All'assemblea nazionale del 20-21 ottobre non una parola sulla natura fascista e razzista del governo Salvini-Di Maio e sulla necessità di combatterlo e abbatterlo
Potere al popolo riafferma la sua linea riformista, mutualista, assistenzialista e costituzionalista
Non ancora sciolto il nodo se uscire o meno dall'Ue. Lo statuto, non votato e non riconosciuto dal PRC, stabilisce il carattere aclassista, movimentista e spontaneista di Potere al popolo

 
Dove va Potere al popolo (Pap) dopo l'assemblea nazionale del 20 e 21 ottobre? Al suo primo appuntamento politico-organizzativo di un autunno già cominciato rovente contro il governo Salvini-Di Maio, tanto più fondamentale visto che ha ratificato il suo statuto, da Pap ci si sarebbe potuti aspettare un appello alla lotta senza quartiere contro questo governo e, visto che si richiama almeno a parole al socialismo, una netta presa di posizione su come rilanciare la lotta di classe e lavorare per ricompattare la classe operaia, i disoccupati, i precari, i migranti e tutte le masse in lotta.
Così non è stato, sorprendentemente, anzi, il governo non è citato nemmeno una volta nel documento conclusivo della due giorni, così come nell'intervento della rieletta portavoce Viola Carofalo. Ci si limita ad affermare che “dopo dieci anni di crisi capitalistica, la barbarie sembra trionfare ovunque”, di un opinabile pessimismo visto che il fattore avverso al neofascismo salviniano, ossia la lotta e la resistenza delle masse, è altrettanto operante. Addirittura l'esecutivo viene descritto come un “governo che ha intercettato voti facendo promesse che non sta mantenendo”, ciò rischia paradossalmente e clamorosamente di creare pericolosissime illusioni sullo stesso, mentre non ne coglie la vera natura neofascista, xenofoba e a braccetto con il grande capitale e Confindustria.
 

La linea: riformismo e spontaneismo
Lo statuto che ha prevalso nella consultazione del 6-7 ottobre (ci torneremo) e che l’assemblea di Roma ha ratificato definitivamente la linea di Pap. Tuttavia nel testo non si trova alcun riferimento al comunismo, tanto meno al marxismo, o alla classe operaia, sostituita dalle “classi popolari”, dizione che non vuol dire assolutamente nulla e che comunque equivale a non prendere chiaramente posizione per il proletariato e contro la borghesia. Ribadisce di rifarsi a “tutte le sfruttate e gli sfruttati”, ma non si dà come finalità l’abolizione dello sfruttamento.
Il punto è che Pap si qualifica sì come “anticapitalista” (“ed ecologista”), ma come alternativa propone timidamente una nuova versione di “socialismo del XXI secolo” fondato su “un modo di vivere insieme che possa permettere a tutte e tutti felicità” e sulla “socializzazione dei mezzi di produzione”. Per arrivarci, Pap “riconosce nel conflitto, nella solidarietà e nel mutualismo, nella partecipazione diretta e nel controllo popolare delle istituzioni (…) gli strumenti più adeguati”. Qui salta fuori l’anima non solo spontaneista di Pap (conflitto... di che tipo, con che metodi, con che tattica e che strategia?), ma anche riformista, perché il mutualismo (definito “la base, la spina dorsale” di Pap) inteso come orizzonte strategico da sostituire alla lotta di classe (infatti assente nello statuto) e soprattutto la “partecipazione diretta” e il “controllo popolare delle istituzioni” significano, in fin dei conti, lasciare in piedi lo Stato capitalista, sia pure “controllato” dalle “classi popolari”. Una linea che, come sempre quando si è lasciata fuori la questione del potere politico, è facile prevedere non porterà Pap più lontano della palude del riformismo e delle sabbie mobili dell’elettoralismo.
 

