A Roma e Milano nel 70° anniversario della Nakba e contro il trasferimento dell'Ambasciata Usa a Gerusalemme
In Piazza per la Palestina libera e Gerusalemme Capitale eterna della Palestina
Adesione e partecipazione del PMLI

 
Sabato 12 maggio, i palestinesi hanno celebrato il giorno della Nakba, che letteralmente, in arabo, vuol dire “catastrofe”, ricordando il giorno in cui 70 anni fa Israele vinse la prima guerra combattuta fra arabi e israeliani. In seguito alla vittoria di Israele, decine di villaggi palestinesi vennero distrutti e circa 700mila palestinesi furono costretti a lasciare le proprie cose e beni divenendo profughi di guerra. La Nakba si celebra simbolicamente a metà maggio poiché proprio il 14 maggio è il giorno in cui nel 1948 fu fondato ufficialmente lo Stato di Israele.
In Italia la manifestazione nazionale promossa dall'Unione Democratica Arabo-Palestinese e dal Coordinamento delle Comunità Palestinesi e dell'Associazione Palestinesi d'Italia si è tenuta a Roma e vi hanno partecipato oltre 5.000 persone, coinvolte da decine di associazioni – fra le quali Arci, Fiom CGIL, Cobas ed ANPI -, da comunità ed altre realtà del territorio come alcuni gruppi studenteschi, collettivi e centri sociali; anche a quella di Milano hanno partecipato le stesse realtà politiche, sindacali e sociali. Il PMLI ha aderito formalmente e con spirito antimperialista, antisionista e proletario alla giornata di mobilitazione, e i compagni delle organizzazioni locali hanno sfilato in piazza con le rosse bandiere del Partito.

 

Il corteo di Roma
Tra le oltre cinquemila persone che hanno sfilato a Roma, c'erano tantissimi giovani palestinesi, figli e nipoti di rifugiati, loro stessi rifugiati, che non hanno mai visto la Palestina. Infatti, nonostante dal 1948 le Nazioni unite riconoscano a ogni rifugiato palestinese e ai suoi discendenti il diritto al ritorno nella loro terra d'origine, nessuno dei 7 milioni di profughi palestinesi nel mondo lo ha mai esercitato a causa del regime sionista di Israele, confermando che quello palestinese continua ad essere un popolo in diaspora, con i due terzi di esso costretti a vivere al di fuori della loro terra. La comunità palestinese, in una piazza piena di bandiere e di striscioni, si è affrettata a precisare che questa manifestazione, dal carattere nazionale, oltre a ricordare la Nakba, vuole opporsi al trasferimento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, e vuole gridare forte a tutto il mondo che la Palestina esiste e continuerà ad esistere, in attesa della “Grande Marcia del Ritorno” di tutti gli esuli. Al contempo, tutti gli altri Stati del mondo, sono sollecitati a prendere subito una posizione chiara e netta contro Israele ed i suoi alleati che non rispettano le risoluzioni dell’Onu. Nonostante oggi sia il Medio Oriente siriano il fulcro delle escalation belliche e politiche, la questione palestinese resta, irrisolta, al centro dei conflitti regionali e globali, a conferma di un concentrato di tensione mai spento ma anzi fomentato negli anni da scellerate prese di posizione internazionali (accordi di Oslo, Road Map ecc.) e dalla negazione costante del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. Le parole d'ordine Palestina Libera e Gerusalemme capitale eterna della Palestina erano riportate rispettivamente su una enorme bandiera della Palestina e su un grande striscione.
In una presa di posizione il Direttivo dell'Unione Democratica Arabo-Palestinese (UDAP) rivendica “il proprio appoggio alla lotta di liberazione nazionale palestinese e per contestare la decisione del Dipartimento di Stato USA di riconoscere al-Quds (Gerusalemme) come capitale dell'entità sionista”. (…) Per una palestina libera, in tutto il suolo nazionale, con Gerusalemme indivisibile Capitale”.

 

Uno Stato, due popoli
Noi appoggiamo convintamente la parola d'ordine “uno Stato, due popoli” proprio perchè il problema, nella sua reale essenza ed in ultima analisi (come sostiene anche lo storico israeliano Ilan Pappe, professore emerito presso il dipartimento di scienze politiche dell'Università di Haifa) , è Israele in quanto Stato sionista, ed è impossibile cambiare queste essenza fintanto che lo Stato esiste. Nessun cambiamento è possibile dall'interno, perché in Israele non c'è differenza reale tra “Destra” e “Sinistra” di regime; entrambe sono complici in una politica il cui vero scopo è la pulizia etnica, l'espulsione dei palestinesi non solo dai territori occupati, ma anche dallo stesso Israele. Di conseguenza, l'unica soluzione è la creazione di un solo Stato unico ed egualitario, con due popoli, nel quale i rifugiati del 1948 e del 1967 potranno ritornare.

16 maggio 2018