Il deficit scenderà dal 2,4% al 2,04%
La Ue detta legge e il governo Salvini-Di Maio obbedisce
Saranno tagliati altri 7,5 miliardi

"Rispettiamo gli impegni su reddito di cittadinanza e quota 100. Non rinunciamo a nulla", ha dichiarato il 12 dicembre da Bruxelles, cercando con ciò di rassicurare l'elettorato della maggioranza Lega-M5S, Giuseppe Conte al termine del terzo febbrile incontro di seguito con i vertici della Commissione europea, in cui è stata raggiunta una base di accordo per evitare all'Italia la procedura di infrazione in cambio della capitolazione del governo italiano sul famoso e "irrinunciabile" deficit al 2,4%, che ora si è invece offerto di ridurre ad un meno baldanzoso 2,04%.
Anche la cifra decimale sembra scelta apposta per confondere le idee e dare l'impressione che niente sia cambiato da quel 27 settembre, quando il ducetto Di Maio si affacciò al balcone di Palazzo Chigi alla maniera di Mussolini per annunciare ai suoi parlamentari in festa la "vittoria" di aver strappato il 2,4% (e pure per tre anni) al riottoso ministro delle Finanze Tria, colpevole di proporre più prudentemente l'1,9%, una cifra non molto lontana dal 2,04% di oggi. E invece si tratta di un taglio alla manovra di qualcosa come 7-8 miliardi, di cui 4,5 miliardi Conte e Tria si sono impegnati al vertice con Juncker, Moscovici e Dombrovskis di tagliare in parti uguali (per non creare disparità tra i due ducetti) direttamente dai 9 miliardi per il reddito di cittadinanza e dai 7 miliardi per la revisione della Fornero, ovvero la cosiddetta quota 100. Gli altri 2-3 miliardi il governo di Roma li avrebbe trovati "nelle pieghe del bilancio".

Italia ancora sulla corda
Tuttavia la Commissione, che avrebbe voluto arrivare all'1,8%, pur registrando "passi avanti significativi", non ha sciolto la riserva sulla procedura di infrazione, che in mancanza di un accordo potrebbe essere ancora adottata nella sua prossima riunione del 19 dicembre. Tenendo ancora l'Italia sulla corda non si accontenta di impegni verbali, ma prima di abbassare la pistola puntata vuol vedere scritto nero su bianco come questo abbattimento di bilancio di 0,36 punti verrà realizzato, con quali e quanti tagli alle risorse previste nella legge di Bilancio, che del resto il governo non ha ancora definito, salvo i saldi generali: i 12,5 miliardi per sterilizzare l'aumento dell'Iva e i 16 miliardi per reddito di cittadinanza e quota 100.
D'altra parte la difficile trattativa col Regno Unito sulla Brexit e la nuova situazione della Francia, che ha già annunciato lo sforamento abbondante del 3% di deficit, a causa delle misure promesse da Macron per placare la rivolta dei gilet gialli, sconsigliano le autorità europee dal tirare troppo la corda con l'Italia, sia per non aprire un nuovo fronte di crisi, sia per non dare l'impressione di applicare due pesi e due misure, a maggior ragione alla vigilia delle elezioni europee. Anche la UE, insomma, ha tutto l'interesse a trovare un accordo col governo italiano e scongiurare la procedura di infrazione. Non a caso, appena le posizioni del governo e della Commissione si sono riavvicinate, come per magia lo spread con i titoli di Stato tedeschi, che fino alla vigilia viaggiava intorno a 300 e anche più, si è subito abbassato di una trentina di punti.

