Ecco il vero volto del capitalismo del terzo millennio
Sfruttamento di tipo schiavistico nell'Agro Pontino
I tanti ettari dei campi dell’Agro Pontino, alle porte di Roma, nascondono un inferno per gli immigrati, fatto di sfruttamento, complicità e collusione dei nuovi gestori del caporalato. Più volte ci siamo occupati della situazione dei lavoratori dell’agricoltura, in particolare in Puglia ma non solo, ed è da altrettanto tempo che analoghe situazioni sono note in gran parte d’Italia, inclusa quest’area.
Caporali, quali parte integrante di un sistema che non risparmia nessuno, e che sempre più spesso viene gestito nelle retrovie da consulenti e commercialisti complici che hanno il ruolo di produrre certificazioni ad hoc nel tentativo di dimostrare la regolarità di paghe ed assunzioni in realtà fasulle o inesistenti, con l’aiuto di ispettori ed anche di una parte di sindacalisti corrotti che sguazzano come pesci nell’acqua nei grandi interessi frutto di questa forma di moderna schiavitù.
L’inferno dei Sikh dell’Agro Pontino
In una inchiesta de “L’Espresso” di pochi giorni fa, la situazione emerge in tutta la sua gravità: nei campi romani, si coltivano ortaggi come pomodori, melanzane, cocomeri e zucchine che vengono poi vendute certificate come di “alta qualità”, mentre i lavoratori, in prevalenza indiani e pakistani, che lavorano per 14 ore tutti i giorni compresi il sabato e la domenica, sono senza alcun diritto e con stipendi da fame, in prevalenza in nero, e costretti fuori dai tempi di raccolta, a spargere fertilizzanti e veleni sotto il sole senza guanti e mascherine. I corsi sulla sicurezza sono finanziati dalla Regione, ma nessuno sostiene di averli mai frequentati.
Anche le condizioni di vita sono estremamente difficili poiché, nella migliore delle ipotesi – spesso un lusso solo per gli stessi caporali – questi lavoratori vivono in vecchi container senza riscaldamento, bagni alla turca che scaricano direttamente nei canali ed un semplice tubo in gomma per l’acqua.
Nessuna normativa di sicurezza naturalmente per il gas, proveniente da semplici bombole sparse per terra. Non è un caso infatti se spesso si verificano incendi, anche mortali.
In provincia di Latina, un container come quello sopra descritto, nascosto dietro le serre del padrone, costa in affitto 300 euro al mese; per sostenere certi costi impossibili per un solo lavoratore, ecco che tanti di loro vivono ammassati alla meglio.
La regia di padroni e “colletti bianchi”
Dicevamo di professionisti collusi, sia nella redazione di finte buste paga, sia nel controllo di eventuali ispezioni, comunicate per tempo ai padroni che non esitano a recludere gli irregolari nei container per non farli trovare al lavoro nei campi.
Un giro d’affari che secondo il Centro Studi e ricerche sul Mezzogiorno vale ben 320 miliardi di euro, pari al 19,5% dell’intero PIL italiano.
Del resto, mettendo a confronto i dati anagrafici dell’INPS con quelli della camera di commercio della provincia di Latina, ad esempio, a fronte di 16.827 lavoratori iscritti, solo 3.400 aziende sono in grado di assumerli stabilmente; la media che emerge, di circa 5 braccianti per azienda che sarebbero irrisori per tutte le attività da svolgere, svela in maniera evidente la presenza di una massa enorme di irregolari, ridotti sostanzialmente in condizioni di schiavitù.
Ecco dunque spiegato il perché esista pure un tariffario “documentale”: 200 euro per ogni busta paga finta ma necessaria per rinnovare il permesso di soggiorno, e mille euro per avere un contratto vero; per coloro che possono permettersi di pagare la bustarella per ottenerlo, è prassi far firmare contestualmente una lettera di licenziamento con la quale viene ufficializzata la qualifica di “schiavo”, privo di volontà o necessità ed a totale disposizione di padroni e caporali.
Le responsabilità del sistema capitalista
Oggi i sikh dell’Agro Pontino lavorano fianco a fianco con i nuovi migranti, per lo più africani, disposti anch’essi a lavorare senza alcun diritto; la stessa strategia al ribasso che, complici il capitalismo e le sue leggi, consente ai padroni senza scrupoli di pagare il lavoro sempre meno traendone profitti insanguinati.
Rimane dunque intatto il quadro dello sfruttamento capitalista, magistralmente descritto nell’inchiesta “La situazione della classe operaia in Inghilterra”, pubblicato nel 1845 da Engels, e più precisamente nel capitolo che tratta l’immigrazione irlandese e le condizioni di lavoro e di vita di questi migranti d’oltremanica dell’ottocento: “La concorrenza è l’espressione della guerra di tutti contro tutti, che predomina nella moderna società borghese. Questa guerra, una guerra per la vita, per l’esistenza, per tutto, e perciò anche in caso di necessità una guerra di vita o di morte, non sussiste soltanto fra le diverse classi della società, ma anche tra i singoli membri di queste classi; ciascuno è di ostacolo all’altro, e perciò ciascuno cerca di togliere tutti coloro che gli sono d’ostacolo e di porsi al loro posto.”
