostro possesso che hanno comunque una approssimazione vicinissima alla realtà.
L’astensionismo avanza
L’astensionismo totale (diserzione dalle urne, scheda nulla o bianca) non solo tiene ma avanza anche in questa tornata elettorale di circa l’1,9%. La diserzione, la componente di gran lunga più importante e significativa, avanza in modo ancor più marcato del 2,3%.
Non era un risultato scontato vista la posta in gioco e la martellante campagna partecipazionista condotta da tutti i partiti del regime, dalla destra alla “sinistra”, col supporto unanime dei mass media. Anche il presidente della Repubblica, Mattarella, e i vescovi italiani sono intervenuti contro l'astensionismo.
Nemmeno le numerose sirene di “sinistra”, Liberi e uguali di Grasso, Bersani, D'Alema e Boldrini, Potere al popolo, Partito comunista di Rizzo, Per una sinistra Rivoluzionaria, Lista del popolo per la Costituzione di Ingroia, sono riuscite, come peraltro auspicavano apertamente, a drenare l’astensionismo recuperando elettori già astensionisti e impedendo a quelli in fuoriuscita dal PD di approdarvi.
Qualche commentatore si è sentito sollevato perché la diserzione dalle urne non ha raggiunto i livelli registrati nelle ultime competizioni elettorali quali le europee e le amministrative dove aveva addirittura sfiorato e in qualche caso superato il 50% degli elettori. Quasi a lasciare intendere che vi sia un recupero della fiducia dell’elettorato. La verità è che il paragone non è proponibile. Le elezioni politiche hanno tutta un’altra storia, un’altra tradizione, significato e peso per l’elettorato rispetto agli altri tipi di elezione.
Caso mai le differenze che si registrano fra i vari tipi di elezione dimostrano che gli astensionisti soppesano ogni volta il loro voto e decidono coscientemente se andare o no alle urne.
E’ un fatto importantissimo invece che la diserzione dalle urne abbia fatto registrare un nuovo record per le elezioni politiche attestandosi al 27,1% e che essa è praticamente raddoppiata dagli anni ’90 ad oggi.
Il fatto che quasi il 30% dell’elettorato si astenga rappresenta comunque una forte e palese delegittimazione di tutti i partiti del regime capitalista e neofascista e pone seri problemi di legittimità del parlamento appena eletto e del futuro governo.
L’incremento della diserzione dalle urne è abbastanza uniforme sul territorio nazionale. Solo nelle regioni del Sud la diserzione cresce meno o addirittura arretra lievemente. Le tre uniche regioni dove la diserzione arretra sono infatti nel Meridione e cioè Basilicata (-1,6%), Calabria (-0,6%), Campania (-0,3). A una prima lettura dei risultati sembra che ciò sia dovuto soprattutto al fatto che il M5S è riuscito a intercettare una parte di elettorato meridionale particolarmente scontento del governo centrale e dei partiti che l’hanno fin qui sostenuto e deciso a farla pagare in qualche modo al governo Gentiloni e al PD ma anche al “centro-destra” che negli anni hanno governato le loro regioni, premiando il loro concorrente diretto, ossia il M5S. C’è una parte dell’elettorato che ha visto nel M5S il nuovo partito di riferimento e di mediazione col governo centrale.
E tuttavia le regioni del Sud e le Isole rimangono in testa alla classifica dell’astensionismo.
Proprio in Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna, non a caso nelle regioni più povere d’Italia, si è registrata la più alta astensione che si attesta oltre il 30%. Seguono la Basilicata, il Molise, la Liguria regioni altrettanto povere e devastate dalla deindustrializzazione, il cui risultato va oltre la media nazionale.
La diserzione dalle urne come tradizione è più bassa nelle regioni del centro-nord, ma rispetto al passato la forbice fra nord e sud si è notevolmente ridotta. Se nel 2013 fra la prima regione, la Calabria col 36,9% di diserzione, e l’ultima regione, l’Emilia-Romagna col 17,9%, c’erano ben 19 punti percentuali di differenza, quest’anno fra la prima, la Sicilia col 37,3%, e l’ultima, il Veneto col 21,3% ci sono solo 16 punti percentuali.
Interessanti anche gli incrementi della diserzione rispetto alle passate elezioni politiche registrati in Trentino Alto-Adige (+6,7%), Molise (+6,5%) Lazio (+4,9%), Valle d’Aosta (+4,7%), Emilia-Romagna (+3,8%), Veneto (+3%) e Lombardia (2,8%).
In queste regioni soprattutto in quelle considerate un tempo “regioni rosse” il tracollo del PD può aver determinato un significativo spostamento verso l’astensionismo di quell’elettorato non più disposto a dar fiducia al loro partito ma neanche a passare al M5S o addirittura al “centro-destra”.
