Respingere la proposta opportunista di Landini
Non ci vuole il sindacato unico Cgil-Cisl-Uil ma il sindacato unico di tutti i lavoratori e i pensionati
Maurizio Landini propone un sindacato unico che superi l'attuale frammentazione sindacale. L'ex segretario della Fiom, che dopo il congresso nazionale di Bari molto probabilmente sarà eletto nuovo segretario della Cgil, lo ha esposto intervenendo all'assise della Camera del lavoro di Milano. Non è la prima volta che lo fa, già nel 2015 poneva la questione di rilanciare il sindacato partendo dalla sua unità, ripensando l'attuale modello organizzativo. Una riflessione tutt'altro che banale.
È sotto gli occhi di tutti la profonda crisi che investe le organizzazioni sindacali storiche che dovrebbero essere le rappresentanti dei lavoratori, i soggetti che dovrebbero farsi carico di sostenere le rivendicazioni immediate e concrete di operai, impiegati e pensionati. Le svariate sigle sindacali, chi più chi meno, sono generalmente equiparate ai partiti politici e ai governanti borghesi, avvertite come parte integrante di quella che viene definita “casta”, più attenta a conservare i propri privilegi che a difendere i lavoratori e i pensionati.
Specialmente i giovani e i precari sentono gli attuali sindacati come un corpo estraneo e in Italia, ma anche in molti Paesi europei, assistiamo a un costante calo dei tesserati. I lavoratori meno tutelati non si sentono rappresentati perché i sindacati maggiori non si sono opposti, e spesso si sono resi complici, dei governi che hanno attuato controriforme del lavoro e previdenziali che hanno contribuito a peggiorare le loro vite. Un sentimento di malcontento che sempre più spesso viene intercettato dai “populisti” e dai reazionari per chiedere l'eliminazione dei sindacati.
È quindi più che lecito porsi la domanda di come rilanciare il sindacato in crisi. Nel 2015 Landini affermava: “Non è sommando semplicemente Cgil, Cisl e Uil che i sindacati usciranno dalla crisi. Serve una riforma profonda delle organizzazioni sindacali perché il mondo del lavoro oggi è frantumato e non ha rappresentanza. E serve più democrazia perché i lavoratori possano eleggere i dirigenti sindacali e votare sugli accordi che li riguardano. Insomma in prospettiva serve un nuovo sindacato unitario e pluralista”
E aggiungeva: “se si vuole davvero aprire la strada verso un processo unitario bisogna coinvolgere i lavoratori, fondare il nuovo soggetto sulla partecipazione dal basso, sulla democrazia”. La sua proposta era piena di ambiguità ma partiva da alcuni presupposti condivisibili come la necessità di raggruppare un mondo del lavoro sempre più frantumato, di rappresentare i precari, di favorire il protagonismo dei lavoratori e allargare la democrazia, attualmente deficitaria nei sindacati confederali ma anche in quelli cosiddetti “di base”.
Evidentemente i temi sottolineati e i toni utilizzati allora erano influenzati dal tentativo di mettersi a capo di un nuovo raggruppamento della “sinistra” borghese, la “Coalizione sociale”, poi miseramente fallito. Adesso, in procinto di diventare segretario generale del più grande sindacato italiano, il ragionamento di Landini appare molto più spostato a destra e il superamento della frammentazione sindacale perde qualsiasi carattere critico verso la linea e il gruppo dirigente confederale, abbracciando l'idea di una nuova sigla che riunisca Cgil-Cisl e Uil senza che alla fine cambi niente.
Con la fine dei partiti 'tradizionali' secondo Landini “non ci sono ragioni politiche o partitiche" per non ricostruire con Cisl e Uil un unico soggetto. Una proposta che va ben oltre la tradizionale azione sindacale unitaria da tempo porta avanti dai confederali, e di cui la FIOM è stata spesso voce critica come ai tempi dei contrasti con la Fiat di Marchionne perché questo presupponeva la subordinazione agli interessi padronali.
Certamente oggi appare superato il modello sindacale strettamente legato ai partiti che vedeva la Cgil legata al PCI e al PSI revisionisti e riformisti, la Cisl al mondo cattolico e al maggiore partito della borghesia, la Democrazia Cristiana, la Uil ai socialdemocratici, repubblicani e altri partiti, oramai tutti scomparsi. Siamo in una situazione completamente diversa rispetto al dopoguerra. Ma cosa s'intende per sindacato unico?
Se andiamo a sentire le motivazioni che hanno spinto la Cisl a dire di NO a Landini le cose ci appiano più chiare. «Vorrei ricordare che quando questa cosa la proponemmo nel 2015 nell’ambito della discussione su Fiat-Fca, Renzi, Sergio Marchionne, Romano Prodi e il sottoscritto ci fu solo un coro di critiche. Tra queste, anche quella di Landini che disse con la solita demagogia che lo "dovevano decidere i lavoratori" e la Camusso disse, che “il sindacato unico c’era solo nei regimi totalitari”». Questa è stata la risposta piccata del segretario della Fim Cisl Marco Bentivogli.
