Conferenza di Palermo sulla Libia
Iniziativa dell'imperialismo italiano per avere la leadership economica e politica sulla sua ex colonia
Nessuna dichiarazione finale. Haftar, che controlla la Cirenaica, non ha partecipato alla Conferenza. La leadership è contesa dall'imperialismo francese
Controvertice contro le guerre e il razzismo
In una Palermo blindata e militarizzata da un imponente dispositivo di sicurezza si è svolta il 12 e 13 novembre la conferenza internazionale sulla Libia organizzata dal governo italiano e sponsorizzata dall'ONU. "Per la Libia e con la Libia" era il pomposo titolo della conferenza a cui erano invitati i rappresentanti delle principali fazioni che si contendono il potere in Libia, e delle nazioni mediterranee, nordafricane e mediorientali coinvolte a vario titolo nella e dalla crisi libica, tra cui il presidente egiziano Al-Sisi, il vicepresidente turco Oktay e il vicepremier e ministro degli Esteri del Qatar, Al Thani, nonché delle maggiori potenze mondiali, come Stati Uniti, Cina, Russia, Unione Europea, di numerosi paesi europei tra cui Francia e Germania, della Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale e delle Nazioni Unite.
Per i libici erano presenti il capo del "governo di unità nazionale" di Tripoli riconosciuto dall'ONU, dall'Italia e dalla UE, Fayez Al-Serraj, il capo dell'Alto Consiglio di Tripoli, Khaled Al-Meshri, e il vicepremier di Serraj, Ahmed Maitig, che rappresenta anche le milizie di Misurata. Per il governo della Cirenaica, sponsorizzato da Francia, Egitto e Russia, era presente il presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh. Fino all'ultimo è rimasta invece in forse la partecipazione del capo del governo di Tobruk, il generale Khalifa Haftar, irritato per la presenza di Qatar e Turchia, da lui considerati sponsor del “terrorismo islamico”, e per dover sedere allo stesso tavolo con rappresentanti di fazioni a suo dire vicine ad Al Qaeda e soprattutto con Al-Meshri, considerato vicino ai Fratelli Musulmani, fautori dell'Islam radicale e nemici acerrimi del suo diretto sostenitore politico e militare, il dittatore golpista Al-Sisi.
Haftar si è alfine deciso a venire a Palermo solo dietro pressanti insistenze del presidente del Consiglio Conte e del ministro degli Esteri Moavero, e grazie anche alla mediazione dell'Egitto e della Russia sollecitata dal governo italiano in nome dei buoni rapporti sviluppati di recente con questi due paesi. Anche se poi Haftar ha voluto limitare il suo intervento ad incontri bilaterali con alcuni rappresentanti di governo e al vertice ristretto con il suo rivale Al-Serraj organizzato da Conte, per poi andarsene subito dopo senza partecipare alla riunione plenaria. Tra l'altro, il numero due della delegazione di Tobruk, Ali Saidi, molto vicino al generale Haftar, ha abbandonato quasi subito i lavori rilasciando un'intervista polemica a Lybia 24
in cui ha definito la conferenza "una sceneggiata".
Conclusioni senza un accordo scritto
Scopo della conferenza era discutere e approvare il piano dell'inviato dell'ONU, Ghassan Salamè, per la stabilizzazione politica della Libia attraverso una Road map
per arrivare ad elezioni accettate da tutte le parti in campo entro la prossima primavera, con il dispiegamento di "forze di sicurezza regolari" e il sostegno della "Comunità internazionale". E ciò in considerazione del fatto che le elezioni previste entro dicembre nel vertice del maggio scorso tra Haftar e Serraj a Parigi, sponsorizzato dal presidente francese Macron, sono finite sostanzialmente in un nulla di fatto.
