Da una norma introdotta dalla legge anticorruzione
Salvati i leghisti a processo per le spese pazze
Graziati anche consiglieri di FI e PD e il viceministro Rixi, che per Salvini è “un fratello”
Bonafede si dichiara “orgoglioso” della legge anticorruzione
Un emendamento introdotto di soppiatto e senza far rumore da un gruppo di deputati della Lega alla lettera l) del primo comma dell'articolo unico della legge n. 3 del 9 gennaio 2019 (ossia la legge anticorruzione) è diventato il cavallo di Troia con il quale la prescrizione del reato entrerà spedita nei processi, che coinvolgono numerosissimi consiglieri regionali in varie parti d'Italia (tra cui moltissimi leghisti), relativi alle spese pazze regionali.
L'emendamento - introdotto alla Camera dai deputati leghisti Gian Luca Vinci, Roberto Turri, Luca Paolini, Gianluca Cantalamessa, Fabio Massimo Boniardi, Manfredi Potenti, Anna Rita Tateo, Ingrid Bisa, Riccardo Marchetti e Flavio Di Muro - ha introdotto alla conclusione del primo comma dell'articolo 316 ter del codice penale (che disciplina il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, un'ipotesi delittuosa meno grave rispetto al peculato, che è stato finora sempre contestato ai consiglieri regionali) il seguente periodo: “La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri”.
Per comprendere quanto questa norma di fatto agevoli, in aperto contrasto con le dichiarate finalità della stessa legge che si proporrebbe di contrastare la corruzione, i consiglieri regionali imputati nei processi per le spese pazze regionali bisogna partire da alcune considerazioni.
Finora i pubblici ministeri hanno sempre e soltanto contestato nei procedimenti instaurati contro i consiglieri regionali, responsabili di avere dilapidato i soldi pubblici in spese strettamente personali spacciate per spese inerenti le loro funzioni, il reato di concussione disciplinato dall'art. 314 del codice penale, il quale prevede una pena da un minimo di quattro fino a dieci anni e mezzo di reclusione per il pubblico ufficiale (e tale è il consigliere regionale) che “avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria”.
Ciononostante i difensori degli imputati hanno sempre eccepito, finora invano, che al massimo ai loro assistiti avrebbe potuto essere contestata la norma prevista dall'articolo 316 ter del codice penale che disciplina il reato di indebita percezione di erogazioni oggetto di modifica ad opera della legge anticorruzione, la quale prevede, nella sua formulazione originaria, che chiunque (quindi anche un soggetto che non è pubblico ufficiale) “mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee”
venga punito con la reclusione da un minimo di sei mesi fino a un massimo di tre anni, senza contare il fatto che se il rimborso indebitamente richiesto è inferiore ai 4.000 euro è prevista soltanto una pena pecuniaria.
Come si vede, mentre il peculato è un reato proprio, ossia un reato che può essere commesso soltanto ed esclusivamente da soggetti qualificati (ossia da pubblici ufficiali), l'indebita percezione di erogazioni poteva, prima della “riforma” in esame, essere compiuta da qualsiasi soggetto, ossia era un reato comune, ed è in virtù del carattere speciale del peculato rispetto alla genericità dell'indebita percezione che i pubblici ministeri finora hanno sempre contestato ai consiglieri scialacquatori, in quanto pubblici ufficiali, il peculato piuttosto che l'indebita percezione.
Ora però, con la modifica dell'art. 416 ter del codice penale, è prevista una specifica ipotesi di reato di indebita percezione di erogazioni per i pubblici ufficiali, i quali potranno essere condannati ad una pena detentiva da un minimo di un anno a un massimo di quattro, ed è questa modifica all'articolo 316 ter del codice penale il cavallo di Troia che consentirà agli imputati nei processi per le spese pazze di chiedere, e certamente ottenere, la derubricazione del reato da peculato a indebita percezione di erogazioni, con benefici immensi per tutti gli imputati.
Poiché infatti il codice penale prevede che, nell'ipotesi di entrata in vigore di nuove norme penali incriminatrici, venga applicata quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, è chiaro che al peculato dovrà essere necessariamente sostituita l'imputazione di indebita percezione: quest'ultima, oltre alla pena assai più ridotta rispetto al peculato, consentirà una maturazione del periodo di prescrizione del reato molto più rapida (infatti il tempo di prescrizione è proporzionale alla pena massima, per cui da 12 anni e mezzo si passerebbe a 7 anni e mezzo) e verrà, nell'ipotesi di una condanna mite, evitato il rigore della legge Severino, per la quale sono ineleggibili e non candidabili coloro che sono stati condannati a più di due anni di reclusione per i reati punibili almeno fino a quattro anni.
Così, mentre in una recente intervista il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si è dichiarato “orgoglioso” della legge anticorruzione, il suo compare, il ministro dell'Interno Matteo Salvini, graziava di fatto, destinandoli a un sicuro proscioglimento tanti consiglieri regionali leghisti responsabili di ruberie e di dilapidazioni di denaro pubblico, e tra essi il viceministro, nonché ex consigliere regionale della Liguria, Edoardo Rixi, che Salvini ha definito pubblicamente “un fratello”.
Salvini, che, non lo si dimentichi, deve restituire allo Stato ben 49 milioni di euro indebitamente percepiti dalla Lega, non avrebbe, del resto, potuto definire altrimenti Rixi, che è imputato dinanzi al Tribunale di Genova, dove si sta svolgendo contro di lui il processo per peculato e falso ideologico, con l'accusa di avere spacciato per spese di rappresentanza quasi ventimila euro, che invece erano spese strettamente personali.
A Genova sono alla sbarra complessivamente altri 18 ex consiglieri e vari capigruppo della Regione Liguria, molti della lega ma anche di diverso colore politico, e in tutta Italia sono almeno 150 gli ex consiglieri regionali coinvolti nelle inchieste sulle spese pazze, come ad esempio l'ex presidente leghista del Piemonte Roberto Cota, l'attuale capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari, l'ex capogruppo del PD in Emilia-Romagna Marco Monari, l'attuale europarlamentare di Forza Italia Stefano Maullu, e l'elenco sarebbe molto lungo.
30 gennaio 2019