Quaranta anni fa, il 9 maggio 1978, a Roma
Moro fu ucciso dalla destra italiana e americana
Le “Brigate rosse” di Moretti furono i killer, coperti dai servizi segreti. Ingannati, strumentalizzati e bruciati migliaia di sinceri rivoluzionari. Balzerani, dal terrorismo al riformismo
Il terrorismo è la negazione della rivoluzione proletaria

Quaranta anni fa, il 16 marzo 1978 in via Fani a Roma, un commando delle sedicenti "Brigate rosse" rapiva il presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro, uccidendo i cinque uomini della sua scorta. L'agguato avveniva nel giorno in cui il parlamento doveva votare la fiducia al governo Andreotti, che con l'appoggio esterno del PCI revisionista doveva sancire a livello politico e governativo il progetto di integrazione del PCI nel sistema capitalistico, progetto che proprio lo statista rapito aveva concepito e che Berlinguer aveva accolto nella sua teoria del "compromesso storico".
Il cadavere di Moro fu fatto ritrovare il 9 maggio dentro una macchina parcheggiata in via Caetani, nel pieno centro della capitale e a poca distanza dalle sedi della DC e del PCI, dopo una prigionia durata 55 giorni durante la quale le cosiddette "BR" tentarono di usare l'ostaggio per ottenere uno scambio con dei brigatisti detenuti e un riconoscimento politico, e destabilizzare così le istituzioni e il Paese creando una frattura tra i partiti parlamentari e tra le istituzioni che avrebbe potuto portare ad un golpe fascista. E in ogni caso, con l'assassinio di Moro, fu ottenuta comunque la fine della "solidarietà nazionale" tra la DC e il PCI appena avviata, che difatti avvenne non molto tempo dopo aprendo la strada al regime neofascista e ai governi pentapartito di Craxi, che iniziò la sua ascesa politica proprio capeggiando il "partito della trattativa" con le "BR" in contrapposizione al "partito della fermezza" di Berlinguer e del segretario della DC Zaccagnini.
Ad eseguire la strage di via Fani e l'assassinio di Moro furono le "BR" di Moretti, mentre i mandanti dell'operazione furono la corrente golpista e piduista italiana, capeggiata allora dal capo di Gladio, Cossiga, che era anche ministro degli Interni e controllava proprio quei servizi segreti incaricati di ritrovare Moro, tutti diretti da ufficiali e funzionari affiliati alla P2, e la destra anticomunista americana con il suo braccio golpista della Cia, che volevano impedire ad ogni costo il disegno di Moro di integrare il PCI al governo e nelle istituzioni e creare viceversa le condizioni per una ulteriore fascistizzazione e antlantizzazione del Paese, in vista di un - allora giudicato molto probabile - scontro militare del blocco occidentale con il socialimperialismo sovietico.
 

I burattinai delle "BR" e il loro disegno golpista
Per attuare tale disegno queste forze, le stesse che dalla strage di Stato del 1969 avevano utilizzato il terrorismo nero fascista per creare la "strategia della tensione", si servirono delle "BR", infiltrate dai servizi segreti, e le manovrarono e coprirono abilmente, confondendo e depistando le indagini ogni volta che qualcuno rischiava di avvicinarsi troppo ai loro covi.
Il PMLI capì immediatamente il disegno golpista e i veri mandanti che stavano dietro il rapimento di Moro e i suoi esecutori brigatisti sedicenti rossi. In un documento emesso a tambur battente a poche ore dalla strage di via Fani, dal titolo "Il rapimento di Moro rende più chiaro il pericolo di colpo di Stato in Italia", l'Ufficio politico del PMLI scriveva fra l'altro: "Il rapimento dell'on. Aldo Moro e il massacro della sua scorta hanno uno scopo preciso e inequivocabile: la corrente golpista borghese che si annida ai vertici della DC, del MSI e dello Stato cerca di bruciare i tempi e spingere il Paese alla guerra civile. Il colore reale dei rapitori non è rosso ma nero, fascista, sono dei killer assoldati dai servizi segreti italiani e dalla Cia per seminare panico e terrore e creare le migliori condizioni per instaurare una aperta dittatura fascista o comunque un governo e uno Stato forti".
Da allora non solo gli avvenimenti politici, ma tutti i fatti emersi dalle inchieste della magistratura e dalle commissioni parlamentari che hanno indagato sul caso, per quanto parziali e lacunose fossero, non hanno fatto altro che confermare quello che il nostro Partito aveva subito capito e denunciato pubblicamente. Tirando le conclusioni storico-politiche della Commissione parlamentare Fioroni di cui ha fatto parte, e che ha nel dicembre scorso chiuso una nuova indagine sul rapimento e l'uccisione di Moro, il senatore di LeU, Miguel Gotor, ha scritto per il "Fatto Quotidiano" del 16 marzo scorso: "Dopo anni di inchieste e ricerche ormai è chiaro che il rapimento e assassinio di Aldo Moro è stato ordito dalle forze (soprattutto negli Usa ma anche in Francia, Germania e soprattutto Gran Bretagna), che volevano interrompere il dialogo intessuto da tempo tra il mondo cattolico e il mondo comunista".
E Sergio Flamigni, ex partigiano e parlamentare del PCI, che ha partecipato alle commissioni Moro, antimafia e P2, autore di numerosi saggi sull'argomento, ha detto in una recente intervista a "Fuoripagina": "Tra Moro e Berlinguer si inaugurò la fase della solidarietà nazionale, che incontrava sospetti e ostilità di Usa e altri alleati. Nel gennaio 1978, quando Moro e Berlinguer si accordarono per un governo DC sostenuto da una nuova maggioranza programmatica in cui entrava a far parte anche il PCI, si misero all'erta le forze già pronte a strumentalizzare il terrorismo delle BR già infiltrate e da incanalare per l'operazione Moro, che doveva realizzare il sequestro per dividere le forze della politica di unità nazionale e uccidere Moro".
 

