La denuncia della famiglia Regeni
“È necessario un immediato cambio di rotta” nei rapporti con l'Egitto
“Un fallimento il rientro dell'ambasciatore in Egitto”
Lo scorso 14 febbraio in una conferenza stampa, la famiglia di Giulio Regeni, il giovane ricercatore assassinato a febbraio 2016 dai servizi segreti egiziani, ha chiaramente affermato che "Il rientro dell’ambasciatore in Egitto è stato un fallimento
".
Infatti - nonostante l'ambasciatore italiano abbia nuovamente ripreso il suo posto al Cairo lo scorso settembre, fatto che era stato presentato da Gentiloni come un passo decisivo del governo italiano al fine di sollecitare alle autorità egiziane una svolta nelle indagini sul barbaro omicidio - sul caso Regeni novità non ce ne sono state, se non la consegna lo scorso dicembre alla famiglia di Giulio dello scarno fascicolo delle indagini svolte dalla procura egiziana.
Il rientro dell'ambasciatore Giampaolo Cantini quindi si è risolto, secondo la famiglia del ricercatore, in un vero e proprio fallimento, in quanto avrebbe dovuto indurre il governo egiziano a una svolta per ciò che riguarda la collaborazione delle autorità di quel Paese al raggiungimento della verità: "Crediamo sia necessario
- hanno affermato i genitori del giovane - un immediato cambio di rotta, pretendere senza ulteriori indugi un incontro tra le due procure finalizzato all’immediata consegna dei video della metropolitana
", ossia quelle registrazioni delle telecamere di sicurezza della metropolitana del Cairo che lo scorso agosto il governo italiano aveva preteso come la condizione indispensabile per il ritorno dell’ambasciatore in Egitto.
Nonostante il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, abbia ripetutamente richiesto alla magistratura egiziana la consegna di tale video, nessuna registrazione è finora stata consegnata ai magistrati italiani: non lo ha fatto la procura della capitale egiziana, nè lo ha fatto il governo di quel Paese, e non sono stati neppure forniti dettagli sulla ditta che dovrebbe provvedere al loro recupero, nonostante formali impegni presi personalmente da al-Sisi in tal senso.
La magistratura italiana, dal canto suo, ha già individuato precise responsabilità di nove funzionari di pubblica sicurezza egiziani compiutamente identificati, ma che non possono essere interrogati in Italia senza la cooperazione del governo egiziano, per cui l'atteggiamento ostruzionistico del regime di al-Sisi è evidente.
Non devono stupire pertanto le mosse del regime egiziano, controllato da un dittatore salito al potere con un colpo di Stato, ma deve stupire e indignare piuttosto la complicità diplomatica e politica del governo Gentiloni con un simile regime assassino e criminale, che ha finora torturato, assassinato e incarcerato migliaia di oppositori politici, una complicità che è un oltraggio alla memoria di Giulio Regeni e uno schiaffo in faccia alla sua famiglia che chiede verità e giustizia.
Il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, ha affermato in una lettera ai giornali dello scorso 25 gennaio che "Giulio è stato ucciso per le sue ricerche, ed è certo il ruolo dei servizi
", e queste parole, unite a quelle della famiglia Regeni, non sono bastate a spingere i governi italiani a rompere ogni relazione diplomatica con l'Egitto.
21 marzo 2018