Regeni, i pm di Roma incriminano cinque alti ufficiali egiziani
A quasi tre anni dal brutale assassinio del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni, scomparso il 26 gennaio 2016 a Il Cairo, torturato e ritrovato senza vita nove giorni dopo lungo la superstrada Cairo-Alessandria, il 29 novembre la Procura di Roma ha deciso di mettere sotto inchiesta cinque alti ufficiali e funzionari dei servizi segreti del regime di Al Sisi e due poliziotti.
I Pm italiani sono convinti che gli agenti della National Security egiziana hanno giocato un ruolo di primo piano nel sequestro di Giulio a partire dal quel fatidico 6 gennaio 2016 quando il giovane ricercatore friulano si incontra con il capo del sindacato autonomo degli ambulanti del Cairo, Mohammed Abdallah.
L’incontro viene filmato dall’ambulante stesso che poi denuncerà Regeni.
Abdallah si presenta con una microcamera nascosta in un bottone. Strumento che, secondo gli investigatori italiani, sarebbe stato fornito dalla stessa polizia locale egiziana. L’incontro dura un’ora e 55 minuti. Durante il colloquio, l’ambulante chiede denaro a Giulio. Parla della sua situazione familiare, della moglie con il cancro e della figlia operata. Il ricercatore spiega che non può fare nulla, che sono soldi dell’università britannica e lui non ha intenzione di chiederli per fini diversi dalla ricerca e se ne va.
Ma il video continua per diversi altri minuti. Infatti analizzandolo fino alla fine – come ricostruito in un’informativa di Ros e Sco del 21 gennaio 2017 – gli investigatori notano che l’ambulante, mentre Regeni si allontana, parla al telefono. Analizzando i tabulati telefonici scoprono che Abdallah quella sera ha chiamato un colonnello della National Security, tale Ater Kamal, il quale a sua volta telefona al maggiore Sharif.
Non solo, i Pm romani hanno anche scoperto che sul telefono del capo del sindacato degli ambulanti viene registrata un’altra telefonata, in entrata, da parte del centro della National Security. Inoltre nel video integrale si vede anche un secondo soggetto, un uomo, molto probabilmente degli apparati di sicurezza o di polizia de Il Cairo che alla fine della “missione” spegne la registrazione dell'ambulante.
Dunque quel giorno – dopo il caffè preso con Regeni e una richiesta di denaro che il ricercatore nega – sul cellulare dell’ambulante vengono registrate tre telefonate di tre utenze diverse, tutte della National Security.
È questo l’elemento chiave che ha convinto gli investigatori italiani a mettere sotto inchiesta i funzionari degli apparati di Stato egiziani sospettati di essere direttamente coinvolti nel sequestro se non anche nelle torture e nell'assassino di Regeni, i cui esecutori materiali però continuano a tutt'oggi a rimanere ignoti.
Tra gli indagati ci sono alcuni tra i funzionari di Stato responsabili dei tanti depistaggi che hanno fin qui caratterizzato il caso Regeni, primo fra tutti il massacro dei cinque presunti rapitori indicati all’inizio dalla polizia egiziana come i responsabili dell’omicidio di Giulio.
9 gennaio 2019