La falsa versione dei fatti dei brigatisti "pentiti"
Eppure la versione corrente di questa vicenda racconta tutta un'altra storia, e cioè che non c'è nessun complotto eterodiretto, che Moro fu rapito e la sua scorta uccisa solo dalle "BR", senza altri interventi esterni, al solo fine di intavolare una trattativa per liberare dei "compagni" e avere il riconoscimento politico dallo Stato, e che decisero di uccidere l'ostaggio solo a causa del fallimento della trattativa stessa. E che tutto questo fu frutto della mente distorta di una generazione di giovani della sinistra antagonista, che si era data alla clandestinità e al terrorismo "rosso" sognando di trascinare così la classe operaia a fare la rivoluzione, ecc. ecc.
Ma su cosa si basa questa ricostruzione truffaldina e di comodo della vicenda Moro? Si basa sulle "rivelazioni" degli stessi brigatisti "rossi" che presero parte all'operazione, la maggior parte oggi tutti a piede libero, tranne qualche morto nel frattempo come Gallinari, o latitante, come Casimirri in Nicaragua. E soprattutto si basa sul memoriale del primo "dissociato" della colonna romana che eseguì l'azione di via Fani, Valerio Morucci, oggi completamente libero e stipendiato come "consulente" dei servizi segreti, al quale da allora tutti i brigatisti dissociati e pentiti si sono sostanzialmente attenuti confermandone la ricostruzione dei fatti, compreso lo stesso allora capo dell'intera operazione, Mario Moretti. Morucci lo dettò su sollecitazione del capo del Sisde al direttore dell'organo della DC "Il Popolo", Remigio Cavedon, il quale lo consegnò tramite una strana figura di suora-spia al presidente Cossiga il 13 marzo 1990. Che a sua volta lo trattenne più di un mese prima di consegnarlo il 26 aprile al ministro dell'Interno Gava, che poi lo consegnò alla magistratura.
E fu proprio Cossiga, uno di coloro che tirava le fila del rapimento Moro, che sancì il patto con Morucci, Faranda e altri brigatisti offrendo sconti di pena e trattamenti speciali in cambio della dissociazione o del pentimento. È evidente che tra il capo dei gladiatori e i terroristi catturati fu stipulato un patto segreto che prevedeva la libertà dopo qualche anno di carcere in cambio dell'omertà e del silenzio sui risvolti inconfessabili della vicenda, e difatti è andata esattamente così. Nessuno di loro ha mai fatto luce sui tanti, troppi “misteri” che ancora avvolgono la vicenda, non hanno mai fornito spiegazioni sui fatti e le circostanze che rivelano i loro rapporti con i servizi segreti, e tutti non hanno fatto che ripetere la stessa versione di comodo, talvolta anche contraddicendosi e tradendo così la loro sporca malafede.
 

