Dopo che i due ducetti si sono presi a pesci in faccia
Il governo vara il condono
Salvini e Di Maio confermano che l'Italia non uscirà dalla Ue e dall'euro
Il compromesso annunciato da Conte, Di Maio e Salvini al termine del Consiglio dei ministri (Cdm) di sabato 20 ottobre, ha concluso con una tregua armata una settimana convulsa, in cui i due ducetti erano arrivati a prendersi a pesci in faccia sul decreto del condono fiscale, fino a sfiorare la rottura e un serio rischio di crisi di governo. E tutto questo mentre sulla manovra appena varata pioveva la lettera della Commissione europea preannunciante una bocciatura, che ora è puntualmente arrivata, i mercati finanziari andavano in fibrillazione, con lo spread tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi che sfondava più volte e anche di parecchio quota 300, e arrivava pure il declassamento del debito italiano (sceso a un passo dal livello "spazzatura") da parte dell'agenzia Moody's.
La settimana era iniziata lunedì 15 con la presentazione trionfale della manovra di bilancio, che concludeva una lunga trattativa di partite e contropartite tra Lega e M5S, incentrata soprattutto sul delicato nodo del decreto contenente il condono fiscale. In teoria, stando al famigerato "contratto" e a quanto promesso solennemente da Di Maio, la sanatoria chiamata ipocritamente "pace fiscale" avrebbe dovuto riguardare solo un'altra rottamazione delle cartelle esattoriali (la terza dopo quelle di Renzi e Gentiloni), riservata esclusivamente ai piccoli imprenditori e contribuenti non evasori in difficoltà, quelli che per cause di forza maggiore non erano stati in grado di pagare. A cui si è poi aggiunta una "definizione agevolata" delle controversie tra fisco e contribuenti, con la possibilità per questi ultimi di pagare solo il 50% dell'imposta dovuta nel caso avessero vinto il primo grado di giudizio, e il 20% dopo il superamento anche del secondo grado.
In realtà Salvini e la Lega volevano portare a casa per il loro elettorato di riferimento un pacchetto ben più succulento, e premevano per un vero e proprio condono "a saldo e stralcio", cioè abbattere anche l'imposta dovuta e non solo condonare sanzioni e interessi, e per estendere la sanatoria anche ai redditi non dichiarati, cioè alle entrate "in nero". Nelle loro intenzioni il condono si sarebbe dovuto applicare alle cartelle esattoriali fino a 1 milione di euro, così da comprendere circa il 90% del totale, pagando solo dal 6 al 20% del dovuto, e realizzando un introito calcolato di 11 miliardi in cinque anni, ma si sarebbero anche "accontentati" di un limite a 500 mila euro. Naturalmente un mega condono così sfacciato non poteva essere retto dagli alleati di governo, che ponevano l'asticella al limite dei 100 mila euro, insistendo anche per togliere il "saldo e stralcio" e far pagare tutta l'imposta dovuta.
"Chiamatelo condono, chiamatelo come vi pare"
Alla fine i Cinquestelle avevano capitolato proprio su quest'ultimo punto, accettando un compromesso, chiamato ipocritamente da Conte e Di Maio "dichiarazione integrativa", che permette di dichiarare redditi aggiuntivi fino al 30% del dichiarato, e fino a un massimo di 100 mila euro per i 5 ultimi anni di imposta, pagando solo il 20% del dovuto, rateizzato in 5 anni e senza sanzioni né interessi. Quindi un condono vero e proprio. Non solo, ma accettavano anche lo stralcio, cioè il colpo di spugna, su tutti i debiti con il fisco fino a 1.000 euro pendenti tra il 2000 e il 2010: come i bolli auto, le multe, i contributi Inps e Inail, le false dichiarazioni ecc. Come contrappeso all'accettazione del doppio condono Di Maio prometteva l'inserimento del provvedimento "manette agli evasori" nel decreto fiscale, (ma poi vedremo che non è andata così), mentre non gli riusciva di inserirci il taglio delle pensioni d'oro, che gli sarebbe stato molto utile in vista delle europee, ma che Salvini riusciva a rimandare invece alla manovra, come dire a rinviarne di mesi l'applicazione.