Riguardo a questi suoi obiettivi la conferenza non si è conclusa con un successo chiaro e da tutti riconosciuto. Non c'è stato per esempio un documento finale firmato dai partecipanti, ma solo degli accordi verbali, raccolti nelle "conclusioni" scritte ma non firmate, per un impegno generico dei rappresentanti libici e degli altri partecipanti a rispettivamente attuare e favorire la Road map,
che prevede una "Conferenza nazionale a guida libica" da tenersi nelle prime settimane del 2019 in Libia e la conclusione del "processo elettorale entro la primavera del 2019". Ci sono anche riferimenti al sostegno a "tutti gli sforzi contro il terrorismo" e al "dialogo guidato dall'Egitto per la costituzione di istituzioni militari unificate, professionali e responsabili, sotto l'autorità civile". Nonché la sostituzione delle bande armate con "forze di polizia e militari regolari" e "sanzioni mirate" da parte della "comunità internazionale" contro chi viola il cessate il fuoco. Il che sembra lasciare una porta aperta all'invio di truppe straniere sul territorio libico in funzione di "peacekeeping".
Il documento sottolinea inoltre "il ruolo dei paesi vicini nel processo di stabilizzazione della Libia", e questo fa pensare allo zampino del governo italiano, anche perché poco dopo si sottolinea la necessità di intensificare gli "sforzi regionali e internazionali per fronteggiare la comune sfida migratoria e combattere il traffico di esseri umani", che è il pretesto principale da sempre avanzato dai governi di Roma dietro cui nascondere la politica interventista dell'Italia verso la sua ex colonia. Ma più in là di così non si va, anche se ciò è bastato al portavoce di Conte, Rocco Casalino, per definirlo "un accordo verbale ma vincolante", e all'inviato dell'ONU per dichiarare, pur non sbilanciandosi troppo sui risultati concreti, che la conferenza di Palermo "resterà una pietra miliare nel cammino della Libia".
L'incognita Haftar e l'uscita della Turchia
Anche il fatto che non vi abbiano partecipato i principali leader mondiali, che pure erano stati formalmente invitati da Conte, come Trump, Putin, Merkel e Macron, sostituiti rispettivamente dall'inviato per il Medio Oriente Satterfield, dal premier russo Medvedev, e dai ministri degli Esteri tedesco e francese, non ha dato alla conferenza quella forza e quel valore vincolante che si proponeva. Per non parlare della Turchia, che ha abbandonato per protesta la conferenza non essendo stata invitata a partecipare al vertice ristretto, e lo ha fatto parlando polemicamente di "ingerenza delle ex potenze coloniali". Vertice al quale Conte aveva invitato invece, oltre a Serraj, Haftar e Salamè, i rappresentanti di Egitto, Francia, Russia, Algeria, Tunisia e il presidente del Consiglio d'Europa, Tusk.
Rimane poi l'incognita Haftar, che pur avendo partecipato al vertice ristretto organizzato da Conte, del quale ha detto "è un amico, mi fido di lui", e in cui ha stretto la mano a Serraj offrendogli informalmente una specie di tregua fino alle elezioni di primavera ("non si può cambiare cavallo in mezzo ad un guado", ha detto di lui), se n'è andato prima del vertice plenario e senza firmare le conclusioni, e per di più ha rilasciato poi delle dichiarazioni che sembrano mettere fortemente in dubbio la validità della conferenza e dei suoi risultati.
Per l'imperialismo italiano e per l'obiettivo strategico che si è proposto, cioè conquistare la leadership economica e politica della sua ex colonia, questa conferenza rappresenta invece un passo avanti di una certa rilevanza. Intanto è riuscito a tenere la conferenza e a tenerla a Palermo, in un luogo che anche simbolicamente, per la sua storia, rappresenta un ponte tra l'Italia e i popoli islamici, volendo così rimarcare il ruolo "speciale" dell'Italia nel sud del Mediterraneo e in Africa. Poi con questa iniziativa Conte ha messo a frutto, o almeno ha cercato di mettere a frutto, l'appoggio che Trump gli ha concesso a luglio per prendere l'iniziativa nella crisi libica con un ruolo egemone, promettendogli addirittura una "cabina di regia permanente Italia-USA nel Mediterraneo allargato". E con l'occasione ha pure sfruttato i buoni rapporti con la Russia di Putin per rafforzare i suoi rapporti con l'Egitto e riannodare quelli con Haftar, con il quale ultimamente c'era stata una crisi culminata con l'allontanamento dell'ambasciatore italiano da Tobruk.
