Dopo le sanzioni commerciali di Trump
Scontro tra Usa e Turchia. Crolla la Lira
Erdogan minaccia di cambiare alleati. Russia, Cina, Iran e Qatar disponibili

 
“Ho appena autorizzato il raddoppio delle tariffe su acciaio e alluminio nei confronti della Turchia, poiché la sua valuta, la Lira turca, si sta rapidamente deprezzando contro il nostro forte dollaro”. Con questo tweet il presidente americano Trump ha aperto le danze il 10 agosto, dichiarando la guerra commerciale al paese guidato dal suo omologo fascista e guerrafondaio Erdogan. Venti per cento di dazi sull’alluminio, cinquanta sull’acciaio importato, e il valore della lira turca in poche ore ha perso il 13,5% del suo valore sul dollaro, il 40% dall’inizio dell’anno, e la Borsa di Istanbul è colata a picco. La scure delle agenzie di rating internazionali ha completato il lavoro, declassando il debito sovrano della Turchia. Un indebitamento quello delle società turche al 70% contratto con le banche europee, in particolare spagnole, tedesche, inglesi e italiane, in dollari ed euro che con la drastica caduta della moneta turca costano sempre di più.
Il crollo della lira è uno dei peggiori dell’ultimo decennio fra i paesi del G20, con tutti gli strascichi che ne derivano quando una moneta si deprezza, in particolare rende le importazioni più costose. E la Turchia è un paese fortemente importatore, vista la sua bilancia commerciale negativa. Intanto nel paese anatolico galoppano disoccupazione (9,9%) e inflazione (16%). In questo quadro socioeconomico delicato si è inserito l’attacco di Trump da tempo meditato alla Casa Bianca, volto a far scontare alla Turchia, membro da oltre 50 anni della NATO, l’alleanza di fatto con la Russia di Putin, da cui sta addirittura perfezionando l’acquisto del sistema missilistico S-400, decollata durante la guerra siriana, e con l’Iran. Un riflesso altresì dello scontro diplomatico in atto tra i due paesi imperialisti, dopo che Washington ha bocciato la proposta di Ankara per la liberazione del pastore evangelico statunitense Andrew Brunson, imprigionato in Turchia per sospetto “spionaggio e terrorismo”, in cambio dell’interruzione dell’inchiesta aperta dagli americani contro la banca turca Halkbank che rischia un’ammenda miliardaria con l’accusa di aver aiutato l’Iran ad aggirare le sanzioni USA. Allo stesso tempo gli Stati Uniti continuano a rifiutare l’estradizione dell’Imam Fethullah Gulen, ritenuto da Ankara l’ispiratore del fallito golpe del 2016.
Alla metà di agosto è giunta la risposta della Turchia, prima con l’invito a boicottare i prodotti elettronici statunitensi, poi con un decreto firmato da Erdogan, che ha ripetutamente descritto lo scontro in atto con gli USA come “una guerra economica” che il suo paese vincerà, contenente il raddoppio delle tariffe sulle importazioni di automobili (140%), riso (50%), superalcolici (140%), tabacco e cosmetici (60%). Il ministro del Commercio turco, Ruhsar Pekcan, ha affermato che il governo ha raddoppiato le tariffe su 22 prodotti importati dagli USA, con una misura che nell’insieme vale 533 milioni di dollari aggiuntivi, mentre il vicepresidente Fuat Oktay confermava che l’aumento dei dazi era stato ordinato “all’interno della cornice di reciprocità, in ritorsione ai consapevoli attacchi alla nostra economia da parte dell’amministrazione USA”.
Già all’indomani dell’annuncio di Trump, Erdogan aveva risposto affidandosi ad un editoriale pubblicato sul “New York Times”: se gli Stati Uniti non “invertono la tendenza all’unilateralismo e alla mancanza di rispetto saremo costretti a cercare nuovi amici e alleati. Le azioni unilaterali degli USA nei confronti della Turchia serviranno solo a minare gli interessi e la sicurezza americani. Prima che sia troppo tardi Washington deve rinunciare all’idea che le nostre relazioni siano asimmetriche, e accettare il fatto che la Turchia ha alternative. Negli ultimi sei decenni, – ha aggiunto il dittatore fascista turco - la Turchia e gli Stati Uniti sono stati partner strategici e alleati della NATO. I nostri due paesi erano fianco a fianco contro le sfide comuni durante la Guerra Fredda e in seguito la Turchia si è precipitata in aiuto degli Stati Uniti ogni volta che fosse necessario. Eppure gli Stati Uniti hanno ripetutamente omesso di comprendere e rispettare le preoccupazioni del popolo turco. E negli ultimi anni, la nostra partnership è stata testata da disaccordi. Sfortunatamente, i nostri sforzi per invertire questa pericolosa tendenza si sono dimostrati vani. A meno che gli Stati Uniti non inizino a rispettare la sovranità della Turchia e dimostrino di comprendere i pericoli che la nostra nazione deve affrontare, la nostra partnership potrebbe essere in pericolo”.
La minaccia di Erdogan di cambiare alleati ha riscontrato l’immediato consenso della Russia, tanto che con la scusa di un “bilaterale sulla Siria”, all’indomani, il ministro degli Esteri di Mosca Lavrov era già ad Ankara e della Cina che si è detta subito disponibile a offrire fondi e finanziamenti alla Turchia “senza precondizioni”. Da Teheran il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif dichiarava che “La gioia di Trump nell’infliggere difficoltà economiche al suo alleato turco nella NATO è vergognosa. Gli USA devono ripensare la propria dipendenza dalle sanzioni e dal bullismo, oppure l’intero mondo si unirà, al di là della condanna verbale, per costringerli a farlo. Ci siamo schierati con i nostri vicini in precedenza, lo faremo di nuovo ora”. Intanto l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al Thani è volato ad Ankara, dove ha incontrato Erdogan e firmato un piano di investimenti per 15 miliardi di dollari.

5 settembre 2018