D’altra parte specie in queste regioni del Nord e del Centro dove si registra una considerevole affermazione del “centro-destra” è presumibile che una parte degli elettori che nel 2013 si erano riversati nell’astensionismo siano tornati oggi alle urne fortemente incentivati dalla prospettiva di riprendersi dopo cinque anni la guida del governo.
Anche le prime analisi dei flussi elettorali che stanno circolando, indicano lo spostamento di una buona parte di elettori del PD verso l’astensionismo. Questi dati confermano che la stragrande maggioranza degli elettori astensionisti sono di sinistra, specie in quelle tornate dove l’astensionismo è un po’ meno di massa e più selettivo.
Disfatta del PD e del “centro-sinistra”
Il grande sconfitto di queste elezioni è certamente il PD di Renzi. Tra le politiche 2013 e quelle del 2018 perde circa 2 milioni e 600 mila voti, in sostanza si tratta di circa il 30% del proprio elettorato.
Della sua coalizione solo +Europa di Emma Bonino riesce a superare la soglia di sbarramento dell’1% e partecipare così alla ripartizione dei seggi. Civica popolare Lorenzin e Italia Europa Insieme restano al palo.
I nodi di sette anni di governi di “centro-sinistra” sono venuti al pettine anche se Renzi con la solita arroganza ha scaricato le proprie responsabilità e ha rifiutato le dimissioni immediate rimandando la resa dei conti nel partito solo al prossimo congresso.
Insieme a Renzi con le ossa rotta è uscito da queste elezioni anche il governo Gentiloni. Solo Gentiloni e altri tre ministri del suo governo, Padoan, la Boschi e la Madia, sono riusciti ad essere eletti direttamente nei collegi uninominali. Bocciati nei collegi uninominali e ripescati grazie ai listini plurinominali sono i ministri Minniti e Franceschini battuti rispettivamente a Pesaro e Ferrara. E stessa sorte per le ministre Fedeli e Pinotti battute rispettivamente a Pisa e Genova. Sempre grazie ai listini entrano in parlamento in quota PD i ministri Orlando e Martina che non erano stati però schierati all’uninominale.
Grazie al proporzionale entrano in parlamento anche il presidente del Senato Pietro Grasso, la presidente della Camera Laura Boldrini e Pier Luigi Bersani tutti in quota Liberi e uguali.
Il tracollo del PD non ha però avvantaggiato i partiti che erano nati alla sua sinistra appositamente per raccoglierne l’emorragia oltreché per recuperare gli astensionisti di sinistra. Considerando che nel 2013 Sinistra, ecologia e libertà (SEL) di Vendola otteneva circa 1 milione e 100 mila voti e che Liberi e uguali ne ha ottenuti solo 2-3 mila in più è evidente il fallimento della missione di Grasso e compagnia. Spostandosi ancora più a “sinistra” se si sommano i voti di Potere al popolo (circa 372 mila voti), Partito comunista di Rizzo (107 mila) Per una sinistra rivoluzionaria (30 mila) e Lista del popolo per la costituzione di Ingroia che raccatta appena 9.500 voti, il risultato totale è di quasi 520 mila voti, ben al di sotto delle aspettative. Nel 2013 solo Rivoluzione civile di Ingroia raggiunse 765 mila voti. Nel 2008 la Sinistra Arcobaleno ne ottenne 1 milione e 125 mila. Per non parlare delle elezioni del 2006 quando PRC e PdCI ottennero oltre 3 milioni di voti.
Evidentemente non solo questi partiti non sono riusciti a recuperare gli elettori di sinistra che sono già approdati da tempo all’astensionismo ma l’emorragia è proseguita anche in questa tornata.
Forza Italia superata dalla Lega
Il secondo grande sconfitto di queste elezioni è Forza Italia di Berlusconi. Per la prima volta dal 1994 i rapporti di forza all’interno dell’alleanza di “centro-destra” si sono completamente ribaltati. La Lega Nord del ducetto Salvini diventa con i suoi circa 5 milioni e 300 mila consensi il primo partito della coalizione di cui fa parte anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni (1 milione e 400 mila voti) e Noi con l’Italia-Udc (430 mila voti). Forza Italia passa dai 7 milioni e 300 mila voti del 2013 ai circa 4 milioni e 600 mila. In questo modo l’alleanza da “centro-destra” diventa più propriamente una coalizione di “destra”.