Quindi, quanto meno per la Cisl, quando si parla di sindacato unico s'intende una rappresentanza dei lavoratori totalmente subordinata alle esigenze dei capitalisti, un sindacato “modello Pomigliano” che piaceva anche a Renzi, Prodi e Marchionne. Una riedizione del corporativismo fascista dove l'unico ruolo concesso ai lavoratori è quello di sacrificarsi per la propria borghesia nazionale nel contesto della competizione capitalistica globale.
Probabilmente Landini ha una visione un po' diversa dalla Cisl, e intende un sindacato unico che abbia maggior forza di contrattazione con il governo e i padroni, ma sempre in un'ottica di concertazione e di fusione delle sigle che non mette in discussione il modello organizzativo attuale ma sopratutto non si distacca dal sindacato istituzionale, collaborazionista e sempre più corporativo e cogestionario, modello a cui si è sempre ispirata la Cisl e oramai fatto proprio anche dalla Cgil.
Non abbiamo certo bisogno del sindacato unico nato dalla fusione di Cgil-Cisl-Uil, che inevitabilmente riproporrebbe la solita linea tenuta fin qui dai tre sindacati confederali. Non serve un grande sindacato unico di regime come ai tempi del fascismo che riconquisti la perduta autorevolezza “per legge”, attraverso il suo riconoscimento giuridico (l'articolo 39 del Costituzione, mai attuato). Non serve un sindacato unico che eserciti il suo monopolio attraverso il Testo Unico sulla Rappresentanza, un accordo che esclude quei lavoratori e quei sindacati che rifiutano la politica della concertazione e della collaborazione; un freno alla libertà sindacale, alla conflittualità, alle lotte e anche al diritto di sciopero.
Serve invece un grande sindacato delle lavoratrici, dei pensionati delle pensionate e dei pensionati/e, fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali dei lavoratori e dei lavoratori. Dove i suoi rappresentanti non siano calati dall'alto ma selezionati attraverso un'investitura dal basso e possano essere revocati non appena non riscuotono la fiducia dei lavoratori.
Dove la democrazia sia reale e non limitata. Esigere che le lavoratrici e i lavoratori votino le piattaforme e gli accordi contrattuali che li riguardano è un diritto sacrosanto, tuttavia limitare la democrazia sindacale a un semplice Si o NO su contenuti elaborati da ristretti gruppi dirigenti non risolve, anzi nega, il problema di conferire il potere sindacale e contrattuale nelle mani della base.
"Per noi – si legge nel documento dell'Ufficio politico del PMLI che illustra il modello sindacale del PMLI- tutto il potere sindacale e contrattuale dei lavoratori deve essere esercitato soprattutto attraverso l'Assemblea generale: è questo il momento più alto della democrazia diretta in campo sindacale in cui le lavoratrici e i lavoratori discutono i problemi, mettono a confronto idee, assumono le decisioni, approvano le piattaforme e gli accordi con voto palese.... il metodo della democrazia diretta deve essere attuato per tutte le decisioni sindacali ai vari livelli territoriali e nazionale, di categoria e intercategoriale"
Oltre alla gestione della vita del sindacato fondata sulla democrazia diretta dal basso verso l'alto, altre caratteristiche principali del nostro modello sono: l'unità sindacale di tutti i lavoratori dipendenti (operai e impiegati di ambo i sessi e di tutte le categorie e i settori privati e pubblici) e di tutti i pensionati a basso reddito, l'assunzione di una piattaforma rivendicativa che abbia come unico scopo la conquista di migliori condizioni di vita e di lavoro, per quanto possibile sotto il capitalismo; il rifiuto a livello di principio della concertazione e del "patto sociale" con governo e padronato poiché è solo con la lotta di classe, con l'uso di tutti i metodi di lotta a disposizione che possono essere conquistati veri ed effettivi avanzamenti sociali per gli sfruttati e gli oppressi.
Un sindacato come questo non può che essere autonomo e indipendente non solo dal governo e dal padronato, ma anche dai partiti. Dubitiamo che Landini abbia la stessa opinione su questo punto, visto il suo atteggiamento verso il governo nero Salvini-Di Maio. Perfino il leader della Fim-Cisl Bentivogli, nell'intervista già citata affermava: “Prima ci proponeva, dopo averlo sempre annunciato alla stampa, uno sciopero a settimana. Da quando è in carica l'esecutivo di Conte, dalla sua bocca è sparita la parola mobilitazione. Leggo che lui e la Fiom sono favorevoli al reddito di cittadinanza, una cosa che non avevo mai sentito quando era alla guida dei metalmeccanici”.
Gli attuali sindacati, anche quelli cosiddetti di base, hanno già fatto il loro tempo, vanno tutti sciolti per creare un unico sindacato come ha proposto da anni il PMLI. Il tema comunque è all'ordine del giorno, bisognerebbe portarlo in luce al Congresso della CGIL.
14 novembre 2018