I troppi “misteri” insoluti del caso Moro
Ancora oggi non si sa con certezza quanti fossero i partecipanti all'agguato di via Fani. Prima è stato detto 8, poi 9, e ora sembra accertato che fossero molti di più. Non hanno saputo spiegare che ci facesse una moto Honda con due a bordo che spararono ad un testimone, né chi fu il tiratore che sparò ben 49 dei 90 colpi esplosi quella mattina. Nessuno ha spiegato il ruolo di intermediazione con le "BR" dell'agente della Cia Pieczenick, che si è vantato di aver pilotato il caso Moro per "stabilizzare" l'Italia e che si servì dell'ex leader di Potere operaio, Franco Piperno, degli ambienti de "L'Espresso" e del Partito socialista di Craxi.
Così come non è stato chiarito di quale apparato dei servizi fu la regia del falso comunicato sul lago della Duchessa, e perché fu fatto ritrovare il covo di via Gradoli (che stava in un palazzo a disposizione dei servizi segreti), presumibilmente da qualcuno dei servizi che aveva cercato di indirizzare le indagini con la famosa seduta spiritica a cui partecipò anche Prodi, mentre la brigatista Balzerani sostiene che fu lei la causa lasciando distrattamente la doccia aperta.
La commissione Fioroni ha stabilito che la prima prigione di Moro non fu in via Montalcini, come sostengono i brigatisti, ma in un palazzo di via Massimi, uno stabile di proprietà dello Ior abitato da alcuni cardinali, tra cui monsignor Vagnozzi, già nunzio apostolico negli Usa, e frequentato da Marcinkus; e per di più sede di un ufficio di intelligence Usa che lavorava per la Nato. Ha accertato anche che molto probabilmente Moro fu detenuto e ucciso in una prigione sul litorale di Palo Laziale, dove il 21 marzo venne segnalata dal Sismi la presenza del rapito, ma Cossiga, dopo aver allertato gli incursori della marina, inspiegabilmente revocò l'ordine e li smobilitò. Lo dimostrerebbero la sabbia e le tracce di bitume rinvenute nei pantaloni della vittima e nella Renault in cui fu ritrovata, provenienti esattamente da quel sito, mentre la Faranda e la Balzerani dicono di aver preso la sabbia al lido di Ostia per depistare le ricerche da via Montalcini. E poi perché Morucci aveva il numero personale di Marcinkus? E perché Casimirri, appartenente ad un'influente famiglia della Città del Vaticano, durante il sequestro fu fermato e poi rilasciato? E a che titolo Mario Moretti, secondo un testimone che ne raccolse le confidenze in carcere, riceveva mensilmente un assegno circolare dal ministero degli Interni? Quel Moretti già sospettato da altri leader brigatisti come Alberto Franceschini.
 

Lo sporco ruolo degli ex terroristi oggi
Ancora oggi i brigatisti in libertà continuano a non rispondere e a mentire e depistare con libri e interviste, come quelle rilasciate in occasione del quarantennale di via Fani, accreditando la tesi menzognera utile alla destra neofascista, del terrorismo "rosso" figlio della sinistra anticapitalista. Come ha fatto la brigatista Balzerani, condannata all'ergastolo per diversi omicidi ma oggi libera di andare in giro a propalare le sue menzogne nei centri sociali e in tv pur non essendo né pentita né dissociata, ma semplicemente avendo rinnegato la lotta armata e sposato una visione riformista della società attuale. Barbara Balzerani, intervenendo in un'assemblea di un centro sociale di Firenze ha detto che oggi occorre una “nuova cassetta degli attrezzi e nuovi metodi di lotta”.
Ad insegnare a questi falsi rivoluzionari a nascondersi dietro l'alibi del brigatismo figlio della sinistra e dei movimenti del '68 e del '77 sono stati intellettuali rinnegati e trotzkisti come Rossana Rossanda, che in pieno rapimento Moro tirò fuori su "Il Manifesto" la tesi dell'"album di famiglia", segnando la virata del quotidiano trotzkista dalla iniziale e giusta interpretazione golpista dell'attentato di via Fani verso le posizioni equivoche e compiacenti del "partito della trattativa" craxiano, impegolato con gli ambienti dell'autonomia contigui alle "BR".
Come ieri sabotavano la rivoluzione, ingannando con falsi miti e mandando allo sbaraglio un'intera generazione di giovani anticapitalisti, questi killer anticomunisti, oggi premiati con la libertà dallo Stato borghese, che dicevano di combattere, in cambio del loro silenzio e delle loro "verità" prefabbricate, continuano ad ingannare e a servire lo sporco gioco della classe dominante per mettere al bando i sinceri anticapitalisti e comunisti di oggi.
Il terrorismo è la negazione della rivoluzione proletaria, che come ci hanno insegnato con le loro opere e le loro azioni i cinque Grandi Maestri del proletariato internazionale, Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, non è e non potrà mai essere l'azione di un pugno di avventurieri, ma solo, quando in futuro ce ne saranno le condizioni che ancora dobbiamo creare, della maggioranza del proletariato e delle larghe masse lavoratrici e popolari, guidate dal proletariato e dal suo partito armato del marxismo-leninismo-pensiero di Mao.

28 marzo 2018