Lo scontro sullo statuto e il vizio elettoralista
Proprio lo scontro sullo statuto ha lacerato Pap nei mesi precedenti, culminando con la rottura con Rifondazione appena un giorno prima del voto telematico del 6-7 ottobre. Il gruppo dirigente di Pap, egemonizzato dall'Ex OPG “Je so' pazzo” napoletano e da Eurostop di Cremaschi, aveva proposto uno statuto, poi risultato vincente, che trasforma di fatto Pap in un partito, mentre gli emendamenti avanzati da Rifondazione puntavano a mantenere in piedi il cartello elettorale che è stato finora, in una specie di riedizione della rovinosa Federazione della Sinistra dove i dirigenti del PRC contavano ancora di poter controllare. Il gruppo dirigente di Pap ha insistito sull'andare al voto con due statuti contrapposti, evidentemente per tagliare fuori Rifondazione, ormai divenuta concorrente per il potere. Nel farlo ha fatto ricorso a tutta una serie di soprusi e forzature per mettere i bastoni fra le ruote a Rifondazione che, annusando la prevedibilissima sconfitta, decideva di svincolarsi ritirando lo statuto il 5 ottobre. Salvo poi tornare sui propri passi con un appello, firmato il 24 ottobre da Acerbo, Ferrero, Eleonora Fiorenza e Dino Greco (braccia di Rifondazione nel coordinamento nazionale di Pap), fra gli altri.
Questo non prima che circolasse un messaggio (il famoso “pizzino”) da cui emergeva che militanti del PRC stavano promuovendo adesioni individuali a Pap solo per avere maggiori voti dalla loro parte. Un messaggio smentito poi da Acerbo. Vero o no, da questo messaggio saltava fuori la vera posta in gioco dello scontro sullo statuto: a differenza del gruppo dirigente di Pap, Rifondazione voleva andare al voto con una coalizione che includesse indiscriminatamente tutte le forze a sinistra del PD, comprese Leu e Possibile, facente capo a De Magistris.
In questa vicenda tutt'altro che pulita e onorevole risaltano due cose. In primo luogo, che Pap ha fatto proprio il metodo M5S del voto telematico che consiste nel fare un click su internet anziché passare dal dibattito vivo e attivo (e peraltro fallimentare visto che la grande vittoria millantata dalla maggioranza di Pap ha visto appena il 44% degli iscritti partecipare effettivamente al voto). In secondo luogo, e questo è il punto politico veramente rilevante, quella che si è consumata in Pap è stata, di fatto, una lotta per il potere senza nessun reale contenuto politico, dimostrando che anche chi, fra i suoi dirigenti, proviene dai centri sociali, dai movimenti e dalla sinistra sindacale ha pienamente fatto proprio il vizio elettoralista che non ha fatto che danni alla coscienza e alla combattività delle masse.
 

Il nodo delle europee
Perfettamente in linea con questa impostazione, non è ancora stato sciolto uno dei nodi fondamentali all'ordine del giorno, ossia la posizione di Pap verso le elezioni europee della prossima primavera. Il documento finale della due giorni è molto vago, dà un colpo al cerchio e uno alla botte, stuzzica le orecchie di chi si riconosce nella lotta all'Ue e nel comunismo affermando che “senza conflitto non c'è rappresentanza, non c'è scorciatoia elettorale”, ma poi ribadisce l'accordo di Lisbona, siglato con le altre formazioni della “sinistra radicale” europea che non chiede né l'uscita né l'abbattimento dell'Ue. È facile immaginare quale posizione prevarrà alla fine, visto le forze dichiaratamente anti-Ue in Pap, anche di peso come Eurostop, finora hanno accettato tutti i compromessi al ribasso (e a destra) sulla questione.
Ma non il partito, o il movimento, rivoluzionario che tante compagne e tanti compagni sinceramente speravano. A giudicare dalla sua linea politica e programmatica e ancor più dalla sua pratica, è un partito che oscilla a “sinistra” con lo spontaneismo e il mutualismo (che, entro il capitalismo, non può che essere assistenzialismo) come orizzonte strategico sopra a tutto, in sostituzione alla lotta di classe, e a destra con il riformismo e l'elettoralismo, continuando a invocare “l'attuazione dei principi costituzionali disattesi” e mantenendosi nei limiti delle istituzioni borghesi, tanto europee quanto nazionali.

31 ottobre 2018