I “Riders” avranno un contratto da precari
Le piattaforme che gestiscono le consegne continuano con i Cococo e le prestazioni occasionali
Nella seconda metà del mese di luglio è stata firmata al Ministero dello Sviluppo Economico (Mise) una intesa tra i sindacati confederali e i rappresentanti delle società che gestiscono la distribuzione del cibo per inquadrare i ciclo fattorini in un contratto nazionale di lavoro. Il tutto è avvenuto al Tavolo di Lavoro istituito al Mise nel tentativo di trovare una soluzione condivisa che mettesse un po' di ordine in quella “terra di nessuno” rappresentata dai lavori gestiti dalle piattaforme digitali, generalmente definita con i termini inglesi gig economy
(economia “dei lavoretti”) o sharing economy
(economia “della condivisione”).
In particolare delle regole per la categoria specifica dei “rider”. Anche questo è un termine inglese (“cavaliere”, “che cavalca un mezzo”), usato per rendere più moderna e “nobile” la parola italiana fattorino. Ma sono gli stessi diretti interessati, almeno 10mila in tutta Italia, concentrati nelle città del centro-nord, a voler togliere questo velo ipocrita e ingannevole: “non ci sentiamo diversi dagli operai della logistica o dai vessati dal lavoro nero nel commercio e del turismo” dichiarano le organizzazioni che li rappresentano.
Le piattaforme digitali, ovvero le aziende, spesso multinazionali, che ricavano i loro profitti dalla mediazione e gestione delle consegne a domicilio del cibo (food delivery)
hanno approfittato dell'assenza legislativa e contrattuale per imporre ai lavoratori salari, ritmi e condizioni, che seppur imposti con le più moderne tecnologie, ricordano quelle dei fattorini degli anni '50 o peggio ancora quelle della servitù della gleba pre-industriale, accumulando in breve tempo lauti profitti.
Ma l'esigenza di applicare delle regole a questo settore non è nata dalla sensibilità di qualche esponente o partito politico, bensì dalla presa di coscienza dei ciclo fattorini che non intendono più sottostare alle attuali condizioni di sfruttamento. Da un paio di anni a questa parte le loro lamentele sono uscite fuori dai rapporti interpersonali e dai telefonini e le rivendicazioni, le denunce e le proteste sono approdate nelle piazze delle principali città italiane.
Alcuni politici hanno cercato di recuperare terreno e consensi, primo tra tutti l'attuale vice-premier Di Maio. Il Ministro dello Sviluppo Economico aveva promesso d'inserire nel “Decreto Dignità” un'apposita revisione del Codice Civile che definisse i “rider” dei lavoratori subordinati, in contrapposizione alle sentenze di alcuni tribunali che invece li definiscono “autonomi”. Poi però, di fronte alle proteste delle società di food delivery
ha lasciato che se la sbrigassero da soli i ciclo fattorini con i sindacati e la controparte padronale.
Quella del riconoscimento di lavoratori dipendenti è da sempre una delle principali rivendicazioni dei “rider”. Secondo la Fondazione De Benedetti, attualmente lavorano nel 5,1% dei casi con i nuovi voucher, nel 6,1% a partita Iva, nel 10,3% con i contratti di collaborazione continuativa (i Cococo), nel 21,5% dei casi a chiamata e nel 47,6% dei casi nella veste di autonomi occasionali, senza dimenticare una quota del 9,4% che si classifica come “altro”. Tutto questo comporta l'assenza totale di diritti come la malattia, le ferie, il tfr, la previdenza.
Su questo al Tavolo del Ministero dedicato ai “rider” è stato trovato un punto d'incontro tra Riders Union Bologna, Deliverance Milano, Deliveroo Strike Raiders, Riders Union Roma e Cgil-Cisl e Uil, nonostante le auto organizzazioni dei ciclo fattorini fossero state invitate solo come osservatori. Altra decisione importante è stata quella d'inserire i ciclo fattorini nel Contratto Nazionale della Logistica, che fa parte del settore dei trasporti. Firmato il 3 dicembre scorso conteneva già la voce “rider” ma senza specificarne le caratteristiche.
