La trumpiana ambasciata Usa riceve per primo il fascioleghista Salvini
Come Grillo aveva fatto dopo le scorse elezioni, il caporione fascioleghista Salvini ha compiuto un passo decisivo nella sua personale corsa verso Palazzo Chigi e ha varcato per primo la soglia dell’ambasciata Usa di via Veneto a Roma per accreditarsi come futuro premier affidabile per la grande borghesia nazionale e internazionale.
Un passaggio indispensabile per tutti gli aspiranti inquilini di Palazzo Chigi che non possono arrivare alla carica se non hanno un canale privilegiato con la Casa Bianca, il principale e più potente alleato imperialista dell'Italia.
L'incontro fra Salvini e il capo della diplomazia Usa in Italia, Lewis Eisenberg, è stato preparato nei minimi dettagli dal Gianni Letta in camicia verde, Giancarlo Giorgetti, non a caso soprannominato “l'Amerikano”, delegato agli affari esteri del Carroccio, nonché protagonista della trattativa con i 5 Stelle per la spartizione delle presidenze delle Camere.
Sul contenuto del colloquio col funzionario del partito repubblicano molto vicino a Donald Trump Salvini non ha rivelato niente; tutto è stato liquidato con un tweet pubblicato dall’ambasciata Usa in cui si legge che: “L’ambasciatore Eisenberg continua a incontrarsi e dialogare con una serie di leader politici italiani per uno scambio di opinioni su questioni di reciproco interesse”.
In realtà se si mettono insieme alcuni fatti è lecito pensare che il faccia faccia con Salvini ha tutto il sapore di un'investitura della Casa Bianca alla scalata leghista di Palazzo Chigi.
Salvini infatti non solo è il primo, e per ora unico, boss politico ad essere convocato in Via Veneto dopo le elezioni del 4 marzo; il caporione fascioleghista è anche l'esponente politico italiano più trumpiano, colui che più di tutti ha apprezzato e sostenuto molte battaglie dell’attuale inquilino della Casa Bianca: dalla lotta all’immigrazione clandestina, al fisco e soprattutto ai rapporti con l’Europa. Non a caso il capogruppo alla Camera, l'appena rieletto Gianmarco Centinaio, ha subito messo le mani avanti: “Non dobbiamo rassicurare gli Stati Uniti, noi facevamo il tifo per Trump, ci conoscono bene”.
Senza dimenticare che la Lega è anche l'unico partito italiano a vantare strettissimi rapporti con la Russia di Putin e in particolare Salvini, il quale non perde occasione per esternare l'ostilità alle sanzioni come fece l'anno scorso durante il suo incontro a Mosca con il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, potrebbe addirittura fare da testa di ponte in un'ottica di riavvicinamento fra Trump e Putin dopo lo scandalo del “Russiagate”.
Del resto anche l'altro aspirante premier pentastellato Di Maio cerca dagli Usa un visto per Palazzo Chigi già dallo scorso novembre quando il boss del M5S, dopo la sconfitta alle regionali in Sicilia, è volato oltreoceano per assicurare al vice assistente segretario di Stato per l’Europa occidentale Conrad Tribble che: “Se non avremo la maggioranza assoluta ci assumeremo la responsabilità di non lasciare il Paese nel caos”. Non a caso Di Maio, che allora era vicepresidente della Camera, confidò: il viaggio negli Usa è stata l’occasione “di cambiare la percezione che hanno di noi”. La formula scelta da Di Maio per mantenere i piedi su due staffe è che: “L’America è nostro alleato, la Russia è un importante interlocutore”. Una formula che Di Maio potrebbe confermare a Eisenberg, qualora nei prossimi giorni lo invitasse a prendere un “caffè” in Via Veneto.
28 marzo 2018