Scioperano gli operai gruisti nella Cina capitalista di Xi
Quest'anno il 1° Maggio in Cina è stato del tutto insolito, grazie alla coraggiosa protesta degli operatori delle gru a torre che hanno restituito alla Giornata internazionale dei lavoratori un respiro militante, di lotta.
Tutto è cominciato il 25 aprile, quando un appello della Federazione dei gruisti di Changsha a indire uno sciopero di categoria veniva fatto circolare sulle più popolari piattaforme di microblogging e social, fra cui Wechat, QQ e altre. Sciopero che si è concretizzato appunto il 1° Maggio in ben 30 città di 19 province (su 22). Nella città centro-meridionale di Chengdu sono scese in piazza ben 10mila persone, secondo
i media governativi, che comunque hanno largamente oscurato la protesta.
I gruisti lavorano fino a 12 ore al giorno senza vedere l'ombra di straordinari (se non sottopagati), garanzie sociali, contratti formali e controlli amministrativi. Questi punti, insieme ad aumenti di stipendio per compensare l'inflazione, orari di lavoro fissi, ferie pagate e versamento di contributi pensionistici, figuravano fra le principali rivendicazioni dello sciopero del 1° Maggio. Che si aggiunge agli oltre 400 “incidenti di massa” (come li chiama il governo cinese) che si sono verificati nelle prime dieci settimane del 2018, secondo dati del China Labor Bulletin.
Gli organizzatori hanno provato a coinvolgere anche il sindacato unico legato al partito revisionista, ma senza smuoverlo. Ciò non fa che rivelare ulteriormente la vera natura di questo sindacato e il suo distacco dalle lotte reali dei lavoratori, ma non è escluso che il successo dello sciopero lo costringa a fare concessioni o a spostarsi di qualche passo dalla parte delle rivendicazioni dei gruisti.
In un Paese dove è difficilissimo organizzare azioni collettive di protesta a livello nazionale, non va sminuita la portata storica della protesta dei gruisti, totalmente autorganizzata, senza nemmeno l'apporto delle ONG (spesso straniere) che non di rado contribuiscono a organizzare le lotte dei lavoratori.
Le condizioni di lavoro sono disumane nella Cina capitalista di Xi Jinping, aspirante leader della globalizzazione imperialista. Nella scorsa settimana ha “celebrato” il bicentenario di Marx per storpiarlo ai propri fini, fino a sostenere il grottesco, cioè che il “socialismo” (leggi capitalismo) con caratteristiche cinesi costituirebbe la concretizzazione più avanzata del pensiero dell'immortale maestro rivoluzionario di Treviri. Semmai è vero che le lotte dei lavoratori cinesi dimostrano che non importa quale maschera pseudo-socialista indossi per nascondere le proprie nefandezze, il capitalismo resta capitalismo, non può cancellare né risolvere la contraddizione fra capitale e lavoro e finirà per esserne travolto.
16 maggio 2018