Arrestato Gennuso (PA) indagato Sammartino (PD)
Zeppa di inquisiti l'Assemblea siciliana
Costi alle stelle: 4 portaborse per deputato per un totale di 300 “collaboratori”
Alla mangiatoia partecipano anche i Cinquestelle
A svariati mesi dalle elezioni del 5 novembre 2017, l'Assemblea regionale siciliana si ritrova già con undici consiglieri regionali (deputati) indagati.
Praticamente quasi un sesto dei nuovi eletti o rieletti al parlamento siciliano è già finito sotto accusa e/o in manette per reati gravi e infamanti che vanno dalla corruzione al voto di scambio, evasione fiscale, spese pazze, riciclaggio, truffa, appriazione indebita, abuso d'ufficio e chi più ne ha più ne metta.
Il primo a finire in manette è stato Cateno De Luca (Udc), rinchiuso ai domiciliari a 48 ore dal voto per un’evasione fiscale di 1,7 milioni di euro. Il penultimo è Luca Sammartino, recordman catanese del PD con 32 mila preferenze, presidente della commissione Lavoro all’Ars, indagato dalla Procura di Catania per “errore determinato dall’altri inganno” e “falsita’ ideologica commessa da pubblico ufficiale” nell’ambito di un’inchiesta su alcune irregolarità in un seggio elettorale “speciale” allestito nel centro assistenza per anziani Maria Regina di Sant’Agata li Battiati per le scorse elezioni regionali in Sicilia.
L'ultimo della serie è invece Giuseppe Gennuso, 65 anni, della lista di centrodestra Popolari ed Autonomisti, arrestato il 16 aprile dai carabinieri del comando provinciale di Siracusa con l'accusa di voto di scambio, aggravata dal metodo mafioso. Il provvedimento restrittivo è stato emesso dal Gip del tribunale di Catania su richiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo etneo.
E poi ancora: Edy Tamaio, eletto nella file di Sicilia Futura, Riccardo Gallo Afflitto, Arianna Caronia, Luigi Genovese e Riccardo Savona (Forza Italia) e Tony Rizzotto (Lega) tutti nei guai con la giustizia penale o contabile.
Nelle inchieste giudiziarie siciliane sono coinvolti anche i Cinquestelle con l’imprenditore turistico Fabrizio La Gaipa, primo dei non eletti, ma arrestato qualche giorno dopo il voto per estorsione ai danni di un dipendente e rimesso in libertà sotto Natale dopo aver annunciato l’intenzione di patteggiare (il gip di Agrigento ha accolto la pena di due anni di reclusione con la condizionale).
Cionostante, tutti gli attuali 70 deputati dell'Ars, indagati e non, oltre a godere di stipendi e privilegi da nababbo, si permettono anche il lusso di avere a disposizione una media di ben quattro portaborse a testa.
Tutto ciò in virtù della classica leggina-beffa, approvata dalla stessa Ars quattro anni fa la quale, invece di attuare i cosiddetti “tagli ai costi della politica” indicati nel decreto Monti sulla spending review, ha trasformato gli uffici di presidenza del parlamento siciliano in vero e proprio pozzo di San Patrizio assegnando agli “onorevoli” ben 4 milioni di euro in 5 anni da spendere in collaborazioni a propria insindacabile discrezione. La legge infatti non stabilisce né un tetto al numero di portaborse, né vincoli per l'assunzione di particolari figure professionali.
E così, coi soldi rubati al popolo, gli “onorevoli” dell'Ars hanno messo a libro paga tutti i parenti, gli amici degli amici e i loro galoppini con contratti di ogni tipo e mansioni che poco hanno a che fare con l'istituzione di cui fanno parte.
Attualmente sono circa 300, tra “portaborse”, “stabilizzati” e il cosiddetto “personale esterno” i “collaboratori” cooptati dai nove componenti dell’ufficio di presidenza dell’Assemblea.
Il record personale spetta senz’altro al presidente berlusconiano Gianfranco Miccichè che si avvale di uno staff di ben 20 “collaboratori”, più di quanti ne dispone il capo dello Stato Mattarella o il presidente degli Stati Uniti.
Ma si difendono bene anche gli ex cuffariani ed ex lombardiani, riuniti sotto il simbolo Pea (popolari e autonomisti), che hanno eletto sei deputati i quali hanno a disposizione tre portaborse e mezzo ciascuno per un totale 21 nuovi assunti. “Diventerà bellissima”, il gruppo che fa riferimento al governatore Nello Musumeci, ne ha presi 19 a fronte di sei parlamentari eletti e una media di 3,1 a testa. Tre a testa ne hanno pure i due onorevoli di Sicilia futura (Nicola D’Agostino ed Edy Tamajo), il movimento dell’ex ministro Cardinale, vicino ai renziani. Trentuno quelli che si aggirano tra le stanze di Forza Italia che ha 13 deputati, otto i portaborse per i tre onorevoli di FdI e 8 per i sei dell’Udc.
Ben supportato anche il gruppo del M5S composto da 20 deputati che possono contare sulla collaborazione di ben 24 portaborse, una media di 1,1 a testa.
Insomma, fatti un po' di conti risulta che ogni deputato dell'Ars ha a sua disposizione in media quattro portaborse e ognuno di loro riscuote uno stipendio di circa 3 mila euro in su fino ad arrivare al caso più recente, quello di Antonio Proto, assunto a Palazzo dei Normanni con uno stipendio da 7.250 euro lordi al mese con la qualifica di veterinario.
Fra loro candidati trombati alle ultime elezioni, esponenti di partito o parenti di politici: da Federica Tantillo, figlia dell’ex deputato forzista Giulio Tantillo, a Giuseppe Di Cristina, segretario del PD di Caltanissetta.
Sul numero e i conseguenti costi esorbitanti di queste false collaborazioni la sezione di controllo della Corte dei conti ha già intravisto il pericolo “di un aumento iperbolico e ingiustificato dei dipendenti”. Basti pensare che in pochi mesi, nonostante la riduzione del numero dei parlamentari passati dai 90 della scorsa legislatura, agli attuali 70, la cifra dei pasti serviti alla buvette nelle giornate di lavoro d’aula è passata da 270 a 600.
Alla mangiatoia siciliana partecipano anche i 5 Stelle con Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, ex deputati di M5S che non si erano ricandidati perché sotto processo nell’inchiesta sulle firme false e si sono dovuti “accontentare” di due incarichi di presidenza e uno stipendio da 2.895 euro lordi al mese: più o meno lo stesso compenso che, al netto delle somme restituite secondo il codice “etico” pentastellato, percepivano da “onorevoli”.
E pensare che, nonostante il fiume di denaro che mensilmente finisce nelle casse di tutte le cosche parlamentari, il gruppo parlamentare del PD ad esempio non ha nemmeno i soldi per pagare le bollette del telefono. Tant’è che dall’inizio dell’anno le due linee sono state staccate e negli uffici si può solo ricevere ma non chiamare.
18 luglio 2018