Trump straccia l'accordo sul nucleare con l'lran
Israele bombarda i “siti iraniani” in Siria
“Questo provvedimento manda un messaggio fondamentale, cioè che gli Usa non fanno più minacce vuote, ma quando faccio promesse le mantengo” affermava il presidente americano Donald Trump in diretta tv l'8 maggio per annunciare il ritiro degli Usa dal Jcpoa (Joint Comprehensive Plan of Action), l'accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015 dai paesi del Consiglio di sicurezza dell'Onu e la Germania. E annunciava a breve nuove sanzioni contro l'Iran e contro i paesi che “fanno affari con l'Iran cui sarà dato un po' di tempo per fermare le operazioni”, altrimenti scatteranno “severe conseguenze”.
Il segretario di Stato Mike Pompeo dichiarava il 21 maggio che la Casa Bianca era pronta a nuove sanzioni all'Iran, “le più dure della storia”, se il governo di Teheran non avesse accettato “dodici condizioni draconiane per un nuovo accordo sul nucleare”; una lista concepita per essere respinta tanto che chiede financo l’interruzione del programma missilistico che era giustamente rimasto fuori dall’accordo del 2015, per non parlare della richiesta supplementare sul ritiro totale dalla Siria. Una serie di inaccettabili diktat che portano diritti a imboccare la strada della guerra con l'Iran. Un duro attacco cui il pur moderato presidente iraniano Hassan Rohani ha dovuto controbattere denunciando “chi sei tu per decidere per l’Iran e il mondo? Il tempo per queste azioni è finito, e il popolo iraniano non ha prestato attenzione a queste dichiarazioni centinaia di volte. L’amministrazione Trump ha riportato gli americani indietro di 15 anni, all’era Bush. Ma oggi il mondo non accetta più che gli Usa decidano per gli altri”.
Alla firma del provvedimento che stracciava l'accordo sul nucleare con l'Iran Trump ricordava che già il 13 ottobre 2017 aveva cominciato a mettere in dubbio l'intesa e da allora era partita la bomba a orologeria del ritiro degli Usa, una minaccia ripetutamente ventilata fino a ora. Fino a quando gli amici sionisti del presidente americano da Tel Aviv mettevano su un piatto d'argento la motivazione per far saltare l'intesa: il 30 aprile il boia sionista Benjamin Netanyahu con una sceneggiata televisiva presentava “le nuove e conclusive prove del programma bellico nucleare iraniano, da anni nascosto alla comunità internazionale” recuperate dai servizi segreti di Tel Aviv. Sembrava la tragica replica della sceneggiata del segretario di Stato americano Colin Powell che nel 2003 presentò all'Onu le “prove inconfutabili”, palesemente false, sulle armi di distruzione di massa irachene che dettero il via all'aggressione già programmata dall'allora amministrazione Bush.
L'Iran inganna, affermava Netanyahu, e gli credeva solo Trump dato che nessun osservatore internazionale ha individuato nel materiale prodotto da Israele nessuna violazione dell'accordo Jcpoa. Mentre l'agenzia internazionale dell'Onu che si occupa del nucleare, l'Aiea, sottolineava in un comunicato stampa che Teheran ha rispettato tutti gli impegni presi e il direttore generale Yukiya Amano ribadiva che “l'Iran è sottoposto al più rigido regime di verifica nucleare al mondo”. Da ricordare che i sionisti hanno già queste armi costruite al di fuori da qualsiasi protocollo internazionale.