Non si è voluto fare un contratto ad “hoc” perché si temeva poteva essere preso al balzo per riservare ai “rider” condizioni al ribasso nettamente inferiori rispetto ad altri lavoratori. Questo tuttavia non li mette al riparo perché a loro è riservato un apposito capitolo e comunque proprio nella logistica dilagano il caporalato, l'utilizzo delle finte cooperative e la concorrenza sleale.
Tra i principali punti inseriti nel contratto l’orario di lavoro, super flessibile. Può essere sia full time che part-time, con 39 ore settimanali distribuibili in massimo 6 giorni a settimana e con un minimo giornaliero di 2 ore e fino a un massimo di 8, con la possibilità di coniugare la distribuzione urbana delle merci con il lavoro in magazzino. Previsti a carico delle aziende i Dpi (Dispositivi di protezione individuale), come caschi e pettorine catarifrangenti. Infine è istituita la contrattazione di secondo livello. Restrizioni, ma non eliminazione totale, di rating
e ranking
, classifiche e punteggi che selezionano, ricattano e mettono in competizione i ciclo fattorini.
Tuttavia i vincoli sono molto vaghi. I “rider” sono inquadrati come personale viaggiante e avranno una “paga dignitosa” senza indicare un parametro effettivo agganciato al contratto nazionale, di generiche coperture assicurative, ma non di garanzie Inps ed Inail al 100%, l'assicurazione per eventuali incidenti valida solo in gasi molto gravi, i mezzi di lavoro (bici, scooter) e la loro manutenzione rimangono a carico del lavoratore, insomma tutele più basse rispetto a quelle che in altri Paesi le stesse multinazionali garantiscono già da tempo.
Aver concluso le trattative per la definizione della figura dei “rider” all’interno del contratto collettivo nazionale Logistica, trasporti, merci e spedizioni è stato salutato come un “passo avanti epocale”. L’impatto sulla situazione dei fattorini nell'immediato sarebbe però più simbolico che pratico: innanzitutto, perché i contratti collettivi si riferiscono ai lavoratori subordinati, e, come si è visto, la qualificazione dei "rider" come dipendenti è una questione ancora dibattuta. Inoltre perché, in Italia, il contratto collettivo non è valido per tutti, ma ha forza di legge solo tra le parti. Difficilmente le piattaforme digitali rinunceranno ad avere alle proprie dipendenze lavoratori assunti tramite i Cococo e le prestazioni occasionali che gli permettono una gestione del personale completamente libera e a basso prezzo.
Questa firma sembra più un ulteriore tentativo di legalizzare il precariato, iniziando a scrivere dei contratti che già nella loro cornice nazionale permettano alle aziende di gestire i lavoratori come vogliono e legare i loro salari alla produttività. Non a caso il comunicato unitario dei sindacati confederali recita: ”in questi mesi abbiamo valutato attentamente tutti gli elementi e le esigenze emerse dalle parti”, quindi anche di quella padronale. Le stesse auto organizzazioni dei “riders” hanno posizioni diverse al riguardo e alcune di esse, come il collettivo Deliverance Project
di Torino hanno abbandonato il Tavolo del Mise.
Ma anche chi ha scelto di rimanere, come Riders Union Bologna,
mantiene un atteggiamento molto critico. In un loro comunicato si può leggere “è stato inserito nel contratto collettivo nazionale della logistica un articolato apposito che definisce la professionalità del "rider" come lavoratore subordinato. Ma cosa cambia nell'immediato per i ciclo fattorini? Nulla! Tanto le aziende di food delivery
continuano ad applicare contratti deboli come i Cococo e le prestazioni occasionali e non rientrano fra le firmatarie dell'accordo. Il problema resta sempre lo stesso: finché i "rider" non saranno riconosciuti come lavoratori subordinati dalle piattaforme quel contratto rimarrà sulla carta”
Questo difatti rimane il nodo principale. Invece di prendersi i meriti che non ha di difensore dei "rider", Di Maio farebbe meglio a impegnarsi per far ottenere ai ciclo fattorini il riconoscimento giuridico di lavoratori dipendenti.
26 settembre 2018