La più grande mobilitazione di massa da 5 anni
Sciopero generale in Tunisia contro i tagli e il carovita

 
Almeno il 95% dei 670 mila dipendenti pubblici tunisini ha scioperato il 22 novembre contro i tagli e il carovita, contro la antipopolare politica economica del governo di Youssef Chaled accusato di ubbidire ai ricatti del Fondo Monetario Internazionale per continuare avere in cambio i prestiti iniziati con i 2,8 miliardi di dollari nel dicembre 2016. Secondo il sindacato Ugtt, l'Unione Generale Tunisina del Lavoro, è stato lo sciopero più partecipato degli ultimi 5 anni con manifestazioni nelle principali città del paese.
La richiesta al centro della mobilitazione dei lavoratori era quella dell'aumento consistente dei salari, bloccati da anni per far fronte alla pesante erosione al potere di acquisto causata da un'inflazione galoppante che si tira dietro aumenti dei prezzi dei beni di prima necessità. Le migliaia di manifestanti che hanno dato vita alla manifestazione a Tunisi, dove uffici pubblici, scuole e ospedali erano chiusi, e nelle città di Kasserine, Sfax, Gabes e Sidi Bouzid attaccavano il governo Chaled e ne chiedevano le dimissioni.
Nell'ultima settimana diverse città del Paese sono state teatro di proteste contro per rispondere alle richieste di ristrutturazione economica del Fmi.
Le manifestazioni rilanciavano una lotta che era in corso da tempo, il 2018 era iniziato con manifestazioni in tutto il paese contro la manovra finanziaria che prevedeva l'aumento delle tasse e dei prezzi dei beni di prima necessità; l'Ugtt aveva in corso una trattativa con l'esecutivo che a novembre aveva accettato di concedere aumenti salariali a una parte dei dipendenti pubblici; una ipotesi parziale rifiutata dall'Ugtt ma soprattutto bocciata dal Fmi che non voleva misure che avrebbero allargato il debito pubblico ma piuttosto tagli consistenti al bilancio nelle spese del settore pubblico e ai sussidi sociali almeno per i prossimi due anni.
Il 5 novembre scorso il premier Chahed del partito islamista Ennahda, Movimento della Rinascita, aveva cambiato alleanze di governo, sacrificando il partito laico Nidaa Tounes, del quale fa parte il presidente della repubblica Beji Caid Essebsi in carica dal 31 dicembre 2014, e una decina di ministri del suo governo. “Questo rimpasto governativo renderà il lavoro dell’esecutivo più efficace e metterà fine alla crisi economica e politica”, sosteneva Chahed ma continuando nell'attuazione del piano di lacrime e sangue chiesto dal Fmi se si garantiva una parziale pace politica non otteneva quella sociale che si rilanciava con lo sciopero dei lavoratori pubblici.
La maggior parte degli investimenti governativi è destinato alle aree costiere e alle città interessate dal turismo soprattutto europeo che rappresenta una fetta di quasi il 10% dell'economia tunisina, a fronte dell'abbandono delle aree rurali e periferiche dove, tanto per fare un esempio, la disoccupazione giovanile è maggiore di quella media già altissima, al 35%. E sono quelle aree da dove nel dicembre 2010 partì la rivolta popolare che portò nel gennaio successivo alla cacciata del dittatore Ben Ali.

12 dicembre 2018