Rigettati i ricorsi dal Consiglio di Stato
L'Adriatico sarà trivellato
Uno scempio lungo 700 km di costa. Intanto il nuovo parlamento sblocca “Tempa Rossa”

Il Consiglio di Stato ha respinto i ricorsi presentati in appello dalle Regioni Abruzzo e Puglia, dalla provincia di Teramo e da altri comuni abruzzesi, contro i due permessi di ricerca di gas e petrolio rilasciati alla società inglese Spectrum Geo, alla quale sarà consentito ispezionare un’area immensa dell’Adriatico di oltre 30.000 chilometri quadrati davanti alle coste di Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia. Le tre sentenze della quarta sezione del Consiglio di Stato salvano dunque il ministero dell’Ambiente, quello dello Sviluppo economico e quello dei Beni culturali, citati in giudizio per la mancata Valutazione ambientale strategica e per il mancato coinvolgimento nel procedimento di Via degli enti locali coinvolti - ed in particolare di quelli che distano meno di 12 miglia marine dalle aree toccate dai permessi di prospezione.
 

A rischio la pesca e l'ambiente
A questo punto, nei settecento chilometri di costa, da Rimini a Santa Maria di Leuca, i fondali rischiano di essere scandagliati con la tecnica dell’air-gun, altamente dannosa per l’ambiente e per la fauna marina, come evidenziato da numerose ricerche scientifiche di livello internazionale, poiché basata sul rilascio in acqua di fortissimi spari di aria compressa, a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro. Questa tecnica, fortemente osteggiata da tutto il mondo ambientalista che sostenne il referendum del 2016 contro le trivellazioni in mare entro le 12 miglia dalla costa, distrugge il plancton e provoca nell’area ispezionata una temporanea crisi ittica. In alcuni casi si è registrata una riduzione del pescato fino al 50% intorno a una sorgente sonora che utilizza air-gun. L’Adriatico, il mare più pescoso del Mediterraneo, si trova quindi alle prese con il progetto di una grande multinazionale che farà di tutto per scovare nuovi bacini che poi altre multinazionali trivelleranno e sfrutteranno per pochi euro di royalties, in barba a tutti i conseguenti quanto inevitabili danni ambientali. Ad oggi non ci sono certezze sulla totale sicurezza dell’estrazione di petrolio in mare, anzi, un recente report di Greenpeace ha dimostrato che intorno alle piattaforme d’estrazione l’inquinamento è maggiore che in mare aperto, segno inconfutabile della dannosità anche in operatività “normale” delle piattaforme. Nulla frena la sete di profitto delle multinazionali dei combustibili fossili, né la compiacenza del governo Gentiloni, e neanche le conseguenze nefaste qualora si verificasse uno sversamento di petrolio significativo in un mare chiuso e frequentatissimo come l’Adriatico. Conforta poco che al momento il decreto Calenda (o decreto Trivelle) sia sospeso a seguito di alcuni ricorsi; tuttavia questo rimane l’ultimo baluardo istituzionale destinato anch’esso a essere abbattuto poiché adesso le Regioni non potranno più fermare con le carte bollate, scelte fatte a livello statale e ritenute – così come gli inceneritori per rimanere in tema ambientale – di interesse nazionale.
 

Le reazioni del Coordinamento Nazionale No-Triv
Rimaste ai margini della campagna elettorale del 4 marzo scorso, le trivelle irrompono di prepotenza sulla scena del conflitto tra chi è a favore e chi è contro l'attuale modello energetico, accentratore e fondato sullo sfruttamento delle fonti fossili. Naturalmente primi responsabili sono i governi che si sono susseguiti e che fino ad oggi hanno lasciato fare il bello ed il cattivo tempo alle compagnie Oil&Gas nel nostro Paese. Il Prof. Enzo Di Salvatore, fra i promotori del Referendum No Triv del 2016 e di numerosi ricorsi contro lo Sblocca Italia, denuncia che "La battaglia contro le trivelle non si vince unicamente impegnandosi fino allo sfinimento nelle aule dei tribunali, armati di codici e studiando ogni utile strategia giudiziaria. Occorre un cambio di passo di cui la classe dirigente di questo Paese non si è mostrata finora minimamente capace". Gli fa eco Enrico Gagliano, cofondatore del Coordinamento Nazionale No Triv, dichiarando che "Il nodo è sempre stato e resta quello politico; chiediamo una totale inversione di rotta nelle scelte di politica energetica nazionale e nell'Unione, che favorisca la decarbonizzazione e la riconversione ecologica dell'intero sistema economico". Appoggiamo l’invito conclusivo del Coordinamento che invoca scelte urgenti e dirompenti che dovranno portare l'Italia a farsi promotrice di una moratoria generale, in tutto il bacino del Mediterraneo ed anche su terraferma, delle attività di ricerca e sfruttamento delle fonti fossili, e ad abbandonare la politica delle grandi infrastrutture energetiche, anche se crediamo che sia quantomeno difficile l’adozione di tali misure dalla maggioranza politica che formerà il nuovo governo come auspicano gli ambientalisti; allo stesso modo ci auguriamo come essi se lo augurano – anche se non lo riteniamo plausibile – che sia il MISA stesso ad astenersi dall'accordare permessi di introspezione alla Spectrum Geo. Noi pensiamo invece che oltre ai ricorsi ed al “boicottaggio burocratico” serva una grande mobilitazione unitaria che non inviti, bensì costringa i ministeri competenti a rivedere le proprie opportunistiche ed impopolari scelte energetiche basate sul fossile e che ripongono in soffitta le fonti rinnovabili, perno sul quale è indispensabile poggiare il futuro energetico dell’intera umanità al più presto possibile.
 

Dopo solo 7 giorni, il nuovo parlamento sblocca Tempa Rossa
La conferma della continuità in materia di scelte energetiche fra il vecchio ed il nuovo parlamento si è fatta attendere solo sette giorni; con un vero e proprio colpo di mano il Consiglio dei Ministri ha deliberato la prosecuzione del procedimento per l’adeguamento delle strutture di logistica presso la raffineria di Taranto richiesto da ENI S.p.a., con specifico riferimento all’autorizzazione paesaggistica. "La delibera tiene conto del fatto - recita il comunicato di Palazzo Chigi- che il progetto costituisce un importante tassello nell’ambito delle opere strategiche previste dal piano degli interventi nel comparto energetico e che le opere previste sono già state oggetto di valutazione positiva sotto i profili della tutela ambientale e della sicurezza da parte delle competenti amministrazioni". Questa operazione di fatto sblocca il discusso giacimento petrolifero “Tempa Rossa” in Basilicata, poiché proprio la raffineria di Taranto, in barba alle enormi problematiche di inquinamento della città pugliese – è destinata ad accogliere altre 200 cisterne al giorno di greggio in arrivo dal sito lucano. Quale speranza possiamo dunque riporre nelle appena rielette istituzioni?
 

21 marzo 2018