Per Di Maio si trattava a questo punto di far ingoiare il rospo del condono al M5S che finora si era sempre vantato di essere "diverso" dagli altri partiti e si era sempre riempito la bocca con lo slogan "onestà, onestà". A sentir lui non si sarebbe trattato di un condono, ma solo di un'"estensione" dell'istituto della "dichiarazione integrativa" già esistente. Peccato però che questa preveda il pagamento dell'intera imposta dovuta sui redditi oltre il dichiarato, e solo le sanzioni al minimo, mentre il decreto fiscale del governo concede anche un sostanzioso sconto di imposta (dall'attuale 43% al 20%), senza sanzioni e rateizzabile. Cosa che a detta di tutti si chiama condono. Non per nulla, ai giornalisti che in conferenza stampa glielo facevano notare, Conte è sbottato con un "chiamatelo condono, chiamatelo come vi pare".
Far digerire il condono alla base del M5S
Già così far accettare alla sua base il decreto fiscale era una bella gatta da pelare, ma via via che uscivano resoconti sempre più dettagliati e approfonditi delle agenzie e dei giornali, che portavano alla luce le dimensioni sempre più larghe e scandalose del condono ivi contenuto, per il ducetto pentastellato l'impresa diventava un incubo. Infatti emergeva per esempio che il limite dei 100 mila euro era solo nominale, perché essendo 5 gli anni di imposta e ben 5 le imposte comprese nel condono, per ogni soggetto il totale del tetto di imposta evasa su cui applicare lo sconto poteva arrivare fino a 2 milioni e 500 mila euro, ben oltre quanto chiedeva inizialmente la Lega. E tra queste imposte figurava a sorpresa anche l'Iva (tra l'altro non condonabile secondo le norme europee), mentre l'inserimento dei contributi Inps ha sollevato le proteste di Boeri che ha parlato di "effetti devastanti sui conti del nostro istituto".
Non solo, ma emergevano altresì cose ancor più scandalose e indigeribili, come l'inserimento di una serie di impunità per reati fiscali tra cui la dichiarazione fraudolenta, infedele, prodotta con artifici, omesso versamento e omesso versamento Iva, e per i reati di riciclaggio e autoriciclaggio (tipici reati di mafia e di corruzione); e come se non bastasse anche uno scudo fiscale per le attività finanziarie e gli immobili detenuti all'estero.
Troppo da far digerire alla base del M5S, il cui nervosismo si è tramutato in rivolta, sia da parte della base sui social media che tra i parlamentari, come anche lo stesso Di Maio ha potuto assaggiare martedì 17 nella riunione dei suoi gruppi parlamentari, dove invano ha cercato di rassicurarli ripetendo la tiritera della "pace fiscale per aiutare le persone in difficoltà". È a questo punto che il ducetto, con le spalle al muro, ha cercato di uscirne fuori "denunciando" il giorno dopo nella trasmissione "Porta a porta" la manomissione del testo originale del decreto fiscale approvato nel Consiglio dei ministri, accusando "una manina, tecnica o politica", che avrebbe aggiunto i passaggi sullo scudo fiscale e l'impunità per i reati fiscali, e gettando implicitamente ombre sul sottosegretario alla presidenza del Consiglio e vice di Salvini, Giorgetti, sul viceministro all'Economia, Garavaglia, e sul sottosegretario all'Economia e firmatario del decreto, Bitonci. Minacciando anzi di andare a sporgere denuncia in procura, e che comunque così com'era scritto il decreto i suoi parlamentari non l'avrebbero votato.
Tregua a un passo dalla rottura
Naturalmente sia Salvini che gli altri esponenti di governo della Lega respingevano con irritazione e con sdegno le accuse al mittente, lasciando intendere che o Di Maio non aveva letto quello che aveva votato insieme a tutto il Cdm, o la sua era una sceneggiata per salvare la faccia di fronte alla sua base e al suo elettorato: "Quando hanno visto che il loro elettorato non prendeva bene la norma hanno pensato di fare un po’ di casino", ha detto Bitonci. "Sarebbe assurdo - ha rincarato Giorgetti in un'intervista a La Repubblica
, non concedere l'ombrello di non punibilità per i reati fiscali a chi accetta di venire allo scoperto e pagare". Come dire che perfino Di Maio avrebbe potuto capirlo.
