Al vertice di Helsinki
Trump e Putin concordi a combattere il “terrorismo islamico radicale”
Entrambi escludono ingerenze russe sulle ultime elezioni negli Usa
I due leader imperialisti parlano di pace ma in realtà preparano la guerra
Finora il presidente americano Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin si erano incontrati a margine di eventi internazionali, il loro primo incontro al vertice si è svolto il 16 luglio, due ore di colloqui in territorio neutro, nel palazzo presidenziale di Helsinki che a quanto risulta dalla conferenza stampa finale dei due protagonisti sembra si sia svolto in tono minore, su argomenti scontati e senza immediate conseguenze. E d'altra parte era stato lo stesso Trump, che in genere costruisce ogni sua iniziativa con fuochi d'artificio quasi fosse la vigilia del giudizio universale, a smorzare i toni e alla vigilia del vertice dichiarare che non si aspettava niente di che. Cosa si siano detti i due caporioni imperialisti nel faccia a faccia non è dato di sapere, vedremo da cosa succederà in futuro, possiamo registrare intanto alcune posizioni così come ce le hanno presentate.
Nelle dichiarazioni di apertura della conferenza stampa si possono individuare i punti di contatto tra le due potenze imperialiste, o meglio il punto principale che le vede unite a combattere il “terrorismo islamico radicale” e a dipingere un quadro quasi idilliaco di nuovi rapporti di pace tra loro mentre in realtà preparano la guerra.
Apriva le dichiarazioni Putin che sottolineava come “i negoziati con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si sono svolti in un'atmosfera franca e professionale. Penso che possiamo definirlo un successo e un giro di negoziati molto fruttuoso”.
“La Guerra Fredda è una cosa del passato. L'era del confronto ideologico acuto tra i due paesi è una cosa del passato remoto, è una traccia del passato”, chiosava il presidente russo che indicava quali nuove sfide che Russia e Stati Uniti affrontano “un pericoloso disadattamento dei meccanismi per il mantenimento della sicurezza e della stabilità internazionali, le crisi regionali, le minacce striscianti del terrorismo e la criminalità transnazionale”. Come se non fossero proprio Usa e Russia nella contesa per accaparrarsi il controllo di paesi con materie prime e di mercati i principali artefici imperialisti della continua creazione di situazioni di crisi e di guerre.
In generale Putin si dichiarava “favorevole alla continua cooperazione nell'antiterrorismo” e sottolineava tra le altre intese quella sulla soluzione della crisi siriana, ossia la spartizione della Siria, soprattutto per “per garantire la sicurezza dello stato di Israele”, chiesta da Trump e dal boia sionista Nethanyahu nella sua recente visita a Mosca. Segnalava una differenza di posizioni, ma senza alzare la voce, sul nucleare iraniano, con l'Iran alleata della Russia messa decisamente nel mirino dall'imperialismo Usa.
Liquidava infine con “lo stato russo non ha mai interferito e non interferirà negli affari interni americani, incluso il processo elettorale” la questione del cosiddetto Russia gate, il polverone sollevato negli Usa per le presunte interferenze russe via Internet contro la Clinton nella campagna elettorale presidenziale e i contatti dello staff di Trump coi russi prima ancora dell'insediamento dell'amministrazione repubblicana alla Casa Bianca. Posizione presa per buona da Trump ma che ha sollevato un nuovo polverone negli Usa dove sono aperte varie inchieste; comunque sia l'argomento è usato per distogliere l'attenzione dai veri motivi dello scontro imperialista.
“Abbiamo avuto un dialogo diretto, aperto, profondamente produttivo, è andato molto bene e abbiamo fatto i primi passi verso un futuro più luminoso” nei rapporti reciproci, ribadiva Trump. Ci sono “disaccordi tra i nostri due paes” ma ci stiamo lavorando per trovare dei modi per cooperare alla ricerca di interessi condivisi”, aggiungeva il presidente americano. Uno di questi interessi condivisi è combattere il “flagello del terrorismo islamico radicale” e rivelava che “l'anno scorso abbiamo detto alla Russia di un attacco programmato a San Pietroburgo, sono stati in grado di fermarlo. (…) Ho apprezzato la telefonata del Presidente Putin per ringraziarmi”.
Nel discorso della guerra al terrorismo Trump ha oramai inserito in pianta stabile gli attacchi, al momento apparentemente solo verbali, alla Repubblica islamica dell'Iran e rivelava di aver chiesto a Putin di “fare pressione sull'Iran per fermare le sue ambizioni nucleari e per fermare la sua campagna di violenza in tutta l'area, in tutto il Medio Oriente”.
Trump ha rilanciato le provocazioni verso l'Iran, minacciando di appiccare un nuovo pericolosissimo incendio nella regione e non solo, una volta tornato a Washington da un giro diplomatico in Europa nel quale ha attaccato la Ue e in particolare la Germania anche per gli affari con Mosca, ha rafforzato il legame militare in ambito Nato in particolare coi paesi dell'europa dell'est per stringere l'assedio militare alla Russia mentre tiene acceso il focolare della crisi ucraina. Negli ultimi mesi la Casa Bianca ha cercato con una parte di successo di recuperare l'alleanza con il fascista Erdogan e la Turchia, finora pilastro determinante della Nato e sentinella sul fronte sud dell'alleanza imperialista occidentale, per sfilarlo alla Russia e riportarlo nel suo campo. Putin risponde alla pari, tiene in mano il pallino della soluzione della crisi siriana, conquistato con l'intevento militare, e se lo gioca a tutto campo con gli alleati Turchia e Iran e con un rapporto diretto coi sionisti di Tel Aviv; non molla sul controllo della Crimea e delle regioni separatiste dell'Ucraina; diventa protagonista nel Mediterraneo orientale con le intese con Egitto e governo libico di Tobruk, regge il confronto sull'Iran. E stringe le intese sul fronte asiatico con la Cina, l'altra rivale imperialista per l'egemonia mondiale di Washington, la prima a livello economico.
Detto con altre parole, Trump e Putin preparano la guerra anche se a Helsinki hanno parlato di pace.
25 luglio 2018