In risposta alle sanzioni Usa
La Russia abbandona il dollaro come mezzo per gli scambi commerciali internazionali

 
Lo scorso 23 agosto l'agenzia russa Tass rilanciava stralci di una intervista del vice ministro degli esteri Sergej Ryabkov nella quale il governo di Mosca annunciava di voler attuare l'abbandono del dollaro come mezzo per gli scambi commerciali internazionali quale ritorsione al nuovo giro di sanzioni degli Usa. Lo scontro tra i due paesi imperialisti fa un altro passo in avanti.
“È giunto il momento in cui dobbiamo passare dalle parole ai fatti, di sbarazzarci del dollaro come mezzo per i nostri scambi internazionali: opereremo con mezzi di pagamento diversi” dichiarava Ryabkov. Saranno i responsabili dei ministeri economici del governo di Dimitri Medvedev a definire i tempi della fine del dollaro quale moneta usata per gli scambi commerciali, probabilmente a partire dall'1 gennaio 2019, con la stessa procedura attuata dall'1 gennaio 2018 quando su decreto diretto del presidente Vladimir Putin la Russia ha abbandonato l’uso del dollaro negli scambi nei propri porti.
Già dallo scorso aprile il governo russo ha adottato un nuovo sistema di pagamento con carte elettroniche chiamato Mir e usato da banche, negozi e servizi di ristorazione e distributori per ridurre la dipendenza da sistemi occidentali, come Visa e MasterCard.
A margine del vertice sulla Convenzione sullo stato legale del Mar Caspio, che si è tenuto nella città kazaka di Aktau il 12 agosto, il ministro delle Finanze russo, Anton Germanovich Siluanov, aveva preannunciato l'uscita di Mosca dalla dipendenza del dollaro, sostituendolo con l'euro, lo yuan cinese o la valuta locale dei Paesi coi quali avvenivano gli scambi commerciali, vedi quelli con gli alleati Turchia e Iran. Su questo tema le discussioni tra Mosca, Ankara e Teheran sono in corso da tempo e l'Iran già dallo scorso aprile ha abbandonato la valuta americana passando all'euro.
L'interscambio russo-americano è diminuito fino al livello di circa 23 miliardi di dollari annui, un decimo di quello con la Ue e un quarto di quello con la Cina. La decisione di Mosca non avrà grossi impatti commerciali tra i due paesi oramai apertamente in rotta di collisione, conta come un segnale politico dell'imperialismo russo che vuol far capire a Washington di essere in grado di tenere botta alle sue mosse. “Gli americani sono abituati a parlare con la Russia nel linguaggio degli ultimatum e delle imposizioni. Gli Usa non capiscono la normale logica, credono che se continueranno sulla loro linea, prima o poi la Russia farà concessioni, adempierà a ciò che Washington vuole, rinuncerà alla sua politica estera indipendente e, di fatto, capitolerà”, spiegava il ministro Siluanov.
Due giorni dopo, il 14 agosto, il Cremlino ribatteva il punto con un servizio dell'agenzia di stampa Sputnik, titolato significativamente “Spezzare le catene: la Russia verso l'abbandono del dollaro nelle transazioni petrolifere”. Rilanciando le dichiarazioni di Siluanov, l'agenzia sottolineava che il club dei Paesi che cercano di liberarsi dalla dipendenza dal dollaro cresce sempre più e ricordava che “a marzo Pechino, sullo sfondo dell'inizio della guerra commerciale con gli Stati Uniti, ha sferrato un duro colpo al dollaro sul mercato energetico globale, aprendo alla negoziazione dei futures di petrolio calcolati in yuan” e ha deciso di “passare al pagamento diretto in yuan delle forniture reali di petrolio”. L'asse tra Mosca e Pechino che fronteggia i concorrenti imperialisti, quello Usa il principale, si è consolidato anche sugli scambi commerciali che viaggiano in rubli già dal 2014, ossia senza “il coinvolgimento di banche statunitensi, britanniche o europee” riducendo così “la dipendenza dei sistemi finanziari di Russia e Cina dai Paesi occidentali”, notava Sputnik.

26 settembre 2018