Presieduto da Mattarella
Il Consiglio supremo di Difesa ribadisce l'impegno dell'Italia per l'esercito europeo e per il ruolo guida del fianco sud della Nato
Il 31 ottobre, presieduto da Mattarella, si è riunito il Consiglio supremo di difesa (CSD), con all'ordine del giorno, come recita il comunicato ufficiale, "gli sviluppi della situazione internazionale e i principali scenari di crisi e di conflitto". Alla riunione hanno partecipato il presidente del Consiglio Conte, il ministro dell'Interno Salvini, il ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Di Maio, il ministro degli Esteri Moavero Milanesi, la ministra della Difesa Trenta, il ministro dell'Economia e delle Finanze Tria e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giorgetti. Che poi sono anche i ministri che contano veramente nel governo Lega-M5S, a cominciare da Salvini, Giorgetti e Di Maio. Erano presenti anche il capo di Stato maggiore della difesa, Gen. Claudio Graziano, e il segretario del Consiglio supremo di difesa, Gen. Mosca Moschini.
A queste riunioni non viene mai data troppa pubblicità sui media, e stavolta ancora meno del solito. Eppure si tratta di supervertici che si svolgono su un livello superiore allo stesso Consiglio dei ministri, e che prendono decisioni tanto importanti quanto semisegrete, perché coinvolgono direttamente la politica internazionale e militare. O forse proprio per questo motivo non si vuole che se ne parli troppo. Per cui al di là dello scarno comunicato riportato sui siti ufficiali non si trovano sui giornali e sulla rete i commenti e le "indiscrezioni" che solitamente accompagnano altri vertici, come per esempio le riunioni del Consiglio dei ministri.
Ciononostante anche dal solo comunicato ufficiale ci si può fare un'idea delle linee di politica estera e militare che governo, Quirinale e vertici delle forze armate stanno preparando. Per esempio che la "stabilizzazione" della Libia ha la massima priorità per l'Italia, e che attualmente tutti gli sforzi devono essere concentrati nell'appoggiare il piano delle Nazioni Unite per portare progressivamente tutte le fazioni libiche ad un accordo per arrivare ad un "traguardo elettorale". E in questo ambito il governo italiano punta ad esserne l'attore principale, a cominciare dalla Conferenza di Palermo del 12-13 novembre (vedi articolo a parte). Non a caso il Consiglio ha messo questo tema al primo punto della discussione, segno dell'importanza che il governo ha attribuito al vertice di Palermo come trampolino per rilanciare il ruolo dell'imperialismo italiano nella crisi libica contendendo il terreno a quello francese.
La politica imperialista ed espansionista dell'Italia, proiettata in particolare nel Sud del Mediterraneo e verso l'Africa, non è perciò cambiata neanche con il "governo del cambiamento", come dimostra questo primo CDS del governo Salvini-Di Maio, ma ne esce confermata e rafforzata. Tant'è vero che oltre alla riconferma delle ambizioni neo mussoliniane verso la Libia, il CDS ha ribadito anche altri due capisaldi di questa politica, che sono l'impegno per la costruzione dell'esercito europeo e il ruolo guida dell'Italia nel fianco Sud della NATO, cioè nel Mediterraneo. Come recita il comunicato, il Consiglio ha ribadito infatti "l'impegno italiano nell'ambito della Cooperazione Strutturata Permanente Europea (PESCO), per la quale il nostro Paese ha assunto il coordinamento di alcuni dei principali programmi"; e, per quanto riguarda la NATO, "l'Italia intende confermare il suo ruolo guida sul 'fianco sud', che si è recentemente tramutato in iniziative concrete, come quella dell'Hub strategico meridionale della NATO a Napoli".
Non è cambiata neanche la politica, già sancita nel "Libro bianco della Difesa" voluto dall'ex ministra Pinotti, della "riforma dello strumento militare", che proseguirà con il "processo di riordinamento e razionalizzazione dello Strumento Militare al fine di concentrare le risorse disponibili sulle capacità realmente necessarie per fronteggiare le esigenze di sicurezza del Paese". Ossia verso un esercito imperialista con meno personale ma più specializzato e meglio armato, con una "postura" interventista e sempre più proiettato al di fuori dei confini nazionali, per difendere gli interessi nazionali dovunque sia necessario.
Non è stato annunciata nemmeno il ritiro graduale dei militari impegnati nelle cosiddette "missioni di pace" all'estero, che pure figurerebbe nel famigerato "contratto di governo" Lega-M5S. E si tratta di 38 missioni internazionali in 24 paesi, e che impiegano ben 6.500 militari. Il cui rifinanziamento, anche se non ancora confermato, è comunque già inserito nella legge di Bilancio. Anzi, in occasione del centenario della "vittoria" dell'Italia nella prima guerra mondiale imperialista, la ministra Trenta ha inviato un messaggio ai militari italiani all'estero definendoli "i paladini della stabilizzazione", che intervengono "perché i conflitti siano superati e per evitare che si riaccendano". Come dire che le missioni di guerra non verranno mai ritirate, visto che i conflitti non mancano mai.
21 novembre 2018