L'ex DC Orlando si prende il PD in Sicilia
Il sindaco di Palermo è alleato di Renzi
L'ennesimo atto dello squallido teatrino della politica borghese e specificamente piddina in Sicilia vede l'ingresso di Leoluca Orlando, sindaco dell'ex DC Palermo, nel partito di Renzi, avvenuto in pompa magna il 25 gennaio scorso ma che nel pieno della campagna elettorale si è rivelato qualcosa di più di un semplice ingresso, profilandosi come una vera e propria salita al vertice da parte del sindaco palermitano.
Che questi abbia preso la tessera del PD, secondo quanto fortemente voluto dal sottosegretario Davide Faraone, boss informale del partito in Sicilia, ma soprattutto da Renzi in persona, è un atto opportunista e incoerente a partire dalla storia politica di Orlando stesso. Com'è noto, quest'ultimo, già sindaco di Palermo dal 1985 al '90, poi dal '93 al 2000, è un vecchio democristiano che ha sempre fatto la spola fra destra e “centro-sinistra”, salvo un breve flirt con l'Italia dei valori di Di Pietro (che l'ha pure portato in Parlamento), pur di restare in sella. Per capire il suo opportunismo, arrivò a definire Gianfranco Miccichè, il noto capobastone berlusconiano in Sicilia e figlio politico di Marcello Dell'Utri, condannato per associazione mafiosa, un “gigante della politica”.
Questo non gli ha impedito di costruire un rapporto privilegiato col “centro-sinistra”; alle ultime elezioni comunali, svoltesi a giugno 2017, Orlando è stato rieletto sindaco del capoluogo siciliano anche grazie all'appoggio del PD, che mezzo moribondo ha dovuto accettare l'umiliazione di rinunciare al proprio simbolo. E mentre fino ad allora faceva un vanto della sua ventennale ostilità ai partiti (ai quali in realtà si è sempre appoggiato opportunisticamente), il 25 gennaio ha annunciato la sua iscrizione al PD “contro i due populismi italiani”, ossia il M5S e Berlusconi.
E al sindaco di Palermo, Faraone e Renzi sembrano avere consegnato tutto il PD siciliano, cogliendo l'occasione per silurare definitivamente il segretario regionale dimissionario Fausto Raciti, area Orfini, al quale avevano addossato tutta la colpa del flop alle regionali del 5 novembre scorso. In cambio, Orlando ottiene la candidatura del suo fedelissimo Fabio Giambrone nel collegio di Palermo, dove ha ricevuto l'appoggio pubblico dalla vestale renziana Boschi, a sua volta paracadutata in ben tre collegi siciliani. Poco importa che si trovi in compagnia con elementi come Giuseppe Sodano, ex DC condannato per abuso d'ufficio, Pietro Navarra, nipote del boss Michele Navarra, Nicola D'Agostino, ex capogruppo del MPA di Lombardo, e Valeria Sudano, figlia del senatore DC Mimmo vicinissimo a Cuffaro.
Insomma con questa brusca virata a destra il PD ci guadagna saltando sul carro del vincitore e, anzi, diventando tutt'uno col vincitore, peraltro Renzi e Faraone possono imporre nuovamente la propria linea sul partito in Sicilia e riempire le liste per le politiche di candidati (neo)renziani e faraoniani; viceversa Orlando si proietta verso la politica nazionale e ottiene l'importante appoggio del partito del duce di Rignano, pur mantenendo una base di potere indipendente.
Ma non tutti ci stanno. I “Partigiani del PD” formatisi nei circoli territoriali dell'Isola si oppongono a queste imposizioni dall'alto e denunciano la trasformazione di “un grande partito” in “un circolo privato” asservito al “duo Renzi-Faraone”. Alcuni circoli locali del PD, fra cui tutti quelli di Enna, si sono autosospesi per protesta.
Loro e quanti ancora hanno fiducia nel PD a sinistra dovrebbero capire che nella propaggine siciliana del partito si è consumata l'ennesima, squallida lotta di potere interna, tipica della politica borghese e dei suoi partiti ridotti a ricettacoli elettorali, per nulla interessati ai bisogni concreti e reali delle masse. Una lotta di potere tra cosche che nella fattispecie doveva saldare i conti a favore di Renzi e spartirsi i posti nelle liste elettorali, occasione che un consumato volpone politico come Orlando non poteva lasciarsi sfuggire.
21 marzo 2018