Mentre il confine di Gaza è sigillato dall'esercito israeliano
Sinwar, leader di Hamas, propone il cessate il fuoco al nazi-sionista Netanyahu
Hamas e l'Autorità palestinese non riescono a trovare un accordo
“È tempo di cambiare. Tempo di finirla con questo assedio”, sosteneva Yahya Sinwar, il leader del movimento di liberazione nazionale palestinese Hamas, esprimendo la volontà di trovare un compromesso temporaneo con il regime di Tel Aviv per mettere fine o quantomeno allentare il blocco che da un decennio strangola i due milioni di palestinesi della striscia di Gaza.
In una intervista al quotidiano italiano “La Repubblica” lo scorso 5 ottobre Sinwar affermava che “adesso che c'è un'opportunità di cambiamento. L'opportunità di avere infine sicurezza e stabilità”, con un cessate il fuoco, una tregua dato che “una nuova guerra non è nell'interesse di nessuno. Di certo, non è nel nostro: chi ha voglia di fronteggiare una potenza nucleare con due fionde? E però, se è vero che non possiamo vincere, per Netanyahu vincere sarebbe anche peggio che perdere. Perché questa sarebbe la quarta guerra. Non può concludersi come la terza, che già si è conclusa come la seconda, che già si è conclusa come la prima (senza risultati per Tel Aviv, ndr)”.
“Non sto dicendo che non combatterò più. Sto dicendo che non voglio più guerre. Voglio la fine dell'assedio”, sottolineava il leader di Hamas, “perché se il cessate il fuoco significa che non veniamo bombardati, sì, ma continuiamo a non avere acqua, elettricità, niente, continuiamo a vivere sotto assedio, non ha senso. Perché l'assedio è una forma di guerra. E tra l'altro è un crimine per il diritto internazionale. Non c'è cessate il fuoco sotto assedio. Ma se Gaza torna normale, invece, se arrivano non soltanto aiuti umanitari, ma investimenti, imprese, sviluppo, se iniziamo a percepire una differenza, allora possiamo andare avanti. E quello che so è che Hamas si impegnerà al suo meglio”.
Un negoziato tra rappresentanti di Hamas e del governo di Tel Aviv si è sviluppato in incontri riservati negli ultimi mesi, sotto la mediazione dei servizi di sicurezza egiziani e del Qatar, senza risultati. Non certo favorito dall'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen e dal mancato accordo tra le parti palestinesi su chi comanda a Gaza, dalla quale furono cacciati i collaborazionisti dell'Anp che governa in una parte della Cisgiordania sempre più piccola e fagocitata dall'estensione delle colonie sioniste. Abu Mazen tra l'alto contribuisce, assieme all'Egitto del golpista Al Sisi, al blocco di Gaza.
Il nazi-sionista Netanyahu non ha risposto alla proposta del cessate il fuoco. Al posto del premier hanno parlato i capi militari sionisti annunciando lo schieramento di altre truppe ai confini di Gaza per “sventare operazioni terroristiche e impedire infiltrazioni in Israele dall'area della barriera di sicurezza”. La guerra di liberazione nazionale del popolo palestinese resta qualificata come “atti di terrorismo” da parte di Tel Aviv che vorrebbe la resa senza condizioni all'occupazione. Per i militari sionisti sono atti di terrorismo financo le proteste presso la rete di recinzione che sigilla illegalmente la Striscia di Gaza e il 12 ottobre, nell'ennesima manifestazione della “Marcia del ritorno”, hanno sparato sui dimostranti e ucciso altri sei giovani palestinesi.
17 ottobre 2018