L'attacco di Trump all'Iran è un attacco frontale indipendentemente dalla questione nucleare, come conferma la sequenza di “colpe” del governo di Teheran puntigliosamente elencata dal presidente Usa: “è il primo sponsor del terrorismo in tutto il Medio Oriente. Negli anni ha sostenuto terroristi come Hezbollah e Hamas”, ossia i movimenti della resistenza antisionisti, e mette nel mucchi financo “i Talebani e Al Qaeda”. In Siria appoggia il regime di Assad, nello Yemen sostiene gli Houthi, in Iraq “sponsorizza gruppi militanti e terroristi sciiti”. In alte parole Trump attacca l'Iran quale potenza egemone locale, avversa a quella di Israele e dei paesi arabi reazionari e che fa parte della cordata concorrente con la Turchia che è guidata dalla Russia. L'imperialismo americano di concerto coi sionisti e i paesi arabi reazionari minaccia di far saltare anche per questa via gli equilibri raggiunti nella regione mediorientale, una volta sconfitto lo Stato islamico in Iraq e Siria e mentre è in via di definizione la spartizione della Siria senza la partecipazione di Washington.
“C'è poco tempo per iniziare i negoziati per mantenere in piedi l'accordo sul nucleare” con gli altri partner e senza gli Usa, rispondeva il presidente iraniano Hassan Rouhani chiamando gli altri paesi firmatari a confermare l'accordo. Altrimenti annunciava di aver “dato disposizione all'Agenzia per l'energia atomica iraniana di essere pronta a riprendere l'arricchimento dell'uranio come mai prima, già nelle prossime settimane”.
A nome della triade europea Francia, Germania e Gran Bretagna, e dell'Italia che si accodava, parlava il presidente francese Emmanuel Macron che si “rammaricava” per l'attesa decisione di Washington e indicava che “lavoreremo insieme per un nuovo accordo più ampio con l'Iran” come aveva di fatto preannunciato nella recente visita alla Casa Bianca. Il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian sottolineava che “l'accordo non è morto” e annunciava che gli europei faranno “tutto il possibile per proteggere gli interessi delle loro compagnie attive in Iran, che potrebbero subire le conseguenze della ripresa delle sanzioni americane contro Teheran”. Gli affari dei paesi imperialisti europei con l'Iran vanno difesi. Gli argomenti erano ripresi nel documento congiunto di Macron, Merkel e May dove i tre ricordavano “che la Jcpoa è stata approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella risoluzione 2231”, ossia è un atto ufficiale valido sul piano internazionale.
Da Mosca gettavano acqua sul fuoco, l'accordo non “cesserà di esistere immediatamente”, sosteneva il rappresentante della Russia presso l'Aiea Mikhail Ulianov, “avremo un po' di tempo per gli sforzi diplomatici e la Russia farà tutto il possibile per minimizzare le conseguenze negative della decisione americana”. Contro la decisione americana si esprimeva anche la Turchia: “il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall'accordo nucleare è una decisione che causerà instabilità e nuovi conflitti” sosteneva il portavoce del presidente Erdogan.
Fanfare per Trump a Ryad, col regime saudita che riaffermava “il proprio sostegno alla strategia annunciata dal presidente Usa sull'Iran” e auspicava “che la comunità internazionale adotti una posizione decisa e unita nei confronti di Teheran e le sue attività ostili e destabilizzanti contro la stabilità della regione e di sostegno ai gruppi terroristici come Hezbollah e Houthi”. Esultava Netanyahu che “apprezzava” la decisione di Trump, cui aveva contribuito col dossier dei servizi, e metteva subito in pratica il via libera a colpire intanto in Siria contro le basi delle milizie iraniane. La sera stessa dell'8marzo caccia sionisti lanciavano missili sulla base di al-Kiswah a sud di Damasco in risposta a un presunto attacco subito contro le proprie postazioni sulle alture del Golan occupate dai sionisti dal 1973. Teheran negava ogni coinvolgimento.
Il 9 maggio Netanyahu era a Mosca per un incontro col presidente russo Vladimir Putin e prima di partire aveva dichiarato che “gli incontri fra noi sono sempre importanti e questo lo è in modo particolare. Alla luce di quanto avviene in Siria, è necessario assicurare il coordinamento fra i militari russi e le forze di difesa israeliane”. Infatti i vertici militari sionisti dichiaravano di aver informato la Russia prima di sferrare l'attacco missilistico. Trump attacca, Putin al momento si limita a parare i colpi e a difendere le sue basi in Siria.
23 maggio 2018