Come Berlusconi e Renzi hanno tentato di preparare un Nazareno bis
Passa a maggioranza la relazione della Commissione banche grazie a Forza Italia
Nessun addebito al governo Renzi
La relazione conclusiva della commissione banche in Senato, presentata dal vicepresidente Marino, è stata approvata a maggioranza dal PD con la complicità determinante di Forza Italia che nella sua quasi totalità si è astenuta, con 19 voti a favore contro i 15 contrari delle minoranze. In particolare hanno votato a favore tutti i componenti del Pd, Pier Ferdinando Casini, Tancredi (Civ Pop), Tabacci (+Europa), Zeller (autonomie). Contrari sono stati i parlamentari del Movimento 5stelle, di Fdi, Andrea Augello (FI-Idea), la Lega, Molinari (Misto), Bellot (Noi con l’Italia) , Capezzone (direzione Italia) e LeU. Brinda innanzitutto Casini, presidente della Commissione, con tutto il suo nuovo partito al quale non è stata riconosciuta nessuna responsabilità particolare sulla vigilanza e sui crack bancari che hanno inginocchiato migliaia di risparmiatori. Casini ha avuto anche la faccia tosta di definirla “equilibrata, seria ed al tempo stesso decisa. Un mezzo miracolo”. In realtà, “il miracolo” è stato il fatto che, nonostante Renato Brunetta avesse dichiarato che “La relazione finale del Pd appare superficiale, lontana dalla realtà, autoassolutoria, elusiva. Una pagina triste per questo Parlamento”, tre commissari di Forza Italia non si siano presentati al voto e la senatrice De Pin del gruppo GAL, alle dipendenze di FI, abbia abbandonato l’aula poco prima di votare, servendo su di un piatto d’argento il via libera alla versione piddina. Per capire quanto fosse importante ai burattinai Renzi e Berlusconi la questione, il forzista ex AN Andrea Augello votando contro, si è giocato il seggio pur essendo nella destra laziale una pedina di prim’ordine in sede elettorale. In sostanza la relazione approvata riconosce le responsabilità di Bankitalia e Consob (ed in particolare a quest’ultima avendo maggiori poteri ispettivi) nella mancata vigilanza, proprio come voleva Renzi, suggerendo di dar vita a una “bad bank” nazionale e pubblica per la gestione delle attività deteriorate, con l’inserimento di un limite alla possibilità per un funzionario delle istituzioni di vigilanza, di assumere incarichi successivi presso le banche vigilate (cd. “Porte girevoli”). Questa posizione nei fatti assolve l’operato del governo che in realtà è stato attore principale con la Boschi in prima linea ma non solo, nel disastro bancario italiano, scaricando l’intera responsabilità sulla vigilanza come già cercato di fare dallo stesso Renzi nel recente passato, al tempo del tentativo di siluramento di Visco dal ruolo di Governatore della Banca d’Italia. In commissione, sia LeU che M5S, fra gli altri, hanno votato contro poiché tali conclusioni sono state considerate “troppo timide, vaghe, insufficienti e persino reticenti”, ma è interessante notare come nessuno di essi abbia, ad esempio, preteso che la possibilità delle cosiddette “porte girevoli” fosse interdetta definitivamente, per garantire almeno l’impossibilità di facilitare doppiogiochisti coi nuovi contratti milionari in tasca. Questo avrebbe dovuto essere, a nostro avviso, una pregiudiziale di partenza. Ma cosa aspettarsi da uomini come Casini, che non a caso ha presentato e votato la relazione solo dopo il deposito delle candidature che lo vedono in quota PD a Bologna? Insomma, Renzi e il PD si sono parzialmente scrollati di dosso le fondate accuse di aver tirato le fila delle magagne bancarie; di contro Casini si è guadagnato un nuovo posto al sole, confermando che proprio il PD è oggi la nuova grande “balena bianca democristiana”. D’altra parte perché scandalizzarsi; dopo i rapporti con Verdini, ad esempio, l’abbraccio col destro Casini appare roba da boy-scout, tanto per rimanere nel settore. Dunque, un nuovo inciucio nel quale emerge, in primo piano, la grande disponibilità di FI che, come al solito, si finge critica ed antagonista al PD ma che oggi come da anni in passato è sempre pronta a reggergli il sacco, a suon di cariche condivise, riforme sostenute e voti di fiducia. Tutto ciò, unito ad un evidente bilanciamento delle candidature proposte per rompere il meno possibile le uova del paniere al nuovo potenziale alleato di veste “ufficiale”, conferma che sia il duce di Arcore, sia quello di Rignano sull’Arno stavano preparando il terreno a un nuovo “patto del Nazareno” che poi i risultati elettorali hanno compromesso.
11 aprile 2018