L'Italia cerca di acquistare il ruolo centrale
Ma soprattutto con Palermo l'Italia è riuscita a riprendere in mano l'iniziativa nella crisi libica, dopo che ne era stata praticamente estromessa dalla Francia con il vertice di Parigi tra Macron, Haftar e Serraj, al quale l'Italia non era stata neanche invitata. Tant'è che pur furente per l'iniziativa italiana che ha sancito il fallimento di fatto del piano francese, Macron ha dovuto fare buon viso a cattiva sorte e partecipare alla conferenza, sia pure non di persona, per non restare tagliato fuori dal gioco. Sembra infatti che tra Italia e Francia si stia adesso cercando un compromesso per permettere almeno alle due compagnie petrolifere nazionali, Eni e Total, di lavorare in territorio libico senza farsi una guerra a vicenda, che in questa fase non conviene a nessuna delle due.
Non a caso i due ducetti hanno esultato all'unisono perché con Palermo l'Italia è tornata a giocare un ruolo centrale nella regione: "L'Italia torna centrale dopo anni di servilismo, bravo Conte!", ha esultato infatti Salvini. "Complimenti al lavoro di Conte, come avevamo promesso abbiamo riconquistato centralità nel Mediterraneo", gli ha fatto eco Di Maio. Dunque non c'è nulla di nuovo sotto il sole: anche con il "governo del cambiamento" la politica estera imperialista dell'Italia di espansione verso il Sud del Mediterraneo e in particolare verso la Libia, rivendicando il suo passato coloniale in quel paese, non cambia. Anzi essa è in perfetta continuità e sviluppo con la politica espansionista e neocolonialista inaugurata da Craxi e perseguita ininterrottamente da tutti i successivi governi fino a Renzi e Gentiloni.
Il controvertice antirazzista e contro le guerre
Questo è stato compreso in buona misura anche dalle associazioni e dai movimenti che si battono contro il razzismo, contro le guerre e in difesa dei migranti, che insieme ai centri sociali palermitani hanno organizzato un controvertice e manifestazioni nelle strade della città, prima e durante la conferenza, sfidando lo stato d'assedio imposto dalla polizia di Salvini con strade e piazze sbarrate, autobus deviati, scuole chiuse e persino elicotteri notturni con i riflettori puntati sul concentramento, la sera di lunedì 12, in piazza della Marina. Per non parlare della blindatura del corteo, aperto da uno striscione con la scritta "Liberiamo il Mediterraneo", con la partecipazione dei No Muos in rotta col M5S e delle associazioni antimafia, che ha dovuto sfilare in mezzo a un massiccio schieramento di poliziotti in assetto di guerra. La sera precedente i centri sociali avevano organizzato una street parade
di protesta, molto affollata di giovani, per "ridare alla città uno spazio di libertà".
In particolare il controvertice ha contestato la totale assenza, dall'agenda della conferenza, di temi come la situazione dei rifugiati in Libia, le politiche sui flussi migratori, il rispetto dei diritti umani e il completo silenzio sul caso di Giulio Regeni, nonostante la presenza del principale responsabile della sua morte, il dittatore fascista Al-Sisi, ricevuto invece con tutti gli onori da Conte.
Amnesty International ha denunciato la situazione dei rifugiati detenuti nei centri di detenzione libici, sottoposti a torture, stupri, estorsioni e abusi di ogni genere, che sono oltre 56 mila registrati dalla Uhncr. Per loro, ha puntualizzato l'associazione, ci sono poche speranze di salvezza, dal momento che dei 3.886 trasferimenti promessi da 12 paesi ne sono stati effettuati appena 1.140, una goccia nel mare. E ciò smaschera fra l'altro anche l'operazione propagandistica di Salvini, quando ha accolto all'aeroporto di Roma alcuni di questi "fortunati" salvati dalle carceri libiche sbandierandoli come l'alternativa legale agli sbarchi.
21 novembre 2018