3,3 milioni di lavoratori sommersi o in nero
Il recente studio di Censis-Confcooperative fotografa uno dei lati più inquietanti, e caratterizzati dal maggiore grado di sfruttamento, dell'attuale situazione del lavoro in Italia, come si evince dal titolo: “Negato, irregolare, sommerso: il lato oscuro del lavoro”.
L'indagine dimostra che la crisi, mentre falcidiava quello regolare, ha prodotto un'impennata di lavoro nero. Nel periodo che va dal 2012 al 2015 l'occupazione irregolare, quindi sommersa, è aumentata del 6,3% parallelamente al calo di quella regolare del 2,1%. Stiamo parlando di ben 3,3 milioni di lavoratori, con i picchi più alti in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Non è un caso che in queste regioni vi siano pesanti situazioni di caporalato.
Infatti il lavoro nero è presente soprattutto nelle attività agricole, dove si assesta al 23,4%. Nel terziario (soprattutto arte e intrattenimento) è al 22,7%. Nel settore alloggi e ristorazione è al 17,7% e simile è il tasso nelle costruzioni, al 16,1%. È perciò scorretto puntare il dito contro l'alto impiego di badanti e altre figure simili in nero da parte delle famiglie, colpevolizzando queste ultime come “record del nero”, perché si tratta generalmente di una conseguenza della povertà delle famiglie più povere, che non possono permettersi di fare altrimenti, e del dissesto dei servizi pubblici che dovrebbero occuparsi di anziani e malati.
Ricorrere al lavoro sommerso permette ai padroni di abbattere i costi praticamente del 50%, perché le paghe in nero corrispondono a circa la metà dei salari lordi regolari. I lavoratori restano così senza le dovute cure sanitarie e previdenziali, nonché spesso senza elementari diritti come le ferie, la malattia e la maternità, tutti risparmi intascati dai padroni che provocano un'evasione contributiva di circa 10,7 miliardi.
Il lavoro nero è una delle forme peggiori di sfruttamento dei lavoratori ma non è l'unica, va a braccetto con altre mostruosità del capitalismo come le false “cooperative”, i contratti a termine, le false partite Iva, gli “inattivi” (che spesso inattivi non sono ma lavorano appunto in nero o tramite conoscenze visti i gravi limiti delle liste regolari). Si tratta sempre e comunque di espedienti trovati dai padroni per massimizzare i profitti riducendo al minimo diritti e salari dei lavoratori.
4 aprile 2018