In questa situazione terrificante, negli ultimi due anni in queste campagne si sono suicidati dieci braccianti.
Ancora nessuno, nemmeno l’ONU, riconosce che in un paese europeo esistano vecchie forme di schiavitù; in più il governo fascista e razzista Di Maio-Salvini per bocca del ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio, ha espresso la volontà di cambiare la legge contro il caporalato in vigore dal 3 novembre 2016 all’indomani della morte della giovane Paola Clemente in un campo pugliese, poiché definita “troppo complicata”.
Legge secondo la quale in caso di riscontro del crimine espresso in denuncia, debbano essere arrestati, oltre ai caporali, anche i padroni terrieri, sequestrandone i beni.
Ma come si può pensare che migranti schiavi delle reti mafiose che li prendono in carico appena sbarcati e li consegnano nelle mani di altre organizzazioni o di padroni senza scrupoli sul territorio italiano, taglieggiati, minacciati, privi di ogni diritto, massacrati ogni giorno, spesso senza la conoscenza della lingua e delle leggi del Paese in cui arrivano, possano denunciare ciò che gli apparati dello Stato sanno benissimo? Ed ecco che il meccanismo, salvo rari casi, si inceppa fin da subito.
Un “sistema” protetto dai governi
Tutti i livelli amministrativi e di governo dello Stato borghese sembrano essere conniventi con questo sistema poiché, scritta la legge, ecco che la burocrazia strumentalmente si mette in mezzo e, unitamente alla corruzione, annienta la sostanza di qualsiasi provvedimento.
Si pensi solo che, nel caso un organo ispettivo in buona coscienza volesse fare un blitz in una qualsiasi azienda agricola, dovrebbe coordinarsi con l’ASL, con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro che a sua volta dovrebbe coordinare i Carabinieri del Lavoro, gli ispettori dell’INPS e quelli dell’INAIL.
Da dieci anni, ad esempio, è previsto il SINP, una banca dati per la prevenzione degli illeciti in materia di sicurezza sul lavoro, ma non è ancora stato avviato.
Fu proprio il governo Renzi che nel Jobs Act inserì anche una norma che prevedeva la nascita dell’Ispettorato Nazionale nel quale sono confluiti gli ispettori del ministero del Lavoro, dell’Inps e dell’Inail, complicando nei fatti le operazioni di accertamento e portando a una perdita di 600 milioni di euro in tre anni solo nella lotta all’evasione contributiva.
In estrema sintesi, negli ultimi cinque anni il numero degli ispettori del Lavoro è crollato di 1.400 unità, e nello stesso periodo sono diminuiti di ben 20.000 gli accertamenti alle aziende. A tutto ciò si affianca il grande buco nero dei bilanci delle ASL, con il numero degli ispettori dimezzati negli ultimi 10 anni, nonostante siano tutt’ora loro a contestare il maggior numero di violazioni.
Ecco perché è giusto dire che non è sufficiente una norma per asserire che il lavoro di un governo va nella giusta direzione. Contano i fatti.
L’apertura delle frontiere e la regolarizzazione di tutti i migranti è il primo passo per sconfiggere il caporalato
In realtà bisogna chiedersi cosa fanno in sostanza i presidenti in quelle regioni dove il fenomeno è particolarmente diffuso?
Cosa fanno le amministrazioni locali per alleviare le condizioni di vita di quei migranti-schiavi, ammassati in ghetti di baracche, in fatiscenti casupole o nei casolari abbandonati delle campagne?
Sono in ogni caso le scelte politiche generali che hanno consentito al caporalato di assumere l'impressionante dimensione odierna e la qualità attuale di sfruttamento schiavistico del lavoro dei migranti, ormai presente in tutta Italia.
Altro che leggi più o meno restrittive che comunque saranno praticamente inapplicate! Il primo provvedimento da fare se davvero si volesse risolvere questo problema, è l’abrogazione delle leggi sull’immigrazione, dai residuati della Bossi-Fini, alla Minniti-Orlando, fino al “Decreto Sicurezza” del fascista Salvini e del suo complice DI Maio, aprendo le frontiere ai migranti rimuovendo il primo pilastro sul quale poggia questa mattanza di stampo mafioso che rimane la ricattabilità del lavoratore dato il suo stato di “irregolare”.
Parallelamente bisogna abrogare tutte le normative che cancellano di fatto i diritti dei lavoratori stagionali, in primo luogo quelli dell'agricoltura, e l'intera "riforma" del Jobs Act che non favorisce la regolare occupazione, aiutando nei fatti il lavoro nero ed il sommerso.
28 novembre 2018