L'esercito del sionista-nazista Netanyahu spara su donne e bambini nel “Giorno della Terra”
Massacro di palestinesi
17 morti, 1.500 feriti. 30 mila palestinesi in marcia a Gaza “per il ritorno”. Il Consiglio dell'Onu lascia correre
Al bando i criminali di Tel Aviv
Il 30 marzo del 1976 sei palestinesi furono uccisi dalla polizia sionista in Cisgiordania durante le proteste contro la confisca delle terre; da allora i palestinesi celebrano il 30 marzo come il “Giorno della Terra”, l'ultimo con una “Marcia del Ritorno”, una manifestazione indetta da Hamas e altre organizzazioni palestinesi per condannare l'occupazione sionista, denunciare l'assedio illegale della striscia di Gaza e esprimere sostegno alla minoranza araba discriminata in Israele. Quest'anno le manifestazioni di protesta sono previste per la durata di un mese e mezzo, fino al 15 maggio, l'anniversario della “Nakba”, il disastro, l'anniversario della fondazione dell'entità sionista. Che ha ribadito la sua natura con l'ennesimo massacro di palestinesi, 17 morti e oltre 1.500 feriti, colpiti dall'esercito del sionista-nazista Netanyahu che ha sparato sui manifestanti, su donne e bambini a Gaza nel “Giorno della Terra”.
Erano almeno 30 mila i palestinesi che protestavano a alcune centinaia di metri dalla barriera che circonda la Striscia di Gaza, fronteggiati dai reparti dell'esercito sionista rinforzati da un centinaio di cecchini, gli assassini elogiati dal governo di Tel Aviv per aver “difeso” la frontiera con l’ennesima strage. Quali fossero le indicazioni date dai boia sionisti ai militari schierati attorno a Gaza era apparso evidente all'alba del 30 marzo quando un contadino palestinese che si era avvicinato alla recinzione era stato ucciso dai colpi di un carro armato nei pressi di Khan Yunis, nel sud della Striscia.
Durante la manifestazione il capo politico di Hamas Ismail Haniyeh passava dal campo di tende allestito dai palestinesi al confine est della Striscia come base della protesta e dichiarava che “diamo il benvenuto ovunque al popolo palestinese che ha sconfitto la scommessa dei leader nemici secondo cui i vecchi sarebbero morti e i giovani avrebbero dimenticato. Ecco i giovani, i nonni e i nipoti. Non cederemo nemmeno un pezzo della terra di Palestina e non riconosceremo l’entità israeliana. Promettiamo a Trump e a tutti quelli che sostengono il suo complotto che non rinunceremo a Gerusalemme e che non c’è soluzione se non il diritto al ritorno”.
Liquidare ogni forma di resistenza all'occupazione, distruggere la volontà della popolazione palestinese e consolidare il controllo su parte della Cisgiordania è l'obiettivo del boia sionista Netanyahu, che dall'altra parte tiene aperta la porta a una possibile aggressione nei vicini Libano e Siria; gli imperialisti sionisti di Tel Aviv possono continuare a calpestare i diritti dei palestinesi e rappresentare un pericolo di guerra nella regione grazie alla più completa impunità di cui godono per il sostegno più o meno aperto dei paesi imperialisti.
Salvo le proteste del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che il 31 marzo in un discorso alla televisione a Istanbul ha accusato “l'amministrazione israeliana per questo attacco disumano” e definito Israele uno “Stato terrorista” ma solo per dare una lucidata alla sua ambizione di diventare il nuovo califfo musulmano e non perdere l'occasione per schierarsi in prima fila, a parole. E infatti chiudeva il suo discorso lamentandosi della “doppiezza” di chi lo attacca per l'intervento in Siria, nel cantone curdo di Afrin, e non “proferisce la minima obiezione al massacro commesso da Israele a Gaza”.
Ipocrite e complici risultano le ridicole “critiche” da parte dell'Onu e della Ue, col segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres che veniva sbeffeggiato da Tel Aviv per la sua richiesta di una ”indagine indipendente e trasparente” sulle vittime di Gaza mentre la riunione urgente del Consiglio di sicurezza del 30 marzo si chiudeva con un nulla di fatto per le pressioni degli Usa di Trump a favore dei sionisti. L'Alto rappresentante per la politica estera della Ue, l'italiana Federica Mogherini, ripeteva che “l’Ue ribadisce la richiesta di porre fine alla chiusura di Gaza e di aprire pienamente i varchi, affrontando i legittimi timori di Israele per la sicurezza. Una soluzione politica per Gaza e una ripresa dei negoziati di pace verso una soluzione a due Stati sono l’unico modo per i palestinesi e gli israeliani di vivere fianco a fianco in pace e sicurezza”, con una fraseologia vuota e complice dei crimini sionisti, soprattutto inutile a fermare la mattanza dei palestinesi. Sul piano diplomatico non esiste altra risposta che la messa al bando dei criminali di Tel Aviv.
Fuori dal coro dei complici imperialisti si registra al momento solo il rapporto di Human Rights Watch che ha denunciato come le uccisioni di manifestanti palestinesi a Gaza. “Il governo israeliano – si legge nel rapporto – non ha presentato alcuna prova che lancio di pietre o altre violenze commesse da alcuni manifestanti abbiano messo seriamente in pericolo i soldati israeliani lungo la frontiera. (…) L’alto numero di morti e feriti era conseguenza attendibile del garantire ai soldati la libertà di usare forza letale al di fuori di situazioni di minaccia alla vita, in violazione del diritto internazionale”.
Al momento in cui scriviamo si è riunito anche il Consiglio della Lega Araba, convocato dall'Autorità Nazionale Palestinese con all'ordine del giorno “i crimini perpetrati da Israele nei confronti di pacifici dimostranti”. La sessione straordinaria del Consiglio è presieduta dall'Arabia Saudita, impegnata col principe ereditario Mohammed bin Salman a cementare l'alleanza tra Ryad e Tel Aviv in funzione anti-iraniana col placet degli Usa di Trump.
4 aprile 2018