Il più duro è stato Salvini, che a un certo punto è sbottato rivelando su Facebook che "in quel Consiglio Conte leggeva e Di Maio verbalizzava, a me passare per amico dei condonisti proprio non mi va". E faceva sapere stizzito che non si sarebbe presentato al nuovo Cdm convocato da Conte per modificare il testo, perché aveva "altro da fare". Salvini anzi contrattaccava accusando il M5S di aver inserito nel decreto Genova un condono per le case abusive distrutte dal terremoto a Ischia, e di voler stravolgere il suo decreto su migranti e sicurezza presentando ben 81 emendamenti in parlamento.
Ma alla fine è andata come doveva andare: Di Maio si è guardato bene dall'andare in procura, e Salvini dal disertare il Cdm convocato per trovare un compromesso e salvare l'alleanza di governo. Compromesso che è consistito in uno scambio tra la rinuncia della Lega all'impunità per i reati tributari e allo scudo fiscale, e la rinuncia del M5S a presentare emendamenti al decreto sicurezza che non siano concordati preventivamente con la Lega.
Il fatto è che il primo non può permettersi di rompere, perché andare a nuove elezioni ora, coi sondaggi in calo e senza il “reddito di cittadinanza” vorrebbe dire disfatta certa. E il secondo, anche se è in piena crescita e avrebbe pure la ruota di ricambio di Berlusconi, non vuole rompere almeno fino a dopo le elezioni europee, sulle quali punta molto anche in vista di laurearsi come leader della destra "populista" e "sovranista" (leggi nazionalista, fascista e razzista) europea.
Nessuna volontà di uscire dalla UE e dall'euro
C'è anche un altro motivo che impedisce per ora una crisi di governo al buio, ed è il timore di una rottura irreversibile con la Commissione europea e di una salita incontrollata dello spread che potrebbe creare un'altra situazione d'emergenza come nel 2011, e che il capitalismo italiano non si può permettere. Anche per questo i due ducetti, insieme a Conte, cercano ora di rassicurare la Commissione e i mercati, ma anche la Confindustria e gli imprenditori che li sostengono, con dichiarazioni più concilianti e "responsabili". Come per esempio questa di Salvini: “Non vogliamo lasciare la moneta unica. Stiamo bene nella Ue ma vogliamo cambiare le regole”. E quest'altra di Di Maio: “Nessuna volontà di lasciare l'Europa. Noi riconosciamo le istituzioni europee e ci sediamo al tavolo per discutere le istanze della manovra”.
Sta di fatto che anche con il compromesso che hanno trovato sul decreto fiscale il condono fiscale resta così com'è, salvo la cancellazione dello scudo fiscale e dell'impunità per i reati fiscali. La quale però c'è comunque di fatto, perché attualmente il tetto per la non punibilità dei reati tributari come la dichiarazione infedele e l'omesso versamento Iva è molto alto (rispettivamente a 150 mila e 250 mila euro), comunque superiore ai 100 mila euro del condono. Quanto ai reati di riciclaggio e autoriciclaggio, questi scattano solo se connessi a uno dei suddetti reati tributari, quindi difficilmente si potrebbero concretizzare.
Quanto al tetto dei 100 mila euro non è ancora chiaro fino a che punto potrà essere dilatato. Di Maio ha ammesso che vale per ogni anno di imposta, dunque fino a 500 mila euro, e sulla questione se vale anche per ogni tipo di imposta ha glissato; mentre Salvini ripeteva che sì, vale anche per ogni imposta. Per di più, secondo rivelazioni de Il Fatto Quotidiano
, nel testo definitivo del decreto non comparirebbe affatto il provvedimento "carcere per gli evasori" promesso da Di Maio.
"Questo condono è uno schiaffo doloroso in faccia ai lavoratori", ha dichiarato Susanna Camusso, anche perché "la riduzione delle entrate dovute al condono determineranno una riduzione delle risorse disponibili al processo di redistribuzione e per la spesa sociale". "Non stiamo parlando - ha aggiunto indignata la segretaria della Cgil - di piccole cifre né di una sorta di evasione di sopravvivenza legata a difficoltà temporanee. Questo è un invito ad arricchirsi illegalmente". Giusto, ma allora non sarebbe il caso di cominciare a parlare di mobilitare le lavoratrici e i lavoratori contro questo governo fascista, razzista e amico degli evasori? Per buttarlo giù al più presto.
24 ottobre 2018