Dopo che i sindacati avevano indetto lo sciopero generale per il 15 giugno
Riaperta la trattativa per il rinnovo del contratto dei lavoratori agricoli
Era tutto pronto per lo sciopero del 15 giugno. Dopo 5 mesi di trattativa non si vedevano sbocchi per il rinnovo del contratto nazionale dei lavoratori agricoli e florovivaisti scaduto a dicembre 2017. Le organizzazioni sindacali di categoria Flai-Cgil, Fai-Cisl e Uila avevano deciso una giornata di mobilitazione generale con manifestazioni e presidi in tutta Italia, ma proprio in extremis hanno ricevuto dalle controparti Confagricoltura, Coldiretti e Cia la proposta di riaprire le trattative per cui lo sciopero è stato sospeso, in attesa dell'esito del prossimo incontro tra le parti convocato per il 19 giugno.
Il settore agricolo e florovivaistico impegna oltre un milione di lavortori e rappresenta un comparto in espansione ma, nonostante le misere condizioni salariali e gli scarsi diritti dei lavoratori, le associazioni padronali hanno respinto qualsiasi richiesta sindacale. Tra queste l'aumento medio del 4% del salario in due anni, la regolamentazione e il controllo delle aziende plurilocalizzate, il freno alla esternalizzazione della manodopera alle cosidette “cooperative senza terra” che da Nord a Sud del Paese reperiscono braccianti a basso costo per le grandi aziende agricole.
Un settore dove dilaga lo sfruttamento e il lavoro nero e che i padroni vorrebbero ancor più di oggi libero da qualsiasi regola. I mostruosi avvenimenti che ogni giorno salgono agli “onori” delle cronache ce lo confermano, come l'uccisione del sindacalista originario del Mali Soumaila Sacko avvenuta in Calabria. Nel comparto agricolo lo sfruttamento di tipo schiavistico è all'ordine del giorno, con italiani e stranieri pagati 2-3 euro l'ora e migliaia di migranti costretti a vivere in ghetti e baraccopoli in condizioni disumane e senza alcun diritto.
Ma tutto questo non basta e i padroni vorrebbero estendere queste condizioni da fame anche nei contratti di lavoro legali. La stessa rottura delle trattative si è consumata sulla richiesta da parte delle organizzazioni padronali dell'eliminazione di qualsiasi vincolo e limite dell'orario di lavoro e l'istituzione di un salario minimo a livello nazionale. Quest'ultima richiesta, ben lungi dall'essere una garanzia, non tiene conto della struttura retributiva esistente nel settore e affida la titolarità della definizione dei salari alla contrattazione provinciale eludendo quella nazionale.
Ma la cosa forse più grave è che le richieste sindacali in piattaforma sulla legge 199 del 2016 contro lo sfruttamento e il caporalato si sono scontrate con la totale chiusura delle associazioni padronali ad impegnarsi nell’attivazione delle sezioni territoriali della rete del lavoro agricolo di qualità. I sindacati si dicono “fortemente preoccupati rispetto alla chiusura nei confronti di una legge che è stata da tutti accolta come un importante passo avanti nella lotta contro lo sfruttamento e il lavoro illegale in agricoltura”. Preoccupazione che aumenta in vista dell’avvicinarsi delle campagne di raccolta.
Sulla stessa lunghezza d'onda dei padroni, e non poteva essere altrimenti, si è sintonizzato il fascioleghista ministro dell'Interno Salvini, che alcuni giorni fa ha dichiarato: “la legge sul caporalato invece di semplificare complica”. Gli ha replicato la segretaria della Flai -Cgil, Ivana Galli, che si è detta stupita (?) dalle affermazioni di Salvini di voler abrogare una legge che “persegue chi vuole sfruttare il lavoro delle persone, fare guadagni approfittando del bisogno e del ricatto”.
20 giugno 2018