Un grosso smacco politico per il governo
Ciò non vuol dire che la strada per il governo sia ora tutta in discesa, tutt'altro. Intanto la capitolazione a cui ha dovuto sottostare rappresenta un grosso smacco, e soprattutto per i due ducetti, che fino ad ora avevano sempre mostrato i muscoli e annunciato urbi et orbi che mai si sarebbero piegati ai burocrati di Bruxelles accettando di arretrare di un millimetro dalle cifre stabilite per la legge di Bilancio. Ora invece, facendo buon viso a cattivo gioco, proclamano che non hanno mai fatto "questioni di decimali".
A farli scendere a più miti consigli sono stati vari fattori, tra cui lo spread che ha già bruciato diversi miliardi delle banche e aumentato gli interessi sul debito pubblico, e lo spettro della procedura di infrazione con i relativi costi per le finanze pubbliche. Tutte cose che hanno fortemente allarmato la base elettorale imprenditoriale delle due forze di governo, in particolare quella della Lega. Ma hanno influito anche le pressioni del Quirinale e degli stessi Conte e Tria, i quali hanno minacciato i due ducetti di dare le dimissioni, con conseguente probabile caduta del governo, se la crisi con la Commissione fosse precipitata fino al punto di non ritorno.
Inoltre il tempo stringe anche per l'approvazione della legge di Bilancio, che va approvata entro fine anno altrimenti si andrebbe all'esercizio provvisorio, e in quel caso addio alle misure elettoralistiche tanto care ai due ducetti. Quella che per ora è stata approvata con la fiducia il 7 dicembre alla Camera infatti non è la vera legge di Bilancio, ma solo una scatola vuota ancora da riempire di contenuti, sia perché la legge la stanno ancora scrivendo insieme alla Commissione, sia perché Salvini e Di Maio si stanno ancora accapigliando per spartirsi le risorse in base ai rispettivi interessi elettorali. La Lega per esempio non fa mistero di mal sopportare il reddito di cittadinanza ("piace all'Italia che non ci piace", ha tuonato Giorgetti con evidente riferimento al Meridione), così come la ecotassa sulle auto inquinanti e l'idea di tassare le pensioni più alte, cioè tutti i cavalli di battaglia del M5S. Quest'ultimo a sua volta deve ingoiare provvedimenti chiaramente in contrasto con quanto predicato finora, ma cari all'elettorato della Lega, come il condono fiscale, che Salvini e Giorgetti vorrebbero ulteriormente allargare, l'allungamento di ben 15 anni delle concessioni agli stabilimenti balneari, la continuazione delle grandi opere e così via.

Azzoppati reddito di cittadinanza e quota 100
Ma soprattutto la Commissione europea non si accontenta che i circa 3,5 miliardi mancanti ancora all'appello siano trovati "tra le pieghe di bilancio", ossia con misure improbabili e una tantum, ma vuole che siano "strutturali", cioè che incidano in maniera permanente sul deficit, e pretende anche un abbassamento significativo del debito, dall'attuale 132% al 129% sul Pil, da realizzare con la valorizzazione e la vendita di immobili pubblici per almeno 18 miliardi. Da qui, anche se Di Maio e Salvini proclamano di aver già concesso il massimo, le estenuanti riunioni notturne tra Conte, Tria e i tecnici del ministero dell'Economia e Finanze, per riuscire a portare il 19 a Bruxelles proposte più convincenti sugli emendamenti da fare alla legge di Bilancio per renderla compatibile con le aspettative della Commissione europea.
Da quel che è trapelato fino a questo momento per il reddito di cittadinanza - oltre al fatto che slitterà ormai ad aprile e dando per scontato che ne faranno richiesta solo il 90% degli aventi diritto, creando già così un risparmio - si parla di un taglio di 2 miliardi sui 9 stanziati, rendendolo ancora più insufficiente a garantire a tutti i 5 milioni di poveri assoluti un reddito di almeno 780 euro mensili. Si sta pensando allora di stringere ancora di più le maglie per averne diritto, abbassando l'Isee a 9 mila euro annui, di escludere i proprietari di seconde case e chi ha almeno 5 mila euro in banca, e di abbassare l'assegno a 500 euro per i possessori di prima casa.
Per quota 100, le cui risorse scendono parimenti da 7 a 5 miliardi, oltre ad abbassare da 400 mila a 300 mila la platea delle persone interessate al provvedimento, (probabilmente anche attraverso penalizzazioni), il governo pensa a una finestra di tre mesi tra la maturazione dei requisiti e la data effettiva di pagamento della pensione. Per i dipendenti pubblici ci sarebbe anche un preavviso di tre mesi, aumentando quindi la finestra a sei mesi. Ci sarà inoltre il divieto di cumulo tra pensione e lavoro con ricavi superiori a 5 mila euro l'anno. Si pensa anche ad un blocco dell'adeguamento all'inflazione per gli assegni superiori a 1.530 euro (tutt'altro che ricchi), mentre il taglio delle "pensioni d'oro" partirebbe da 100 mila euro e non più da 90 mila come ipotizzato.
Oltretutto è chiaro anche che dati i tempi la legge di Bilancio, che è la più importante legge dello Stato, non potrà che essere approvata all'ultimo tuffo e col voto di fiducia col sistema del maxiemendamento governativo, senza che il parlamento non abbia potuto, non diciamo cambiarne nemmeno una virgola, ma nemmeno praticamente leggerla e studiarla. Un fatto crediamo senza precedenti nella storia repubblicana, il che conferma ancora una volta la natura fascista del governo nero Salvini-Di Maio, che non esita a fare strame della stessa democrazia parlamentare borghese.
 
 

19 dicembre 2018