L’affermazione della Lega e di Fratelli d’Italia non rappresenta però uno spostamento a destra dell’elettorato italiano come qualcuno vuol far credere. In realtà c’è stato solo un travaso di voti all’interno della stessa coalizione. La coalizione di “centro-destra” (che in passato annoverava Forza Italia, An e Lega Nord) è arrivata nel 2008 a ottenere quasi 19 milioni di consensi. Oggi ne somma poco più di 12 milioni con una perdita complessiva di 7 milioni di voti. In questa tornata ne ha recuperati solo 2 milioni rispetto al disastroso risultato del 2013 che segnò il picco più basso realizzato da questa coalizione negli ultimi 25 anni.
Anche formazioni neofasciste come Casapound e Italia agli italiani, nonostante lo spazio e la visibilità mediatica che è stata loro concessa, raccattano rispettivamente 310 mila voti e 126 mila e non raggiungono nemmeno l’1% dei voti validi.
L’affermazione del M5S
Della crisi dei due maggiori partiti della classe dominante borghese, PD e Forza Italia, si è avvantaggiato in primo luogo il trasversale e interclassista Movimento 5 stelle. Guadagna circa 1 milioni e mezzo di voti rispetto al 2013, passando dagli 8 milioni e 700 mila voti agli attuali circa 10 milioni e 700 mila voti. È divenuto il secondo partito, dopo l’astensionismo, seguito dal PD e poi dalla Lega. La distribuzione del M5S è abbastanza omogenea a livello nazionale anche se un po’ maggiore nelle regioni del centro-sud.
Il partito di Di Maio e Grillo è divenuto così il nuovo puntello del capitalismo e del regime. A investirlo ufficialmente ci hanno pensato addirittura il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia e l’amministratore delegato della FCA Sergio Marchionne. Il primo ha dichiarato che “Il Movimento 5 stelle è un partito democratico e non fa paura”. Il secondo gli ha fatto eco sulla stessa linea “I 5 stelle non mi spaventano, ne abbiamo passate di peggio”.
La verità è che il risultato di queste elezioni non fanno “paura” ai capitalisti perché non segnano alcun cambiamento reale; perché non modificano in niente il sistema economico e sociale capitalistico, né la classe al potere. Cambiano i suonatori ma la musica rimane sempre la stessa. Già in passato abbiamo visto nascere e morire partiti anche ben più grossi del M5S o della Lega Nord. Ma chi li ha sostituiti ha semplicemente continuato a servire gli interessi della classe dominante borghese e del capitalismo. E così si apprestano a fare Di Maio e Salvini.
Il vero cambiamento
Queste elezioni confermano che solo il socialismo e il potere politico del proletariato possono cambiare l’Italia. E confermano pure che il socialismo e il potere del proletariato sono completamente preclusi per via elettorale e parlamentare e che persistendo su questa via si rischia solo di rimanere in eterno ingabbiati nel recinto della Costituzione borghese e nel riformismo a rimorchio del regime neofascista.
Come ha giustamente sostenuto l’Ufficio politico del PMLI nella lettera di ringraziamento alle Istanze intermedie e di base del Partito che hanno partecipato alla battaglia elettorale astensionista: “La classe dominante borghese, in crisi politica e divisa in più correnti, riesce sempre con più fatica a mettere su un governo e a dare stabilità al suo sistema economico, parlamentare, istituzionale e politico. Certo è che da questa tornata elettorale sono usciti con le ossa rotte il PD di Renzi, il governo Gentiloni e Forza Italia di Berlusconi. E non si sa ancora se prevarrà il ducetto con la giacca e cravatta Di Maio o il ducetto in camicia verde-nera Salvini che si stanno disputando la guida del nuovo governo… Per noi nessuno dei due ducetti rappresenta il proletariato e i lavoratori, entrambi sono l'espressione della classe dominante borghese di cui curano i suoi interessi e quelli del capitalismo.
Che ce la faccia l'uno o l'altro ad andare a Palazzo Chigi, o qualsiasi altro al loro posto, per noi non cambia nulla. Combatterli e tentare di convincere il proletariato e le masse a spodestarli è per il PMLI un dovere politico rivoluzionario inderogabile”.
“Per questo – prosegue l’Ufficio politico del PMLI - dobbiamo continuare con la determinazione di sempre e senza stancarci a convincere l'elettorato di sinistra, astensionista o non, compresi le elettrici e gli elettori che hanno votato Potere al popolo, PC e Sinistra rivoluzionaria, sono quasi mezzo milione, che solo il socialismo e il potere politico del proletariato possono cambiare l'Italia.
Una volta che l'elettorato di sinistra avrà capito, condiviso e assimilato questo concetto fondamentale è più facile che abbandoni le illusioni elettorali, parlamentari, governative, costituzionali, riformiste e pacifiste e si unisca a noi sulla via dell'Ottobre verso l'Italia unita, rossa e socialista”.
7 marzo 2018